Quanta sostanza c’è nell’accordo tra Italia e Ucraina?
Importanza e limiti del testo firmato da Giorgia Meloni e Volodymyr Zelensky la scorsa settimana a Kiev, che parlava tra le altre cose di assistenza militare e integrazione nell'Unione Europea
Sabato 24 febbraio, in occasione del suo viaggio a Kiev per il secondo anniversario dall’invasione russa dell’Ucraina, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha firmato insieme al presidente ucraino Volodymyr Zelensky un accordo di cooperazione sulla sicurezza tra Italia e Ucraina.
Nonostante l’accordo abbia una certa importanza simbolica e politica, non prevede impegni specifici o vincolanti da parte del governo italiano. Il testo è composto da 20 articoli e ribadisce tra le altre cose l’impegno dell’Italia per i prossimi dieci anni a sostenere l’Ucraina nel suo sforzo di resistenza contro l’aggressione russa e nell’integrazione con l’Unione Europea. È rinnovabile, ma ogni partner può revocarlo inviando una comunicazione scritta con sei mesi di preavviso.
L’accordo è molto, molto simile ad altri accordi dello stesso tipo conclusi tra il governo ucraino e diversi paesi europei (il primo a farlo era stato il Regno Unito, il 12 gennaio, l’avevano seguito Francia e Germania, entrambe il 16 febbraio) e interi paragrafi sono identici; un fatto che dimostra come i membri del G7, il gruppo informale dei sette paesi occidentali più influenti al mondo, si stiano muovendo coordinandosi tra loro per ribadire il proprio impegno per la causa ucraina.
Per certi versi il testo firmato dall’Italia ha però una forza ancora minore rispetto a quelli conclusi con l’Ucraina dagli altri paesi europei. Non solo il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha voluto ridimensionarne la portata, dicendo alle commissioni Esteri di Camera e Senato che il testo «non sarà giuridicamente vincolante», non comporterà «obblighi sul piano del diritto internazionale, né impegni finanziari», non prevederà «garanzie automatiche di sostegno politico o militare» e per tutte queste ragioni «non richiederà, quindi, la procedura di ratifica parlamentare». Ma nel testo italiano ci sono anche cautele maggiori quando si parla di un’eventuale fornitura di assistenza militare, che viene peraltro definita in maniera meno dettagliata rispetto alle altre versioni dell’accordo.
Il testo italiano è infatti l’unico a specificare che l’aiuto all’Ucraina verrà dato «nei limiti dei propri mezzi e delle proprie capacità» (un modo ulteriore di mettere le mani avanti, diciamo così), e allo stesso tempo è l’unico a non specificare che l’eventuale aiuto militare riguarderà «il campo della sicurezza, le forniture di equipaggiamenti militari in tutti gli àmbiti secondo le necessità (cioè armamenti di terra, aria e mare) e dell’assistenza economica».
Per il resto, l’accordo è un insieme di rassicurazioni del fatto che il sostegno dell’Italia all’Ucraina proseguirà, anche sul lungo periodo. L’Italia si impegna in questo senso a «garantire che le forze di sicurezza e di difesa dell’Ucraina siano in grado di ripristinare completamente l’integrità territoriale dell’Ucraina all’interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale», dunque comprendendo anche le regioni del Donbass e la penisola della Crimea, nel mar Nero, annesse da Putin in varie fasi a partire dal 2014 a seguito di referendum farlocchi.
Oltre a prevedere un’altra serie di collaborazioni nei settori della difesa, delle relazioni commerciali, degli investimenti e del rifornimento di materie prime, l’accordo con l’Ucraina impegna l’Italia ad appoggiare una transizione a guerra finita, che dovrà passare tra le altre cose dal miglioramento dell’«efficienza» e della «trasparenza delle istituzioni» nazionali.
Proprio su questo punto l’accordo italiano con l’Ucraina è quello più approfondito e dettagliato dei quattro. Prevede un ampio e ambizioso piano di riforme in Ucraina, relativo al sistema giudiziario, all’anticorruzione, alla pubblica amministrazione, allo stato di diritto, al rispetto dei diritti umani e alla libertà dei media, oltre allo sviluppo di un’economia sostenibile dal punto di vista ambientale. Allo stesso modo ribadisce l’impegno dell’Italia ad appoggiare il processo di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, che di fatto aveva tratto impulso proprio su iniziativa italiana. Nel marzo del 2022, infatti, l’allora presidente del Consiglio Mario Draghi si era esposto esplicitamente a favore dell’integrazione ucraina, quando ancora altri paesi dell’Europa occidentale, tra cui la Germania, si erano detti molto scettici. Su questo il governo di Meloni si è sempre posto in continuità con Draghi, e il testo dell’accordo lo conferma.
Il senso del testo è sottolineare l’appoggio diplomatico dell’Italia al governo ucraino, anche nei prossimi anni. Nella versione italiana questo passaggio è più centrale rispetto ai testi dell’accordo francese, tedesco e britannico: non c’è da stupirsi troppo comunque. Riflette infatti l’atteggiamento che storicamente i governi italiani hanno quasi sempre adottato nei casi di crisi internazionale, concentrandosi più sull’attività diplomatica che su un appoggio militare più o meno diretto. Inoltre è il risultato di profonde divisioni tra i partiti politici italiani, che non sono riusciti a mettersi d’accordo su un eventuale aumento significativo della fornitura di armi all’Ucraina e delle spese militari.
In questo senso, quindi, il maggiore impegno sul piano diplomatico è un po’ un modo con cui l’Italia ha provato a compensare le sue responsabilità sul piano internazionale e di fronte agli ucraini: un tentativo di contare qualcosa pur senza impegnarsi troppo, e allo stesso tempo di rimandare la questione in un futuro potenzialmente lontano, visto che per ora non ci sono avvisaglie che la guerra possa terminare rapidamente e che quindi possa iniziare la fase successiva di transizione e ricostruzione.