L’ambasciata russa sta trattenendo i passaporti a tre parlamentari italiani
Lia Quartapelle, Benedetto Della Vedova e Ivan Scalfarotto vorrebbero andare a Mosca per omaggiare Alexei Navalny, ma il loro visto è stranamente difficile da ottenere
Da oltre una settimana l’ambasciata russa a Roma sta trattenendo i passaporti di tre parlamentari italiani. I deputati Benedetto Della Vedova di +Europa e Lia Quartapelle del Partito Democratico, e il senatore Ivan Scalfarotto di Italia Viva avevano chiesto tra martedì 27 e mercoledì 28 febbraio il rilascio del visto diplomatico per potere andare a Mosca a partecipare venerdì primo marzo al funerale di Alexei Navalny, il dissidente russo che contestava il regime di Vladimir Putin e che è morto in un carcere di massima sicurezza siberiano dopo anni di detenzione sulla base di accuse ritenute politicamente motivate.
La mattina del 27 febbraio, quando ancora circolavano notizie non definitive sulla data e il luogo dei funerali di Navalny, Della Vedova e Quartapelle si erano attivati per chiedere agli uffici consolari dell’ambasciata russa a Roma il visto, in pratica una targhetta che viene incollata dalle autorità di un paese straniero sul passaporto di chi intende andare in quel paese e vale come autorizzazione per entrarci. Il giorno dopo anche Scalfarotto si è unito all’iniziativa, inoltrando anche lui la stessa richiesta all’ambasciata.
Tutti e tre i parlamentari, sempre netti nel dichiararsi sostenitori della resistenza ucraina e nel criticare le brutalità del regime di Putin, si sono rivolti a un’agenzia privata per visti consolari, cioè una società che si occupa di sbrigare questo genere di procedure e che di solito ottiene più agevolmente risposte dalle ambasciate. Erano stati gli stessi funzionari dell’ufficio consolare dell’ambasciata russa a suggerire questa soluzione a Della Vedova venerdì 23 febbraio, quando era andato a informarsi in via preventiva per sapere quale sarebbe stata la via più veloce per ottenere il visto. Ma allora non si sapeva ancora bene né se il funerale sarebbe stato fatti in forma pubblica né eventualmente quando, per via della riluttanza delle autorità russe a consegnare il corpo di Navalny a sua madre.
Martedì 27, quando le informazioni al riguardo avevano iniziato a essere più chiare, Della Vedova e Quartapelle hanno sollecitato l’agenzia a chiedere il visto. Non c’era molto tempo, la procedura dura di solito tra i due e i tre giorni lavorativi (quelli che mancavano al funerale) e l’annuncio ufficiale sulla data e il luogo esatti della cerimonia – venerdì 1° marzo a Mosca – sono stati annunciati solo mercoledì. Di solito per i parlamentari le procedure diplomatiche per il rilascio dei visti sono semplificate: a volte se si ha a che fare con l’ambasciata di un paese con cui l’Italia è in buoni rapporti si procede anche per vie informali, con telefonate dirette o uno scambio di mail, e risolvendo tutto in poche ore.
Invece da mercoledì scorso l’ambasciata russa non fornisce indicazioni. Ogni mattina, a mezzogiorno, un addetto dell’agenzia privata ingaggiata dai tre parlamentari va all’ufficio per il rilascio dei visti e si sente rispondere dai funzionari dell’ambasciata che la richiesta è ancora in fase di elaborazione. Il tutto gli viene detto a voce, senza che gli venga data spiegazione sul motivo di questo anomalo ritardo, e soprattutto senza che i passaporti dei tre parlamentari vengano restituiti. «Una situazione piuttosto surreale», dice Quartapelle.
Finché la procedura non è conclusa gli uffici consolari sono autorizzati a trattenere il documento, ma in questo caso l’attesa si sta protraendo in una maniera che ha insospettito i parlamentari. L’ambasciata potrebbe del resto anche negare il visto. Sarebbe una scelta che farebbe un certo rumore qui da noi, difficile da motivare ma comunque possibile, e comporterebbe l’immediata restituzione dei passaporti ai loro proprietari.
«Non vorrei che questo anomalo ritardo nel valutare la nostra richiesta e questa totale assenza di notizie sul rilascio del visto sia in qualche modo legato al fatto che noi abbiamo annunciato di volerci recare in ogni caso a Mosca, a omaggiare Navalny deponendo un mazzo di fiori sulla sua tomba», dice Scalfarotto. Contattata dal Post, l’ambasciata per il momento non ha voluto commentare.
«Spero che anche il nostro ministero degli Esteri si attivi per segnalare la gravità di uno sgarbo che non colpisce solo due deputati e un senatore, ma è irriguardoso verso l’intero parlamento italiano», commenta Quartapelle. Non è la prima volta che l’ambasciata russa a Roma entra in conflitto col parlamento. Nel marzo del 2022, pochi giorni dopo la decisione del governo italiano e della Commissione Europea di inviare aiuti finanziari e militari all’Ucraina che si difendeva dall’invasione russa, l’ambasciatore Sergej Razov inviò ai deputati della commissione Difesa un’email dai toni minacciosi in cui veniva riportato un lungo messaggio del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Nel messaggio c’era scritto che «le azioni dell’Unione Europea non resteranno senza risposta». Fu un atto ostile, sia per i metodi scelti sia per il contenuto della lettera. L’allora ministro della Difesa Lorenzo Guerini disse che tutto ciò «dava il senso dell’arroganza del regime russo».
Lo scorso aprile Razov concluse il suo mandato decennale in Italia, e fu sostituito da Alexei Paramonov. Alcuni commentatori videro in questa scelta il segnale di una volontà di distensione dei rapporti diplomatici: Razov era un diplomatico dai modi rudi, che aveva spesso criticato apertamente le istituzioni italiane e aveva intimidito alcuni giornalisti da lui accusati di fare propaganda contro la Russia. Paramanov aveva invece fama di moderato, oltreché di profondo conoscitore della lingua e della cultura italiane, essendo stato a lungo console a Milano. Negli scorsi mesi, attraverso varie interviste, Paramonov ha smentito questa lettura dimostrando continuità con l’ostilità del suo predecessore.