Da dove vengono le lingue inventate
Quelle di film, serie o libri fantasy nascono spesso da docenti, linguisti o semplici appassionati che dedicano mesi a elaborarle nei dettagli, a volte senza chiedere niente in cambio
In libri, film e videogiochi ambientati in universi fantastici capita spesso di trovare parole, sistemi di scrittura o intere lingue inventate. Queste lingue si dicono “pianificate” o “artificiali”, per distinguerle da quelle generalmente dette “naturali”, ovvero sviluppate da una comunità nel corso del tempo. Servono soprattutto a comunicare una sensazione di immediata estraneità a chi le legge e a ricordargli che i personaggi che parlano tra loro hanno una storia e una cultura diversi da quelli a cui si è abituati.
Talvolta sono gli autori stessi a ideare le lingue artificiali incluse nelle loro opere. L’esempio più celebre è quello di J.R.R. Tolkien, che insegnava inglese antico all’Università di Oxford e inventò una grammatica e un vocabolario diversi per almeno quindici lingue e dialetti diversi, per rendere l’idea dell’evoluzione delle varie popolazioni di abitanti di Arda, l’universo in cui è ambientata la trilogia del Signore degli Anelli. Più spesso però gli autori non sono anche esperti di linguistica, e preferiscono limitarsi a inventare solo qualche parola. O, in alternativa, chiedere una consulenza a esperti inventori di lingue.
L’invenzione di nuove lingue non è un fenomeno recente, e non serve soltanto a immaginare i modi in cui comunicherebbero tra loro specie aliene o abitanti di regni lontani. Il primo caso documentato di lingua artificiale è la Lingua Ignota sviluppata da Ildegarda di Bingen, una monaca del dodicesimo secolo che si ipotizza abbia creato questa lingua segreta per fini mistici, cioè secondo lei per comunicare più direttamente con Dio. La Lingua Ignota è descritta in parte in un’opera intitolata Lingua Ignota per hominem simplicem Hildegardem prolata, di cui sono sopravvissuti solo due manoscritti, entrambi risalenti al Duecento: nella pratica si tratta di un glossario di oltre mille parole completamente nuove, per lo più sostantivi e aggettivi, a cui viene applicata la grammatica latina. Risale invece al sedicesimo secolo il Balaibalan, lingua artificiale scritta con l’alfabeto arabo e creata con ogni probabilità a fini sacri da un derviscio turco di origine persiana di nome Muhyî-i Gülşenî, ma elaborata e ampliata da una più ampia comunità di persone che vivevano sotto l’impero ottomano.
La categoria delle lingue artificiali si può dividere in tre ampie categorie. Ci sono le cosiddette “lingue logiche”, sviluppate da filosofi o linguisti per verificare o dimostrare una certa ipotesi circa il funzionamento delle lingue o il loro potenziale; le lingue ausiliarie, come l’esperanto o l’interlingua, create per facilitare la comunicazione tra persone che parlano lingue diverse; e le “lingue artistiche”, come il klingon di Star Trek o appunto le lingue create da Tolkien, che servono soprattutto a fini estetici, ovvero per aiutare lettori e spettatori a immergersi nella storia che hanno davanti.
La Language Creation Society riunisce gli appassionati di tutti questi diversi tipi di lingue artificiali. È stata fondata nel 2007 da un gruppo di linguisti statunitensi in California ed è un’organizzazione internazionale non profit che serve, in primo luogo, a mettere in contatto appassionati del tema, permettendo loro di discutere più facilmente dei dettagli di un interesse piuttosto di nicchia. Oltre a organizzare conferenze a cadenza biennale, mette anche a disposizione uno “spazio di lavoro” su Slack, ovvero una piattaforma digitale divisa in canali dove tutti i membri possono chiacchierare tra loro su diversi temi, e una riunione online su Zoom. Di tanto in tanto l’organizzazione mette in contatto i propri membri con autori o sceneggiatori che hanno bisogno di una mano per la creazione di una lingua per il loro universo.
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Di recente, per esempio, l’antropologo italiano Francesco Bravin, che è socio della Language Creation Society, ha scoperto di aver contribuito all’inserimento di alcune frasi in dialetto veneziano nel nuovo libro di Cassandra Clare, scrittrice statunitense nota soprattutto per la serie di libri Shadowhunters, da cui nel 2013 fu tratto il film Shadowhunters – Città di ossa. «Qualche mese fa l’assistente di una scrittrice non meglio identificata si è messa in contatto con l’associazione: il suo capo voleva inserire nel romanzo dei dialoghi che fossero in antico francese, in occitano oppure in veneziano», racconta. «Io l’ho contattata dicendole che sono mezzo milanese e mezzo friulano, e che quindi potevo proporle qualche frase in milanese, friulano o veneziano. Lei mi ha mandato degli esempi di frasi da tradurre, e alla fine ha scelto il veneziano. Ma non sapevo nulla su chi fosse la scrittrice o di cosa parlasse il suo libro: l’ho scoperto solo qualche giorno fa, dopo la pubblicazione».
