Fenomenologia dei sex party tra sole donne
Servono a esplorare in modo più sicuro e rilassato pratiche e fantasie anche spinte, e ultimamente hanno molto successo
di Viola Stefanello
Sono le dieci di sera di un sabato di gennaio, e fuori da una villetta apparentemente ordinaria nel nord di Londra decine di donne sono in fila indiana, pronte a fare festa. Si scambiano qualche parola tra sconosciute: molte vivono a Londra anche se vengono da vari paesi diversi, ma c’è chi ha affittato una stanza per il weekend solo per essere lì. Molte sono venute da sole, altre si sono già conosciute a feste simili. Hanno tra i venti e i trent’anni circa: alcune hanno addosso pantaloni lunghi e maglioni che più tardi si toglieranno, altre sono uscite di casa già in abiti succinti. All’interno la musica è elettronica, alta ma non altissima, e la luce violetta.
Sono tutte in fila per una serata di One Night Parties, una serie di eventi che dal 2019 rientra nel genere play party, cioè feste indirizzate soprattutto alle persone interessate alle pratiche BDSM (acronimo che sta per Bondage e Disciplina, Dominazione e Sottomissione, Sadismo e Masochismo). Servono a far conoscere persone con interessi simili – ovvero che fanno parte della cosiddetta comunità “kinky”, o ne sono incuriosite – e a mettere a disposizione della comunità spazi e strutture che possano essere usati per esplorare le loro fantasie, soprattutto sessuali: frustini, corde, candele, panche, grosse gabbie o croci di Sant’Andrea. Di play party ne esistono tantissimi, in tutta Europa, e non solo nelle città più grandi. One Night Parties, però, rientra in una nicchia molto più ristretta, che negli ultimi anni sta avendo particolare fortuna nel Regno Unito ma di cui si trova qualche esempio anche in Italia: quella dei play party per sole donne.
I play party e i sex party si distinguono tra loro perché i primi si rivolgono specificatamente alla comunità kinky e alle sue necessità, mentre i secondi attirano anche persone che hanno gusti sessuali più tradizionali, tra cui molte coppie che cercano una terza o quarta persona con cui fare sesso, o gente a cui piace fare sesso davanti ad altre persone. In entrambi i casi, quasi tutti gli eventi a disposizione sono misti, ovvero aperti a uomini, donne e persone non binarie (cioè la cui identità di genere non è né femminile né maschile).
Da decenni esiste poi una solida tradizione di locali (soprattutto bar o saune) dove si trovano gli uomini gay in cerca di rapporti sessuali occasionali. In più, a Torino o a Bologna come a Berlino, Parigi o New York sono spuntate da qualche anno anche feste aperte a tutti, ma nate per mettere al centro le necessità e i desideri delle persone queer, termine con cui si intendono tutte le persone che non sono esclusivamente eterosessuali o cisgender, ovvero che non si riconoscono nel genere corrispondente al sesso biologico. E quindi gay, lesbiche, bisessuali e pansessuali, ma anche persone trans e non binarie.
L’idea di party a sfondo sessuale che coinvolgano soltanto donne attratte da altre donne, però, rientra nell’immaginario comune ancora meno dei party misti, anche per via di molti stereotipi sul desiderio femminile, spesso considerato meno intenso di quello maschile. Eppure esistono, e rispondono anche a una certa richiesta, cresciuta molto dopo la fine delle restrizioni legate alla pandemia da coronavirus.
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Oltre alle feste private, a cui si può accedere solo su invito personale e che quindi dipendono dal proprio giro di conoscenze, negli ultimi anni sono nate varie serate che sono relativamente semplici da trovare su Instagram o sulle piattaforme dedicate agli eventi di una specifica città. Gli eventi di One Night, per esempio, sono passati dai primi party nel 2016 che contavano qualche decina di persone a eventi molto grandi, che contano anche ottocento persone: i biglietti risultano spesso esauriti nell’arco di mezz’ora.
