Si è votato in Iran, ma senza candidati riformisti
I politici più progressisti sono stati esclusi di nuovo dalle elezioni per rinnovare il parlamento e l'Assemblea degli esperti: uno dei dati più importanti da guardare sarà quello dell'affluenza
Venerdì 1° marzo in Iran si sono tenute le elezioni per rinnovare i 290 seggi del parlamento nazionale e gli 88 membri dell’Assemblea degli esperti, organo incaricato tra le altre cose di eleggere la Guida suprema, cioè la più importante carica politica e religiosa del paese (al momento la Guida suprema è Ali Khamenei, ultraconservatore). Sono elezioni che non si possono definire né libere né democratiche, considerato il controllo che il regime ultraconservatore esercita su tutto il processo elettorale. Per questo il dato più significativo sarà probabilmente l’astensionismo, che dipenderà in buona parte dalle persone che per protesta contro il regime decideranno di non andare a votare.
I seggi hanno aperto alle 8 (le 5:30 in Italia) e hanno chiuso attorno alle 17:30 ora italiana, dopo un’estensione di due ore.
I risultati sono piuttosto scontati, soprattutto perché come già accaduto in altre occasioni quasi tutti i candidati progressisti sono stati esclusi. Nel paese esistono molte formazioni politiche che però fanno riferimento grossomodo a tre grandi correnti di pensiero: solitamente ci si riferisce a queste per indicare l’orientamento di un politico iraniano.
Ci sono gli ultraconservatori e i conservatori, che nel corso degli anni hanno mostrato di essere in disaccordo al loro interno su tante cose: Ali Khamenei, la Guida Suprema, fa parte degli ultraconservatori, così come l’attuale presidente, Ebrahim Raisi. Gli ultraconservatori sono anche la fazione più potente in Iran, al di là del fatto che siano o meno al governo.
Poi ci sono i moderati, che possiamo definire in maniera un po’ approssimativa “di centro”: ne faceva parte per esempio l’ex presidente Hassan Rouhani, quello che firmò lo storico accordo sul nucleare iraniano con l’amministrazione statunitense di Barack Obama e altri governi europei (accordo che poi fu affossato da Donald Trump). Quest’anno Rouhani si era ricandidato all’Assemblea degli esperti, organo di cui fa parte dal 2000, ma le autorità hanno escluso la sua candidatura senza dare spiegazioni.
E infine ci sono i riformisti, la formazione che più si avvicina alla sinistra (o comunque, sono la forza più progressista). Negli ultimi decenni, e soprattutto a partire dalle grandi proteste anti-regime del 2009, i riformisti sono stati gradualmente esclusi dalla vita politica, fino sostanzialmente a scomparire. Già alle ultime elezioni parlamentari, quelle del 2020, i candidati riformisti approvati dal regime furono pochi. Quest’anno per la prima volta la leadership riformista ha annunciato che non sosterrà alcun candidato, descrivendo le elezioni come «prive di significato, non competitive e ingiuste».
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Nelle ultime settimane il regime ha bocciato migliaia di candidature. In Iran prima di ogni elezione tutti i candidati devono infatti essere vagliati e approvati dal Consiglio dei guardiani, un organo che si occupa di valutare e selezionare i candidati. Il Consiglio è composto da 12 membri, sei religiosi e sei giuristi, tutti molto vicini agli ultraconservatori e quindi a Khamenei (i religiosi sono nominati direttamente da Khamenei, i giuristi indirettamente).
Non è una novità: a partire dagli anni Novanta il Consiglio dei guardiani ha sempre esercitato un controllo molto rigido sulle candidature, assicurandosi che il potere rimanesse nelle mani della fazione più conservatrice.
L’ostilità del regime verso i candidati meno conservatori aumentò a partire dal 2018, quando l’allora presidente statunitense Trump decise di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare. Quella decisione ebbe importanti conseguenze anche in Iran: indebolì chi quell’accordo l’aveva voluto, cioè i moderati e l’allora presidente Rouhani, più aperti al dialogo con l’Occidente, e rafforzò chi l’aveva criticato, cioè gli ultraconservatori, che colsero l’occasione per accusare i loro avversari di “essersi fatti fregare” dagli statunitensi.
Quest’anno il Consiglio ha squalificato più di 12 mila candidati alle elezioni parlamentari. Sono invece state accettate 15.200 candidature per i 285 seggi parlamentari eletti per via diretta, tra cui 1.713 donne, più del doppio rispetto alle 819 presenti alle ultime elezioni. Altri cinque seggi parlamentari, per un totale di 290, sono riservati alle minoranze etniche e religiose. Il mandato dei parlamentari dura quattro anni.
Per gli 88 posti nell’Assemblea degli esperti ci sono invece 144 candidati, e gli eletti resteranno in carica otto anni. Sarà un’elezione molto importante, dato che è possibile che sia proprio l’assemblea eletta venerdì quella che sceglierà la prossima Guida suprema. Finora l’Iran ha avuto solo due persone che hanno occupato questo ruolo, creato dopo l’instaurazione del regime teocratico a seguito della rivoluzione del 1979: Ruhollah Khomeini, il leader di quella rivoluzione, e Ali Khamenei, che gli succedette alla morte e che oggi ha quasi 85 anni e diversi seri problemi di salute.
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Alle elezioni potrebbe esserci un astensionismo molto alto: in un sondaggio condotto a dicembre solo il 28 per cento degli intervistati aveva detto che «parteciperà sicuramente» al voto, mentre il 36 per cento si era detto convinto di non partecipare.
L’affluenza in Iran è in calo da anni. Nel 2020 partecipò alle elezioni parlamentari il 42 per cento degli aventi diritto, il dato più basso dal 1979, e quest’anno la percentuale potrebbe essere ancora inferiore. Alle ultime presidenziali, nel 2021, partecipò meno del 50 per cento degli aventi diritto, contro l’85 per cento del 2009.
Quest’anno inoltre i nomi dei candidati sono stati annunciati meno di due settimane fa, e la campagna elettorale è durata appena 10 giorni, un fattore che ha ulteriormente scoraggiato parte dell’elettorato. La scarsa affluenza potrebbe diventare un problema per il regime iraniano, che dal 1979 basa parte della propria legittimità proprio sulla partecipazione elettorale. Venerdì Khamenei è andato a votare piuttosto presto, pubblicando diversi inviti ad andare ai seggi sui suoi profili social.
📸 Imam Khamenei casts his vote in Iran's Parliamentary and the Assembly of Experts elections
Imam Khamenei, the Leader of the Islamic Revolution, cast his vote in Iran's Parliamentary and Assembly of Experts elections early this morning, March 1, 2024. pic.twitter.com/A0MEkZ0T71
— Khamenei Media (@Khamenei_m) March 1, 2024
Le elezioni di venerdì sono le prime che si sono svolte in Iran dalle grandi proteste seguite alla morte di Mahsa Amini, la donna di 22 anni morta il 16 settembre del 2022 a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non avere indossato correttamente il velo islamico, o hijab, come prescritto dalle leggi iraniane. Le proteste furono represse in modo molto violento dal regime: si stima che oltre 500 manifestanti siano stati uccisi negli scontri, migliaia feriti, almeno 20 mila arrestati, con ricorrenti testimonianze di abusi, torture e stupri nelle carceri e nei centri di detenzione. Sette degli arrestati sono stati condannati a morte per impiccagione.
L’Iran continua anche a fare i conti con una situazione economica precaria, con un’inflazione molto alta e decine di milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà. Anche sui diritti delle donne, che pure furono uno dei temi centrali delle proteste del 2022, non sono stati fatti veri passi avanti.
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