Uno dei criminali più ricercati in Giappone ha confessato in punto di morte
Satoshi Kirishima era accusato di essere coinvolto in vari attentati terroristici compiuti negli anni Settanta: aveva vissuto per anni sotto una falsa identità e ha voluto morire con il suo vero nome
Le analisi del DNA svolte dalla polizia giapponese hanno confermato l’identità di un uomo che in punto di morte aveva confessato di essere uno dei criminali più ricercati del paese. Satoshi Kirishima aveva 70 anni, era accusato di aver partecipato a una serie di attentati terroristici compiuti nel paese negli anni Settanta e a fine gennaio era stato ricoverato nell’ospedale di Kamakura, a sud di Tokyo, dove aveva parlato della sua vera identità: secondo le fonti investigative citate dall’agenzia di stampa giapponese Kyodo News era davvero chi diceva di essere.
Nato nel 1954 nella provincia di Hiroshima, Kirishima aveva cominciato a interessarsi di politica da ragazzo, mentre studiava legge all’Università Meiji Gakuin di Tokyo. Nei primi anni Settanta si unì al Fronte armato antigiapponese dell’Asia orientale, un gruppo di militanti di estrema sinistra che compì diversi attentati, tra cui quello alla sede della Mitsubishi di Tokyo – uno dei più gravi della storia del Giappone – in cui il 30 agosto del 1974 vennero uccise 8 persone e più di 360 vennero ferite.
Kirishima era stato inserito nella lista dei criminali ricercati a livello nazionale nel maggio del 1975 con l’accusa di aver piazzato e fatto detonare una bomba in un edificio nel quartiere Ginza di Tokyo il 19 aprile di quell’anno (nell’attacco non morì nessuno). Era inoltre sospettato di essere coinvolto in quattro attentati compiuti sempre in quegli anni contro altre grosse aziende giapponesi.
Secondo quanto riferito dalle fonti citate dai media giapponesi, Kirishima viveva da tempo sotto il falso nome di Hiroshi Uchida e aveva lavorato per 40 anni per una società di costruzioni di Fujisawa, vicino a Kamakura. Da circa un anno andava in ospedale per curare un cancro allo stomaco. All’inizio dell’anno era stato ricoverato in fase terminale.
Il giornale Asahi Shimbun scrive che il 25 gennaio, quattro giorni prima di morire, aveva detto al personale dell’ospedale di voler «morire come “Satoshi Kirishima”». Adesso le analisi hanno evidenziato che «non ci sono incongruenze» tra il suo DNA e quello del ricercato.
Dopo aver confessato la sua identità al personale medico, l’uomo era stato interrogato dalla polizia: aveva negato di aver partecipato al principale attentato per cui era ricercato, ma stando a quanto riferito dagli investigatori aveva detto di essere coinvolto in altri attacchi, e aveva fornito dettagli che solo lo stesso Kirishima avrebbe potuto conoscere, tra cui informazioni sulla sua famiglia. La tv giapponese NHK ha detto che Kirishima chiedeva di essere pagato in contanti e non aveva un telefono per evitare di essere rintracciato; secondo altre indiscrezioni, sembra che non avesse la patente né assicurazioni o altri documenti che potessero ricondurre a chi fosse veramente.
Sempre secondo fonti investigative sentite dal Japan Times, Kirishima avrebbe detto alla polizia di non avere da anni contatti con i membri del Fronte armato antigiapponese dell’Asia orientale e di aver vissuto da solo e senza l’assistenza di altre persone. Si sarebbe inoltre detto pentito per gli attentati compiuti dal gruppo, per cui in passato altre due persone erano state condannate a morte. Nel frattempo la polizia giapponese ha fatto sapere che continuerà a indagare per capire come sia riuscito a eludere qualsiasi controllo per più di 48 anni.