Il libro in questione era appunto Lo scudo del principe, il nuovo romanzo di Clare, pubblicato in italiano da Mondadori. Lo scudo del principe è ambientato in un regno che si chiama Castellane che confina con un altro chiamato Sarthe, dove si parla veneziano. Per esempio in un passaggio della traduzione italiana (di Roberta Maresca e Alessandra Roccato) si legge:
Luisa gli lanciò un’occhiata, sorrise, poi aggrottò le sopracciglia e disse speditamente in sarthiano: «Mì pensave che xéra el Prìnçipe, el ghe soméja tanto».
«Pensava che foste il Principe» tradusse Vienne. «Dice che gli assomigliate molto.»
Kel si rivolse a Luisa. «Cosin.»
Luisa gli fece un sorriso con i suoi denti radi. «Dove xéło el Prìnçipe? Xéło drìo a rivar a zogar con mì?»
Vienne recuperò la palla dalla fontana dove Luisa l’aveva fatta cadere. «Il Principe non può venire ora, cara, ha degli impegni. Ma sono sicura che preferirebbe giocare.»
Chiaramente il veneziano non può essere considerato una lingua artificiale, dato che è ancora parlato da centinaia di persone a Venezia ed è stato per vari secoli la lingua ufficiale della Repubblica di Venezia, anche se in una variante un po’ diversa da quella che si parla oggi. Ma alcuni membri della Language Creation Society sono noti per aver creato alcune delle lingue inventate più celebri della cultura pop degli ultimi anni. Uno dei fondatori, per esempio, è David J. Peterson, che ha sviluppato tra le altre cose varie lingue parlate in serie tv fantasy come Game of Thrones (la lingua dothraki, l’alto valyriano e alcune altre lingue che non sono poi state incluse nell’ultima versione della serie, come la lingua degli Estranei e quella dei Bambini della Foresta), The Witcher (l’Hen Llinge, lingua usata da elfi e maghi) e Tenebre e ossa, ma anche per film come Doctor Strange, Thor: The Dark World e Dune.
Peterson, che ha studiato linguistica all’Università della California, ha raccontato che è stato chiamato a lavorare per Game of Thrones perché George R. R. Martin, l’autore della serie di libri da cui è tratta la serie, non aveva creato lingue complete per i vari popoli di cui racconta le storie, limitandosi a inventare qualche frase o parola sparsa. Dice di aver lavorato tra le dodici e le quattordici ore al giorno per due mesi per creare una grammatica di 300 pagine che spiegasse nel dettaglio la fonetica e la funzione delle parole in dothraki: tra le altre cose, è stato lui a decidere che il popolo dothraki non possedesse una parola per dire «grazie». Oggi dice che lo stesso Martin lo contatta di tanto in tanto per chiedergli consigli sulle parole da usare in The Winds of Winter, penultimo libro della saga a cui lo scrittore sta lavorando da oltre un decennio.
Non è necessario essere iscritti ad associazioni come la Language Creation Society per trovare gruppi di appassionati di lingue artificiali: soprattutto su piattaforme come Facebook, Discord o Reddit è piuttosto facile trovare grandi gruppi di persone interessate a vari aspetti di questo campo. «Certo, la maggior parte delle lingue artificiali non ha nessun parlante: nemmeno la persona che l’ha inventata la sa davvero parlare. Al massimo sa tradurre una frase all’occorrenza», spiega Bravin. «Ma se appaiono in romanzi, film o serie tv è più facile che qualcuno si appassioni e vada a impararsela». Sia su Discord che su Reddit c’è stata a lungo una comunità di un migliaio di persone che tra loro facevano pratica di dothraki, per esempio. Altre lingue artificiali come il quenya e il sindarin, inventate da Tolkien, o il Na’vi, lingua dell’universo dei film di Avatar, hanno comunità di parlanti ancora più estese.
Il klingon, lingua parlata da una specie aliena della serie tv fantascientifica di culto Star Trek, è forse l’esempio più celebre. La lingua è stata creata negli anni Settanta dal professore di linguistica Marc Okrand, che produsse un sistema di regole grammaticali e di vocaboli molto completo: oggi ci sono intere comunità di persone che parlano esclusivamente klingon tra loro, ma anche corsi di lingua e traduttori automatici che permettono di tradurre qualsiasi frase in klingon. C’è chi ha tradotto in klingon intere opere di William Shakespeare e chi sta provando a tradurre tutto l’Antico Testamento. Nel 2016 un gruppo di parlanti provò addirittura a produrre un film in cui utilizzava la lingua senza chiedere il permesso a CBS e Paramount, che però in teoria possiedono il copyright del klingon in quanto produttori di Star Trek. Le due aziende denunciarono i fan per violazione del copyright, portando a una grossa discussione sull’appropriazione culturale all’interno della comunità di appassionati di lingue artificiali.
E poi ci sono semplicemente gli autori che sono appassionati di linguistica ed etimologia e lavorano quindi da soli alle lingue da inserire nei propri romanzi, come Tolkien a suo tempo. Samantha Shannon, scrittrice inglese autrice di vari best seller fantasy pubblicati nell’ultimo decennio, ha detto per esempio di pensare a fondo ai sistemi linguistici dei propri romanzi, investendoci anche vari mesi. L’ha definita «una sfida stimolante, ma anche un’eterna fonte di frustrazione».
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