In Italia a proporre una cosa simile è il gruppo KinkyGirls, che organizza play party a cadenza mensile che attirano in media una quarantina di donne a serata, che vanno dai venti ai cinquant’anni. Più saltuariamente a Milano e Roma ci sono anche eventi di Skirt Club, che organizzano sex party dedicati specificatamente alle donne bisessuali che per un motivo o per l’altro fanno fatica a esplorare la propria attrazione sessuale per le donne nella propria vita di tutti i giorni.
«I club e i bar tradizionali ci hanno mostrato che gli spazi incentrati sui desideri maschili creano facilmente situazioni predatorie o di invasione dello spazio personale», si legge sul sito delle organizzatrici di One Night. «Il nostro è uno spazio dedicato invece al nostro piacere, all’educazione, all’intrattenimento e alla liberazione sessuale». Chiunque voglia iscriversi deve passare un primo controllo online, completando un formulario in cui viene richiesta anche la copia di un documento d’identità e il link ad almeno un profilo personale sui social network: oltre alle donne cisgender, sono ben accette anche le donne transgender e le persone non binarie.
Feste di questo tipo rispondono a vari bisogni stratificati, che variano da persona a persona ma hanno spesso elementi in comune. Il più immediato è che, semplicemente, ci sono molte donne attratte da altre donne che si interessano a pratiche BDSM e vogliono esplorare questa parte di sé in un ambiente sicuro e controllato. A queste feste quasi sempre sono presenti figure dette “dungeon monitor” (letteralmente “controllore della prigione”), che si assicurano che le persone coinvolte in attività anche pericolose lo facciano nel modo più sicuro possibile.
A seconda della festa, degli interessi delle partecipanti e delle strutture a disposizione, infatti, ai play party succedono molte cose diverse. C’è chi frusta e si fa frustare, chi si fa sciogliere addosso la cera, chi fa la lotta sul pavimento e chi si fa camminare addosso da qualcuno (anche in modo molto doloroso, magari con i tacchi a spillo), chi viene legata e talvolta anche fatta pendere da una struttura in una pratica che si chiama shibari. È raro, anche se non impossibile, che venga dedicato uno spazio per ballare, e spesso queste feste hanno un piccolo bar che vende bevande alcoliche, ma sconsigliano attivamente di assumerne troppe, perché dare il proprio consenso diventa più difficile da brilli o ubriachi. Per lo stesso motivo le droghe sono maltollerate, se non attivamente vietate.
La maggior parte di queste feste non permette fotografie al suo interno, per proteggere la privacy delle partecipanti. Alcuni, come One Night, permettono però di scegliere al momento del proprio arrivo se essere fotografate del tutto, se comparire soltanto in fotografie dove non si vede la faccia o se essere escluse da qualsiasi foto: a seconda della decisione viene dato loro un braccialetto verde, arancione o rosso per segnalarlo.
In alcuni eventi ci sono stanze anche per giochi meno comuni: un bagno con una vasca abbastanza capiente può essere trasformato in uno spazio per il pissing (una pratica che consiste nell’urinare addosso al o alla partner, che ne trae eccitazione sessuale). Nella maggior parte dei casi, le partecipanti hanno studiato e appreso le pratiche che vogliono mettere in atto prima dell’evento, e le persone alle prime armi chiedono a quelle più esperte consigli su cosa fare e che risorse consultare. Per esempio, ci sono persone che vengono eccitate dall’inserimento di aghi sotto la propria pelle, nel cosiddetto “blood play”: è chiaramente una pratica molto pericolosa se non si sa bene cosa fare, anche perché gli aghi devono necessariamente essere inseriti in maniera particolarmente delicata e senza essere mai conficcati troppo in profondità, il che richiede una certa manualità ed esercizio. Attorno alle coppie o ai gruppi di persone che svolgono una pratica particolarmente complessa si forma spesso un capannello di gente curiosa, interessata a imparare o a osservare il modo in cui il corpo altrui reagisce a determinati stimoli.
