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  • Martedì 27 febbraio 2024

Nella Repubblica Democratica del Congo si rischia una nuova guerra

I ribelli del gruppo M23, sostenuti dal vicino Ruanda, stanno attaccando la città di Goma, nell'est del paese, e ci sono rischi che i combattimenti si estendano a tutta la regione

Persone lungo la strada di Kibumba, a nord di Goma, mentre scappano dai combattimenti tra le forze congolesi e i ribelli dell'M23 nel Nord Kivu, 24 maggio 2022 (AP Photo/Moses Sawasawa, File)
Persone lungo la strada di Kibumba, a nord di Goma, mentre scappano dai combattimenti tra le forze congolesi e i ribelli dell'M23 nel Nord Kivu, 24 maggio 2022 (AP Photo/Moses Sawasawa, File)
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Nelle scorse settimane nella Repubblica Democratica del Congo, il paese più grande dell’Africa sub-sahariana coinvolto da decenni in lotte interne e crimini di guerra, le milizie ribelli del “Movimento per il 23 marzo” (M23) hanno lanciato una serie di attacchi nella provincia orientale del Nord Kivu, che si trova al confine con il Ruanda, e contro Goma, la città più grande della regione.

Le violenze dell’ultimo mese hanno costretto almeno 135mila persone ad abbandonare le proprie case e a rifugiarsi nei campi per sfollati alla periferia di Goma dove stanno vivendo in condizioni umanitarie e di sicurezza molto precarie: più di un milione di sfollati interni dall’inizio dell’anno sono «ammassati a Goma e nei dintorni, necessitano di riparo, cibo, servizi igienici e assistenza sanitaria», ha detto Tigere Chagutah, direttore di Amnesty International per l’Africa orientale e meridionale.

Gli attacchi dei guerriglieri dell’M23 si sono a tal punto intensificati che molti analisti temono lo scoppio di una nuova guerra, e che il gruppo si prepari ad assediare Goma, una grande città in cui vivono più di 700mila persone. La linea del fronte tra i ribelli e l’esercito si trova ora a cavallo di quella che era l’ultima strada per Goma controllata dal governo: i ribelli dell’M23 circondano di fatto la città.

La regione orientale della Repubblica Democratica del Congo è un posto complicato e instabile. In quest’area sono attivi diversi gruppi armati, come per esempio le Forze Democratiche Alleate (Adf), affiliate allo Stato Islamico (ISIS). Ma i combattimenti che si sono intensificati nelle ultime settimane sono dovuti ai ribelli dell’M23 che, secondo il governo congolese e diversi esperti delle Nazioni Unite, sono sostenuti dal vicino Ruanda, che starebbe conducendo contro la Repubblica Democratica del Congo una guerra per procura, cioè una guerra indiretta condotta usando un altro gruppo sul campo, come appunto i ribelli dell’M23.

Il conflitto in corso ha molto a che fare con l’odio etnico. I gruppi dominanti nella regione dei Grandi Laghi, quella che comprende Ruanda, Burundi, Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania e Kenya, sono principalmente due: Hutu e Tutsi. Il genocidio in Ruanda del 1994 segnò il culmine dello scontro tra queste due etnie: gli Hutu, che erano più numerosi, massacrarono centinaia di migliaia di Tutsi, che erano meno ma che per varie ragioni, determinate anche dalle decisioni dei vecchi dominatori coloniali, occupavano il grosso dei posti di potere.

– Leggi anche: Il giorno in cui iniziò il genocidio in Ruanda

Dopo il genocidio i Tutsi tornarono al potere in Ruanda, costringendo molti Hutu a migrare in massa in Congo. Da allora il Ruanda ha un interesse particolare per la situazione congolese. Sostiene che la Repubblica Democratica del Congo abbia protetto e cooperato con le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), una milizia formata dagli Hutu fuggiti dopo il genocidio e i cui primi leader erano ufficiali dell’esercito responsabili del genocidio della minoranza Tutsi ruandese.

A sua volta il Congo accusa il Ruanda di sostenere i ribelli dell’M23, che sono prevalentemente di etnia Tutsi e rivendicano il loro ruolo di protettori dei Tutsi congolesi.

Il Ruanda ha a lungo negato il proprio coinvolgimento in Congo, ma lo scorso dicembre le Nazioni Unite hanno fornito le prove che i combattenti dell’M23 fossero stati addestrati in Ruanda, insieme a filmati e fotografie aeree di interventi diretti e rinforzi di truppe dell’esercito del Ruanda nel territorio congolese.

