Il Piemonte e la Lindt hanno trovato un compromesso sul gianduiotto
La controversia riguardava i requisiti per ottenere la futura certificazione IGP: l'azienda potrà continuare a usare il proprio marchio, anche se la ricetta è diversa
Mercoledì la Regione Piemonte, il Comitato del gianduiotto di Torino IGP e l’azienda dolciaria Lindt hanno trovato un compromesso sui requisiti necessari per avvalersi della denominazione IGP sul gianduiotto, il noto cioccolatino prodotto con nocciole piemontesi. L’accordo è ancora approssimativo, ma è comunque un passo avanti in una disputa che va avanti da mesi e riguarda sia il nome del prodotto che i suoi ingredienti, dato che Lindt usa una ricetta leggermente diversa rispetto a quella proposta dal comitato. Si era quindi creata un’impasse che aveva bloccato il processo di approvazione della denominazione, non ancora in vigore.
La vicenda era cominciata quasi due anni fa, nel marzo del 2022, quando il comitato aveva presentato alla Regione Piemonte la richiesta per l’ottenimento della certificazione di Indicazione geografica protetta (IGP) sul gianduiotto. È un marchio che viene attribuito dall’Unione Europea a prodotti agricoli e alimentari considerati di alta qualità e fortemente legati al territorio di origine: per ottenerlo è necessario che almeno una parte della produzione, lavorazione o preparazione del prodotto avvenga nella città o nella zona indicata come origine.
La richiesta era stata accolta dalla giunta del governatore Alberto Cirio, di Forza Italia, che l’aveva inviata al ministero dell’Agricoltura. Era iniziata quindi una fase di consultazione tra le associazioni di categoria e le aziende coinvolte, tra cui Lindt, che tramite il marchio Caffarel produce i gianduiotti su scala industriale. L’invenzione della ricetta del gianduiotto è attribuita proprio a Caffarel, storica azienda piemontese che venne acquisita dal gruppo svizzero Lindt & Sprüngli nel 1997.
– Leggi anche: Il Piemonte e la Lindt discutono sulla ricetta dei cioccolatini gianduiotti
Dalle consultazioni erano però emersi alcuni problemi. La ricetta presentata dal comitato era leggermente diversa da quella usata da Lindt, e quindi i suoi gianduiotti non avrebbero potuto essere indicati come IGP. In particolare l’azienda usa il latte in polvere, non previsto dalla ricetta originale, e un quantitativo di nocciole inferiore al 30 per cento richiesto invece dal comitato. Inoltre l’azienda temeva che la denominazione proposta dal comitato per i prodotti IGP, ossia “gianduiotto di Torino IGP”, avrebbe messo a rischio il suo marchio, registrato come “Gianduia 1865. L’autentico gianduiotto di Torino”. Lindt chiedeva quindi al comitato, rappresentato dal maestro cioccolatiere Guido Castagna, di trovare un accordo su questi punti.
Lo scorso novembre la questione era arrivata a coinvolgere anche il commissario europeo per l’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, e il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, ma si era poi arenata, dato che le parti non riuscivano a trovare un compromesso. Questa settimana infine il compromesso è stato trovato. L’accordo prevede che Caffarel possa continuare a produrre il gianduiotto con la propria ricetta, utilizzando il marchio “Gianduia 1865. L’autentico gianduiotto di Torino”, già presente su tutti i cioccolatini. In cambio Lindt non si opporrà all’approvazione della denominazione IGP con la ricetta proposta dal comitato. I cioccolatini che in futuro otterranno la denominazione si chiameranno quindi “gianduiotti di Torino IGP”.
Insomma, Lindt potrà continuare a usare il suo marchio, diventato nel tempo molto noto, ma non potrà adottare il marchio IGP quando verrà introdotto, dato che utilizzerà la propria ricetta con il latte in polvere e meno nocciole. Il compromesso è ancora piuttosto vago, e Lindt ha fatto sapere che vorrebbe garanzie ufficiali in merito alla possibilità di continuare a usare il marchio. Intanto però il processo per l’ottenimento del marchio IGP potrà continuare: per diventare effettiva la richiesta di denominazione dovrà essere approvata dal ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, e poi dalla Commissione Europea.