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«Progetti come il nostro smentiscono tutti i luoghi comuni sulle donne che si fanno le carezzine con le piumette e le manette di peluche: alle nostre feste si va dagli aghi ai bisturi alle corde e fruste di ogni sorta», dice Deborah Di Cave, una delle fondatrici del collettivo KinkyGirls, che organizza play party per sole donne una volta al mese a Roma. Come spesso accade, non ha un locale fisso, ma si sposta di spazio in spazio a seconda della disponibilità della stagione: le uniche cose importanti sono che il locale abbia qualche struttura a disposizione per i giochi e che richieda il tesseramento all’ingresso, per evitare di essere accusate di atti osceni in luogo pubblico.
Secondo Di Cave, uno dei punti centrali del loro progetto – che definisce “separatista” – è creare un immaginario e un’atmosfera diversa da quella che si crea ai play party misti, dove può succedere che le donne assumano ruoli in cui non sono totalmente a proprio agio per compiacere i desideri dell’uomo con cui stanno. Per rispondere a questa problematica, altri party hanno deciso di non escludere tutti gli uomini, ma di permettere l’ingresso soltanto a un piccolo numero selezionato con cui le partecipanti hanno già un rapporto di fiducia e rispetto: è il caso di Killing Kittens, uno dei più storici sex party di Londra. Altri fanno invece la scelta esplicita, e spesso politica, di creare uno spazio per sole donne, appunto.
«Ai nostri party c’è tantissima relazione, facciamo tantissimo lavoro sul consenso perché le donne sono abituate quotidianamente a non essere ascoltate e a non pensare ai propri desideri», spiega. «Organizzare un evento che metta al centro le donne porta a rispondere domande necessariamente politiche. Chi sono le donne? Quali sono le loro esperienze comuni? Quali le loro esigenze? Confrontandoci su tutte questioni siamo diventate di fatto un collettivo transfemminista. E abbiamo creato un sistema di accoglienza e inclusività, di socializzazione comunitaria che fa sì che nessuna nuova arrivata si senta sola».
Certi play party incoraggiano i rapporti sessuali completi, mettendo a disposizione letti o stanze relativamente appartate per coppie o sesso di gruppo, ma anche lubrificante, preservativi, talvolta dental dam e una selezione di sex toys che si possono prendere in prestito; altri si concentrano di più sulle altre pratiche, anche se il sesso non è quasi mai vietato. One Night fa parte della prima categoria, KinkyGirls della seconda. La fondatrice di questi ultimi eventi spiega che «succede che si faccia del sesso tra donne, o che la gente torni a casa in gruppo: sono cose molto belle, che siamo contente che succedano, ma che non fanno parte del nostro lavoro all’interno del party».
Alcune donne, però, cercano specificatamente luoghi dove incontrare altre donne, in un contesto in cui gli spazi dedicati alla comunità lesbica sono molto più rari e più precari rispetto a quelli per la comunità gay maschile. Spesso, i sex party attraggono particolarmente donne bisessuali che, pur sapendo di essere attratte sia da uomini che da donne, hanno molta meno esperienza nel flirtare e comunicare il proprio desiderio alle altre donne. In questi casi, essere inserite in un contesto sexy rende molto più facile e rilassante l’approccio, ed evita il rischio che i propri tentativi di approccio vengano mal interpretati come semplici complimenti tra amiche.
«Quando vai a un sex party misto, per quanto possa essere figo o molto queer, incontri molte coppie uomo-donna che cercano una terza persona, quasi sempre una ragazza, per fare un threesome. Che ci può stare, ma non è quello che tutte stanno cercando», racconta Carolina Are, ricercatrice bisessuale che vive a Londra e frequenta spesso party per sole donne. «E anche quando esco con altre ragazze – soprattutto quelle che si presentano, come me, in modo più “femme”, cioè più vicino a una presentazione di genere tradizionalmente femminile – spesso mi trovo in dinamiche in cui mi sembra che stiamo impostando più un’amicizia che una situazione di flirt. Quindi la cosa positiva dei party per sole donne è che tutte sappiamo perché siamo lì, e questa dinamica in cui nessuna fa il primo passo con l’altra viene meno. Oltre al fatto che rimuovere il peso dello sguardo maschile eterosessuale, che guarda le donne come oggetti sessuali atti a soddisfare solo i suoi desideri, rende l’ambiente più rilassante».
