Le hanno provate tutte per far fare più figli ai sudcoreani, tranne una
Negli ultimi anni i governi hanno speso tantissimo per risolvere la grave crisi demografica, ma non hanno rimediato alle discriminazioni subite dalle donne che diventano madri
La Corea del Sud è da anni il paese del mondo con il più basso tasso di fecondità, cioè con il più basso numero medio di figli per donna, che nel 2023 è ulteriormente diminuito. Secondo i dati demografici più recenti, diffusi mercoledì dall’Istituto nazionale di statistica sudcoreano (KOSTAT), il numero medio di figli per donna in età fertile è sceso da 0,78 a 0,72 tra il 2022 e l’anno successivo. Per confronto in Italia, che è comunque tra i dieci paesi del mondo in cui il tasso di fecondità è più basso, il numero medio di figli per donna è stato di 1,24 nel 2022 secondo i dati dell’ISTAT. Perché una popolazione resti costante nel tempo il tasso di fecondità dovrebbe essere di 2,1.
La crisi demografica è una grossa minaccia per la crescita economica e la sostenibilità dei sistemi di welfare in gran parte dei paesi con economie sviluppate, ma in Corea del Sud in modo particolare: per questo è stata definita un’emergenza nazionale. Se non ci saranno dei cambiamenti da qui a fine secolo la popolazione sudcoreana, che attualmente conta 51 milioni di persone, si sarà dimezzata e nei prossimi cinquant’anni più della metà dei sudcoreani avrà più di 65 anni. Per questo il governo sta portando avanti da tempo delle politiche per spingere le famiglie giovani a fare figli, che però finora sono state dei fallimenti.
Dal 2006 lo stato ha speso più di 360mila miliardi di won, cioè 249 miliardi di euro, in sussidi per gli asili nido e altre misure del genere senza riuscire a ottenere un aumento delle nascite annuali. In questi anni sono stati dati molti incentivi economici alle coppie sposate (solo il 2 per cento delle nascite del 2022 è avvenuta fuori dal matrimonio) che fanno figli o vogliono farli, come sussidi mensili, facilitazioni per ottenere alloggi pubblici, servizi di trasporto gratuiti e copertura delle spese mediche per i trattamenti di fertilizzazione in vitro.
Nessuna di queste iniziative ha funzionato e per questo sono state tentate strategie meno consuete, come l’esenzione dal servizio militare – che in Corea del Sud è obbligatorio per la popolazione maschile – per gli uomini che hanno tre figli prima di compiere 30 anni e l’assunzione di baby sitter provenienti da paesi del Sud-est asiatico. Ma anche l’organizzazione di “appuntamenti al buio” di gruppo per le persone single.
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Finora però i governi non hanno fatto grossi interventi riguardo all’aspetto che secondo molte donne sudcoreane è la causa della crisi demografica (e che secondo diversi studi ha un’incidenza sui tassi di fecondità in molti paesi del mondo): le difficoltà sul lavoro che le stesse donne devono affrontare dopo la prima maternità, come ha spiegato un’inchiesta di BBC News della corrispondente a Seul Jean Mackenzie. In Corea del Sud le donne che sono madri hanno grosse difficoltà a ottenere promozioni e in generale subiscono molte discriminazioni, e i ruoli di genere tradizionali sudcoreani, ancora molto dominanti nel paese, prevedono che siano le madri a occuparsi prevalentemente dei figli. È molto diffusa l’idea che per i primi due o tre anni di vita di un bambino la madre debba smettere di lavorare per prendersene cura.
Al tempo stesso le giovani donne sudcoreane di oggi (così come i giovani uomini) sono state cresciute all’interno di una cultura molto competitiva, che spinge a essere ambiziosi sul lavoro, ed è quindi in contraddizione con i retaggi del passato che riguardano le strutture familiari.
Sia i lavoratori che le lavoratrici hanno diritto a un congedo parentale di una durata complessiva di un anno nei primi 8 anni di vita di un figlio, ma nel 2022 solo il 7 per cento dei nuovi padri ha sfruttato questa possibilità, contro il 70 per cento delle nuove madri. I padri che partecipano attivamente alla cura dei figli nella quotidianità sono una rarità.
Le donne sudcoreane si sentono spesso costrette a scegliere tra la scelta di sposarsi e avere dei figli e quella di costruirsi una carriera, e molte scelgono di non cercare una relazione e non avere figli per concentrarsi sul lavoro, sia per ragioni di realizzazione personale che economiche.
C’entrano anche gli alti costi dell’istruzione. Secondo uno studio recente realizzato dall’istituto di ricerca demografico cinese YuWa, la Corea del Sud è il paese del mondo in cui è più costoso crescere dei figli, nonostante tutti gli incentivi economici promossi dai governi degli ultimi vent’anni. Questo perché è comunissimo per le famiglie investire in attività extrascolastiche per i figli: secondo una ricerca del 2022 solo il 2 per cento dei genitori sudcoreani non spende soldi in questo modo. Anche questo fenomeno è legato all’alta competitività promossa in Corea del Sud nelle scuole e sul lavoro.
Secondo le previsioni il tasso di fecondità sudcoreano continuerà a diminuire nel 2024: è stato stimato che arriverà a 0,68 figli per donna in età fertile. Seul, la capitale del paese e la città attorno a cui vive circa metà della popolazione sudcoreana, è il posto in cui è più basso: è stato di 0,55 l’anno scorso. Tra i paesi col minor numero di figli per donna nel 2022 ci sono due paesi vicini alla Corea del Sud, che hanno entrambi registrato record negativi in questo ambito: il Giappone è arrivato a un tasso di fecondità di 1,26, la Cina di 1,09.
Ad aprile in Corea del Sud ci saranno le elezioni parlamentari e tutti i partiti principali hanno promesso più alloggi pubblici e condizioni più vantaggiose per i mutui per favorire la natalità. Questo mese il presidente Yoon Suk Yeol ha riconosciuto che finora tutti i tentativi per risolvere la crisi demografica «non hanno funzionato».
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