In Messico i narcotrafficanti sono diventati più forti
Anche a causa delle politiche del presidente Andrés Manuel López Obrador, che hanno cercato di ridurre gli omicidi ma hanno concesso spazi al narcotraffico
Quando il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, di sinistra, assunse l’incarico nel 2018, promise che avrebbe posto fine alla guerra al narcotraffico che da oltre dieci anni stava tormentando il Messico, e che l’avrebbe fatto usando una strategia inedita: «Abrazos, no balazos», che significa: abbracci, non proiettili. L’idea era di limitare le occasioni di scontro tra i narcos e le forze dell’ordine, per contenere la violenza, e di concentrarsi sullo sviluppo sociale delle aree più povere del paese, quelle su cui i cartelli del narcotraffico hanno più presa.
Alla fine del suo mandato, molti analisti ritengono che la strategia «Abrazos, no balazos» non abbia ottenuto i risultati sperati. La violenza dei cartelli del narcotraffico non si è ridotta, e anzi in Messico ci sono stati almeno 30mila omicidi all’anno per cinque anni di fila, anche se si sono ridotti nell’ultimo anno: sono 23 ogni 100mila abitanti, 40 volte più che in Italia. E senza l’attività di repressione delle forze dell’ordine i narcos hanno molto spesso allargato i propri territori a zone del paese in precedenza pacifiche ed esteso le attività di traffico della droga. Questo sta provocando conseguenze anche fuori dal Messico: da mesi il numero dei migranti messicani arrivati al confine degli Stati Uniti è in forte aumento, anche a causa delle violenze dei cartelli.
La guerra del Messico al narcotraffico, per come la conosciamo oggi, cominciò nel 2006, quando l’allora presidente Felipe Calderón, di centrodestra, decise di inviare l’esercito nelle strade per contrastare con la forza le attività di traffico della droga. Ne scaturì una guerra feroce, nel corso della quale i cartelli del narcotraffico si organizzarono militarmente per rispondere all’esercito e in questo modo diventarono entità armate capaci di controllare il territorio e di farsi la guerra tra di loro.
Si stima che dal 2006 a oggi in Messico siano state uccise 450mila persone, il 70 per cento delle quali coinvolte nella violenza del narcotraffico.
Dopo Calderón anche i governi successivi, sostenuti dagli Stati Uniti, mantennero una simile linea dura di repressione e scontro aperto con i narcos: ottennero alcuni successi isolati, come l’uccisione o l’arresto di numerosi capi criminali, ma nel complesso non riuscirono a ridurre la violenza e a fermare l’espansione del potere dei narcos.
López Obrador è stato il primo a cambiare radicalmente strategia, e a puntare sullo sviluppo sociale e non sulla repressione. AMLO (così viene chiamato il presidente messicano, con un acronimo del suo nome completo) creò all’inizio del suo mandato un nuovo corpo di polizia di 125mila membri, la Guardia nazionale, che aveva il compito non tanto di contrastare attivamente i narcos ma di mantenere la pace sul territorio: «Non si può affrontare la violenza con la violenza, non si può spegnere il fuoco con il fuoco», disse. Stanziò inoltre enormi fondi per programmi di sviluppo sociale in varie aree del paese, con l’intento di privare i narcos dei loro bacini di reclutamento tra le fasce più povere della popolazione.
A più di cinque anni di distanza il piano non ha funzionato, così come non avevano funzionato quelli dei suoi predecessori. Le forze dell’ordine hanno effettivamente ridotto le occasioni di scontro violento con i narcotrafficanti: se nel 2018 la polizia aveva arrestato 21.700 persone, nel 2022 ne ha arrestate soltanto 2.800. Ma questo ha ridotto le violenze soltanto in parte, e soltanto nell’ultimo anno c’è stata una piccola riduzione del numero degli omicidi.
In compenso i cartelli del narcotraffico, che ormai sono organizzazioni militari strutturate, hanno approfittato del vuoto di potere lasciato dalle forze dell’ordine per farsi la guerra tra loro e conquistare nuovi territori.
Secondo l’International Crisis Group, un centro studi di Bruxelles, oggi in Messico operano circa 200 gruppi criminali e cartelli della droga (erano 76 nel 2010, segno che c’è stata una grande frammentazione). Semplificando molto, i cartelli si occupano principalmente di trasportare vari tipi di droga dai luoghi di produzione (Colombia, Perù, Bolivia) agli Stati Uniti e ad altri paesi ricchi come quelli europei, spesso in associazione con la criminalità organizzata locale. In Messico, poi, i cartelli si occupano anche di criminalità comune: estorsione, rapine, rapimenti, controllo del territorio.
I due principali cartelli della droga oggi in Messico sono il cartello di Sinaloa, uno dei più antichi e influenti (è quello di “El Chapo”, per intenderci) e il cartello Jalisco Nueva Generación, nato una decina di anni fa e spesso chiamato cartello di Jalisco.
Negli ultimi anni sono successe due cose fondamentali. Anzitutto i cartelli hanno fatto affari eccezionali, grazie a un forte aumento sia della domanda in Europa e negli Stati Uniti sia della produzione: in Colombia, per esempio, le coltivazioni di coca sono aumentate del 13 per cento nel 2021. In secondo luogo i cartelli, sempre più forti e senza le forze dell’ordine messicane a interferire, hanno cominciato a farsi la guerra tra loro per espandersi in nuovi territori.
Questi fenomeni si vedono molto bene in Chiapas, uno stato del Messico meridionale dove fino a pochi anni fa operava il cartello di Sinaloa. Le attività del cartello di Sinaloa in Chiapas erano tutto sommato incontrastate e questo consentiva il mantenimento di una certa calma: per anni il Chiapas è stato lo stato più sicuro di tutto il Messico. Ma nel 2021 il cartello di Jalisco è entrato nello stato, cominciando una guerra feroce tra cartelli che ha portato a un forte aumento della violenza e dell’insicurezza. Sono aumentati gli omicidi, ma anche le estorsioni e i rapimenti. I cartelli organizzano posti di blocco per le strade e impongono il coprifuoco nei territori che controllano.
Il Chiapas è ancora uno stato molto sicuro rispetto a quelli storicamente interessati dalla violenza del narcotraffico, come quelli del nord del paese e sulla costa orientale. Ma è uno di quelli in cui gli omicidi nel 2023 sono aumentati più nettamente, in contrasto con dati nazionali in lieve calo.
Le difficoltà nella lotta al narcotraffico non stanno però danneggiando politicamente López Obrador, come invece avevano danneggiato i suoi predecessori: secondo i sondaggi il suo livello di approvazione è attorno al 60 per cento, e alle elezioni di giugno la candidata da lui prescelta, Claudia Sheinbaum, è di gran lunga la favorita a succedergli.