Alcuni party si rivolgono ancora più esplicitamente alle donne bisessuali che vogliono esplorare la propria attrazione verso le donne, anche perché all’interno della comunità lesbica continua a esistere un certo stigma nei confronti delle donne bisessuali o pansessuali, considerate poco affidabili e indecise, interessate alle donne lesbiche solo come esperimento sessuale e non come potenziali partner stabili. È il caso di Skirt Club, una serie di eventi fondata a Londra nel 2014 e oggi presente in tantissime grandi città, tra cui anche Milano e Roma. Al contrario di feste come KinkyGirls, che cercano di mantenere il prezzo del biglietto d’ingresso piuttosto basso per permettere anche alle donne meno abbienti di partecipare, Skirt Club si rivolge apertamente a un pubblico di professioniste più o meno facoltose, che possano permettersi eventi che costano anche tra i settanta e i cento euro. Nelle proprie comunicazioni sottolinea molto spesso di essere pensato per donne attraenti e «naturalmente eleganti», benché alle feste si presentino poi anche persone con stili piuttosto diversi tra loro. Ed è aperta solo alle donne cisgender, quindi non a donne trans.
Le feste di Skirt Club sono solitamente composte di due momenti: c’è un pre-party in cui le persone si conoscono tra loro, bevono qualche cocktail insieme e magari partecipano ad attività rompighiaccio come il gioco della bottiglia, in cui si fa girare una bottiglia al centro di un gruppo e si chiede alle due persone puntate di baciarsi tra loro. A un certo punto della serata, se il gruppo è abbastanza numeroso, ci si sposta in un appartamento preso in affitto per l’occasione, spesso molto lussuoso e ben arredato. Lì le orge sono non solo permesse, ma incoraggiate.
Genevieve LeJeune, la fondatrice di Skirt Club, dice di essersi decisa a fondare questi eventi dopo qualche esperienza infelice a sex party misti. «Sono stata a questa festa intitolata “Dove sono le ragazze a stabilire le regole”, e mi sono resa conto molto velocemente che non erano le ragazze a stabilire le regole», ha detto in un’intervista. «Sembrava tutto pensato a favore del piacere maschile. Sono stata presa per un braccio e schiaffeggiata sul sedere da vari uomini, e ho visto una donna che faceva sesso con un’altra davanti al suo partner, uomo. Lui stava uscendo di testa, ma negli occhi di lei non c’era nessuna eccitazione».
Le feste di Skirt Club attirano donne di tutte le età, ma più vicine ai quaranta o ai cinquanta che ai venti: spesso si incontrano persone sposate o fidanzate che hanno una relazione aperta con il partner e usano questo genere di evento per vivere un lato della propria sessualità che un uomo non può soddisfare. La giornalista di Vogue Jodie Bond, che ha partecipato a uno dei loro party, ha scritto che era già stata a vari sex party misti, ma che l’esperienza di Skirt Club è stata una cosa completamente diversa. «Le donne sono così abituate a essere esaminate e sessualizzate in ogni ambito della propria vita. Ci aspettiamo di essere guardate, osservate e analizzate dagli uomini, ed è strano e piacevole essere all’improvviso guardate soltanto da altre donne», ha scritto. «Non c’è paura, solo passione e giocosità. In un solo istante, le donne attorno a me riescono a sfatare il mito secondo cui il nostro desiderio sessuale sarebbe minore di quello maschile. Qui siamo tutte sia oggettivate che oggettivanti. Il campo di gioco è livellato».
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