Chi fu Barbara Balzerani
Ebbe un ruolo rilevante nella “colonna romana” delle Brigate Rosse e nelle principali operazioni di lotta armata dell'organizzazione, prima di scrivere libri
La scrittrice Barbara Balzerani, che tra gli anni Settanta e Ottanta fu una delle principali componenti del gruppo terroristico extraparlamentare di estrema sinistra delle Brigate Rosse (BR), è morta ieri a 75 anni. Fu una delle protagoniste più controverse dei cosiddetti “anni di piombo”, il periodo di stragi, violenza politica e lotta armata che va grosso modo dalla fine degli anni Sessanta all’inizio degli anni Ottanta.
Balzerani era nata il 16 gennaio del 1949 a Colleferro, in provincia di Roma, in una famiglia della classe operaia. Nel 1968 si trasferì a Roma per studiare filosofia, prendendo in affitto un appartamento assieme a due ex compagne di liceo di Colleferro: una di questa era Gabriella Mariani, con cui negli anni successivi avrebbe condiviso la militanza nelle BR. Cominciò a frequentare gli ambienti della sinistra extraparlamentare nei primi anni di università, partecipando alle riunioni di Potere Operaio, un gruppo di sinistra extraparlamentare nato per iniziativa di una parte della redazione della rivista operaista La Classe. Il movimento operaista si sviluppò in Italia tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, e si riconosceva in particolare nel pensiero del filosofo Mario Tronti contenuto nel saggio Operai e capitale: i collettivi che ne facevano parte condividevano l’idea secondo cui alla classe operaia fosse riservata la funzione storica di attuare la rivoluzione socialista.
Alla metà degli anni Sessanta in alcune aree di questo movimento si formò l’ipotesi secondo cui il movimento operaista dovesse abbandonare i metodi di lotta rispettosi della legge vigente, e adottare la lotta armata e la clandestinità come metodi principali con cui ottenere il potere politico.
La discussione sul possibile cambio di metodo si concretizzò verso la fine del decennio, quando divenne il tema centrale di due convegni a cui presero parte esponenti di diversi collettivi della sinistra extraparlamentare: il primo si svolse il primo novembre del 1969 a Chiavari, in provincia di Genova, e il secondo a Pecorile, in provincia di Reggio Emilia, nell’agosto dell’anno successivo. A entrambi gli incontri parteciparono due studenti della facoltà di Sociologia dell’università di Trento, Renato Curcio e Mara Cagol, che negli anni successivi sarebbero stati tra i fondatori delle Brigate Rosse (BR).
Balzerani entrò a far parte delle BR nel 1975, quando da qualche anno il gruppo aveva iniziato a strutturarsi tramite la costituzione di varie “colonne” (nome con cui i membri delle BR indicavano i vari distaccamenti territoriali dell’organizzazione) per allargare il più possibile la sua presenza sul territorio nazionale, inizialmente concentrata soprattutto in Piemonte, Liguria e Lombardia.
I membri dell’organizzazione affidarono ad alcuni esponenti il compito specifico di formare nuove reclute e costituire le colonne. In questo contesto, un ruolo fondamentale fu assunto da Mario Moretti, un operaio che tra il 1969 e il 1970 aveva fatto parte dell’organizzazione di estrema sinistra milanese Collettivo Politico Metropolitano (CPM). Nel 1975 Moretti trascorse qualche mese a Roma per lavorare alla creazione della colonna romana, un obiettivo che l’organizzazione considerava prioritario. Per farlo utilizzò una parte dei ricavi dei primi sequestri di persona, con cui affittò gli appartamenti resi poi le basi operative del gruppo. Balzerani fu tra le prime persone che Moretti reclutò per costituire la colonna, insieme a Bruno Seghetti, Valerio Morucci e Adriana Faranda.
Inizialmente Balzerani partecipò alle attività delle BR soltanto saltuariamente, mantenendo la propria identità e continuando a svolgere il suo lavoro di assistente sociale specializzata nel sostegno a bambini e bambine con disabilità; poi nel 1977 divenne un membro regolare, ossia parte di quel gruppo di persone che non si limitavano a fornire un appoggio esterno all’organizzazione, ma sceglievano di sposarne la causa a tempo pieno vivendo in clandestinità e abbandonando ogni legame con la vita svolta precedentemente, dedicandosi a tempo pieno alla lotta armata: le venne dato il soprannome di “primula rossa”, e venne riconosciuta come capo della “colonna romana” dell’organizzazione insieme a Moretti, con cui nel frattempo aveva iniziato una relazione sentimentale.
