Le accuse di abusi sessuali contro Marko Rupnik, non più in forma anonima
In una conferenza stampa due ex suore hanno raccontato le presunte violenze del celebre teologo e mosaicista sloveno, chiedendo alla Chiesa «verità e giustizia»
Mercoledì 21 febbraio nella sede della Federazione Nazionale della Stampa italiana di Roma si è svolta una conferenza stampa durante la quale hanno parlato due delle donne che hanno accusato di abusi sessuali Marko Ivan Rupnik, teologo sloveno, padre spirituale, artista molto celebrato e fino a poco tempo fa importante esponente dei gesuiti.
Le donne che hanno accusato Rupnik sono finora circa una ventina e nei mesi scorsi alcune di loro avevano già raccontato ai giornali, sotto pseudonimo, la loro storia. La conferenza stampa di ieri rappresentava invece la prima volta che alcune di loro si esponevano personalmente davanti a telecamere e microfoni.
Le due donne, Gloria Branciani e Mirjam Kovac, sono ex suore della Comunità Loyola di Lubiana, in Slovenia, fondata alla fine degli anni Ottanta da una religiosa che aveva Rupnik come padre spirituale. Durante la conferenza stampa hanno raccontato gli «abusi di coscienza, di potere, spirituali, psichici, fisici e spesso anche sessuali» che hanno subito personalmente o di cui sono venute a conoscenza nel tempo da parte di Rupnik, che era considerato una figura di riferimento nella comunità: un uomo, hanno detto, «in grado di manipolare le persone attorno a sé», che agiva con «l’autorità del padre spirituale, del confessore».
Branciani, che in forma anonima aveva raccontato dettagliatamente la propria storia al quotidiano Domani nel dicembre del 2022, ha ripetuto di essere stata per nove anni vittima di violenza da parte di Rupnik. Ha detto di aver iniziato a frequentarlo nel 1985 quando lei aveva 21 anni e lui dieci di più e che la prima volta che lui l’aveva baciata sulla bocca le aveva spiegato che così baciava l’altare dove celebrava l’eucaristia, e che con lei poteva vivere il sesso come espressione dell’amore di Dio.
La donna ha detto che le violenze non avvennero soltanto nella comunità in Slovenia, ma anche nel Centro Aletti, a Roma, dove Rupnik le aveva chiesto di avere rapporti a tre con un’altra sorella della comunità «perché la sessualità doveva essere secondo lui libera dal possesso, ad immagine della Trinità dove, diceva, il terzo raccoglieva il rapporto tra i due». Branciani ha descritto altre violenze dicendo che Rupnik le giustificava ogni volta con argomenti mistici.
La donna ha ripetuto che i suoi tentativi di denuncia non erano mai andati a buon fine, che nessuno era disposto ad ascoltarla, che il gesuita era «sempre protetto da tutti» e che ogni accusa era «minimizzata o negata».
Le due ex suore, alla fine della conferenza stampa, hanno chiesto al Vaticano «verità e giustizia» e la loro avvocata, Laura Sgrò, ha aggiunto che entrambe andranno a deporre davanti al Dicastero per la dottrina della fede, importante organo della Curia che ha anche funzioni disciplinari a cui, a fine ottobre, papa Francesco aveva affidato il compito di esaminare il caso Rupnik.
Il papa aveva anche deciso di derogare alla prescrizione per consentire lo svolgimento di un processo, a seguito delle segnalazioni inviate qualche settimana prima dalla Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori: una commissione speciale per combattere gli abusi sessuali nella Chiesa, che era stata istituita dallo stesso papa nel 2014. La Pontificia Commissione aveva segnalato al papa «gravi problemi» nella gestione del caso Rupnik e «la mancanza di vicinanza alle vittime».
La vicenda da cui era iniziato il cosiddetto “caso Rupnik” è del 2021. Il Dicastero per la dottrina della fede aveva ricevuto una denuncia di abusi sessuali e psicologici ai danni di suore della comunità di Loyola a Lubiana. Quella denuncia era stata però archiviata nell’ottobre dell’anno seguente perché i fatti risalivano agli anni Ottanta ed eventuali reati erano quindi prescritti.
Poi erano emerse altre notizie su casi simili, avvenuti successivamente a quello delle suore di Lubiana. In particolare nel 2018 padre Rupnik fu accusato di “assoluzione di un complice”, in questo caso una suora: nell’ambito del diritto canonico è il reato commesso dal religioso che assolve una persona con cui ha partecipato a un peccato, il che significa, spiega il Corriere della Sera, che Rupnik aveva confessato e assolto una suora di cui aveva abusato sessualmente, vincolandola al silenzio. È un reato considerato molto grave e prevede la scomunica, e infatti Rupnik venne scomunicato; tuttavia nello stesso mese la scomunica venne revocata.
Le denunce nei confronti di Rupnik si erano via via accumulate arrivando ad essere una ventina. Nel frattempo, Rupnik era stato sottoposto ad alcune restrizioni come il divieto di confessare, e infine, nel giugno 2023, era stato “dimesso”, cioè espulso, dalla Compagnia di Gesù, l’ordine religioso dei gesuiti fondato nel 1540 da sant’Ignazio di Loyola a cui appartiene anche l’attuale papa.