L’odierno M23 è l’erede diretto del “Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo” (CNDP), una formazione paramilitare di Tutsi attiva dal 2006 nelle province orientali del Congo. Nel 2009, dopo la cattura di Laurent Nkunda, il leader dell’epoca del CNDP, venne raggiunto un accordo che includeva la rimozione delle truppe dal Nord Kivu, l’integrazione dei combattenti nell’esercito e l’evoluzione del CNDP in un partito politico tradizionale. Il trattato di pace in questione fu firmato il 23 marzo 2009 ed è proprio al 23 marzo che il gruppo di ribelli M23 fa riferimento, per sottolinearne il carattere fallimentare.

Dopo una prima fase di combattimenti già nel 2009, in cui i guerriglieri dell’M23 presero brevemente il controllo di Goma, il gruppo è tornato attivo alla fine del 2021.

Oggi a difendere Goma, oltre all’esercito regolare del Congo, scarsamente equipaggiato, ci sono dei gruppi armati riuniti sotto il nome di Wazalendo, che significa “patrioti” in lingua swahili. Ma sono coinvolte, nel fornire addestramento e supporto tecnico all’esercito del Congo, anche compagnie militari private europee composte, per esempio, anche da ex membri della Legione straniera francese. Poi c’è il Burundi, vicino sia al Congo che al Ruanda, che ha a sua volta schierato più di mille soldati per combattere a fianco dell’esercito congolese.

Dall’inizio del 2000, in Congo, ci sono anche circa 16mila peacekeeper delle Nazioni Unite che fanno parte della missione che oggi si chiama MONUSCO e verso la quale, nel paese, c’è sempre una maggiore sfiducia e insofferenza. Nelle ultime settimane a Kinshasa, la capitale del Congo, così come in diverse altre città, sono state organizzate delle proteste contro la missione, accusata di non essere mai riuscita a tutelare i civili dalle molte milizie attive nella regione. Anche diversi analisti e commentatori ritengono MONUSCO assai inefficace, benché sia una delle missioni di peacekeeping più grandi al mondo. Lo scorso dicembre, accogliendo una richiesta del governo congolese, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha votato a favore del ritiro graduale della missione che finirà quindi un anno prima del previsto: a partire da maggio, le forze delle Nazioni Unite saranno presenti solo nelle province del nord, con un contingente che dal primo luglio potrà contare solo su 2.350 unità.

Infine, nel dicembre del 2023, la Comunità di sviluppo dell’Africa australe, ha istituito una missione militare per aiutare il Congo a ripristinare la pace e la sicurezza nella parte orientale: è composta da 2.900 soldati del Sudafrica, della Tanzania e del Malawi.

Anche a causa della presenza di molte e differenti forze in campo, l’attuale crisi nell’est del Congo rischia di diventare una guerra regionale.

«I combattimenti si stanno chiaramente intensificando», ha detto per esempio Pierre Boisselet, ricercatore sui conflitti presso un think tank locale. Che la situazione sia allarmante è stato segnalato anche nel rapporto del Gruppo di esperti sul Congo delle Nazioni Unite, pubblicato alla fine del 2023. Xia Huang, inviato speciale per la regione dei Grandi Laghi, riferendosi al rischio di uno scontro diretto tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda ha detto: «Il rafforzamento militare in entrambi i paesi, l’assenza di un dialogo diretto ad alto livello e la persistenza dell’incitamento all’odio sono tutti segnali preoccupanti che non possiamo ignorare».

Entrambi i principali paesi in campo, Congo e Ruanda, si rifiutano però di arrivare a una fine del conflitto, nonostante le mediazioni portate avanti soprattutto dalle Nazioni Unite e dagli Stati Uniti.

Il Congo ha oltre 100 milioni di abitanti ed è un paese estremamente povero, con un accesso molto basso ai servizi di base, gravi carenze infrastrutturali e un’inflazione molto alta. Il conflitto e i bombardamenti rendono difficilissimo portare aiuti a civili e sfollati. Le strade non sono sicure e le zone più remote sono inaccessibili. Negli ultimi trent’anni le persone uccise in attacchi di gruppi armati e nelle violenze locali sono state oltre sei milioni. La Repubblica Democratica del Congo è tra i paesi che hanno più sfollati interni al mondo: da marzo 2022 a oggi quasi sette milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case.