Il primo ministro di Haiti non riesce a tornare ad Haiti
Dopo alcuni impegni all'estero è ricomparso a Porto Rico: in sua assenza le bande criminali che lo vogliono estromettere stanno provando a prendere il controllo del paese
In giorni in cui ad Haiti si sono intensificate notevolmente le proteste contro il governo, così come gli scontri tra polizia e bande criminali, si è fatta notare la totale assenza del primo ministro Ariel Henry, che era all’estero per alcuni impegni diplomatici. Di lui non si avevano notizie da venerdì, ma nel tardo pomeriggio di martedì ora locale è atterrato a Porto Rico, territorio che fa parte degli Stati Uniti e si trova circa 100 chilometri a est dell’isola di Hispaniola (divisa in due tra Repubblica Dominicana e Haiti). «Il fatto che non abbia nemmeno aperto bocca dall’inizio delle violenze ha fatto circolare ogni tipo di ipotesi», ha detto ad Associated Press Jake Johnston, ricercatore del Center for Economic and Policy Research di Washington.
Henry ha 74 anni ed è diventato primo ministro ad interim di Haiti in seguito all’assassinio del presidente haitiano Jovenel Moïse, ucciso nel luglio del 2021. Da tempo è contestato per non essere stato in grado di gestire la gravissima crisi economica, sociale e umanitaria del paese – uno dei più poveri del mondo –, ma soprattutto perché aveva promesso di organizzare nuove elezioni entro il 7 febbraio e non lo ha fatto: aveva motivato questa scelta sostenendo la necessità di ripristinare prima la stabilità nel paese.
Le grosse proteste che andavano avanti da circa un mese si sono estese lo scorso fine settimana in seguito alla visita di Henry in Kenya, dove ha firmato un accordo per una missione di sicurezza sostenuta dall’ONU che prevede l’invio di circa mille agenti di polizia dal paese africano ad Haiti per contrastare le bande criminali nel paese. Prima di andare in Kenya, Henry era stato in Guyana per incontrare alcuni leader dei paesi caraibici: durante l’incontro alcuni di questi leader, ma non il primo ministro haitiano, avevano annunciato che la scadenza per convocare le elezioni parlamentari e presidenziali ad Haiti era stata posticipata alla metà del 2025.
Nel fine settimana le bande che da tempo hanno preso il controllo della gran parte della capitale haitiana Port-au-Prince hanno attaccato diverse stazioni di polizia, lo stadio e il principale scalo merci del porto, dicendo di voler rovesciare il governo di Henry. Hanno anche preso d’assalto due prigioni, in cui erano detenuti numerosi leader della criminalità organizzata e alcune delle persone accusate dell’omicidio di Moïse, e migliaia di detenuti sono evasi. Lunedì per la gravità della situazione nel paese è stato dichiarato lo stato di emergenza per 72 ore e imposto il coprifuoco notturno: in assenza del primo ministro, il decreto è stato firmato dal ministro dell’Economia, che fa le sue veci.
Mentre si trovava in Kenya, Henry non aveva commentato il presunto posticipo delle elezioni nel paese, né i fatti del fine settimana. Il suo ufficio non aveva risposto alle richieste di commento da parte di Associated Press e non aveva nemmeno dato informazioni su quando sarebbe avvenuto il suo rientro nel paese. Alla fine, secondo quanto ricostruito dai media locali, è arrivato all’aeroporto della città di San Juan a Porto Rico su un volo privato proveniente dal New Jersey, negli Stati Uniti. Le informazioni sullo stato del volo mostrano che originariamente l’aereo era diretto verso la Repubblica Dominicana, ma poi aveva compiuto varie manovre prima di deviare verso Porto Rico.
L’assalto alle prigioni e agli altri luoghi della capitale haitiana da parte delle bande armate era stato guidato dall’ex ufficiale di polizia Jimmy “Barbecue” Chérizier, ora leader della coalizione delle bande più potenti del paese. Nel fine settimana Chérizier aveva rivendicato gli attacchi, sostenendo che il loro obiettivo sia «bloccare il sistema». Le bande in particolare vogliono costringere Henry alle dimissioni: «Combatteremo contro Ariel con l’ultima goccia del nostro sangue», ha detto Chérizier, aggiungendo che se Henry non si dimetterà si andrà «direttamente a una guerra civile che porterà a un genocidio».
Lunedì sera c’erano stati scontri armati anche all’aeroporto internazionale di Port-au-Prince, dove si pensava che Henry sarebbe prima o poi atterrato: era probabilmente un tentativo di impedirgli di rientrare ad Haiti o comunque di intimorirlo. Secondo alcune ricostruzioni, in effetti, Henry sarebbe dovuto atterrare lì, ma non era riuscito per via dello stato di emergenza in vigore, per cui l’aeroporto di fatto era rimasto chiuso anche martedì. Martedì, poco prima che l’aereo atterrasse a Porto Rico, il governo dominicano aveva peraltro annunciato che avrebbe sospeso il traffico aereo da e verso Haiti con decorrenza immediata.
Al momento Henry non ha fatto alcuna dichiarazione pubblica. I media locali, citati da BBC News, scrivono che starebbe cercando percorsi alternativi per rientrare ad Haiti. Nel frattempo negli scontri degli ultimi dieci giorni sono state uccise almeno dieci persone, tra cui quattro poliziotti, e secondo l’ONU circa 15mila sono sfollate a causa delle violenze.