Balzerani partecipò attivamente ad alcune delle operazioni più rilevanti delle BR, come l’omicidio del magistrato Girolamo Minervini (1981) e il sequestro del generale statunitense della NATO James Lee Dozier (1982). Ma soprattutto ebbe un ruolo importante nel sequestro e poi nell’omicidio dell’allora presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, nel 1978. Moro all’epoca era già stato presidente del Consiglio due volte, e quattro volte ministro: era uno dei personaggi politici più noti e influenti, e proprio in quanto simbolo del sistema politico dominante le BR decisero di tenerlo sotto sequestro per 54 giorni, dal 16 marzo al 9 maggio, e poi di ucciderlo dopo lunghe e complicate trattative. L’obiettivo delle BR era di spingere il paese verso la rivoluzione colpendo le figure apicali dello Stato, nel tentativo di mostrare la vulnerabilità del sistema politico e smuovere così le coscienze.
Il 16 marzo, il giorno del sequestro, Balzerani presidiò con un mitra l’incrocio tra via Fani e via Stresa per permettere al gruppo composto da Valerio Morucci, Franco Bonisoli, Prospero Gallinari e Raffaele Fiore di attaccare l’auto di Moro e la sua scorta, che ogni giorno alla stessa ora passava di lì. Si occupò anche della gestione della principale base operativa delle Brigate Rosse a Roma in via Gradoli 96, dove stava con Moretti e in cui erano conservati armi, targhe e finti documenti.
Poi all’inizio degli anni Ottanta Balzerani guidò la formazione Partito Comunista Combattente, una delle formazioni scissioniste che furono fondate quando le BR cominciarono a frammentarsi e disperdersi in seguito alle prime sentenze di condanna per i membri dell’organizzazione. Lei fu arrestata nel 1985, e nel 1986 fu condannata all’ergastolo dopo aver rivendicato l’omicidio dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti, avvenuto nel febbraio 1986.
Il 21 marzo del 1988 ci fu un passaggio importante della storia di Balzerani e delle BR. Durante un’intervista data al giornalista del TG1 Ennio Remondino, in una delle pause del secondo processo in cui furono imputati i componenti della colonna romana (chiamato “Moro ter”), Balzerani, Curcio e Moretti decretarono la conclusione dell’esperienza della lotta armata e dissero che c’era bisogno di una «soluzione politica» a quel periodo di tensioni e violenze che si stavano comunque trascinando anche negli anni Ottanta.
Ma l’eccezionalità di Balzerani non sta soltanto nel ruolo che ebbe in uno dei periodi più difficili e tesi della storia repubblicana, ma anche nel fatto che a quell’epoca la partecipazione delle donne in un gruppo di lotta armata come le BR non era scontato. Anche per questo motivo, Balzerani è stata oggetto di diversi studi incentrati sui legami tra femminismo e violenza politica.
Nel libro Donne e lotta armata: le militanti come soggetti politici, la ricercatrice di Scienze sociali dell’università Orientale di Napoli Chiara Stagno scrive che Balzerani si fece notare in un’epoca in cui, nell’immaginario collettivo, la guerra «era solo una cosa da uomini», e c’era stupore o rifiuto per il coinvolgimento delle militanti: stupore e rifiuto che secondo Stagno erano «una sorta di meccanismo di difesa che si innesca nel senso comune per cercare di preservare lo stereotipo del femminile che da sempre permea la società italiana: la donna è pace, accudimento, maternità».
Balzerani tornò in libertà nel 2011, e iniziò a lavorare in una cooperativa che si occupava di servizi informatici. Aveva iniziato a dedicarsi all’attività di scrittrice già durante il periodo di detenzione. Nel 1998 pubblicò dal carcere Compagna luna, il suo primo libro, pubblicato per la casa editrice DeriveApprodi, e poi ne scrisse molti altri. L’ultimo è del 2023 e si intitola Respiro.
Balzerani non si è mai pentita pubblicamente del suo periodo di militanza e della violenza, anzi, negli anni ha detto diverse cose un po’ ambigue sul suo passato da brigatista. Per esempio, nel 1993 disse di provare «un profondo rammarico per quanti sono stati colpiti nei loro affetti a causa di quegli avvenimenti e che continuano a sentirsi offesi ad ogni apparizione pubblica di chi, come me, se ne è reso e dichiarato responsabile». Nel 2018, durante la presentazione del libro L’ho sempre saputo, disse in risposta a una domanda sul rapimento di Aldo Moro: «C’è una figura, la vittima, che è diventato un mestiere, questa figura stramba per cui la vittima ha il monopolio della parola. Io non dico che non abbiano diritto a dire la loro, figuriamoci. Ma non ce l’hai solo te il diritto, non è che la storia la puoi fare solo te».
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