Un po’ di cose su “La zona d’interesse”
Quelle che vale la pena sapere su regista, riprese ed effetti sonori del film ambientato ad Auschwitz che ha ricevuto eccezionali riconoscimenti nell'ultimo anno, e che esce oggi al cinema
Questa settimana esce nelle sale italiane La zona d’interesse, uno dei film di cui si è parlato di più nella seconda metà del 2023. Essendo una coproduzione polacca e britannica, è stato candidato all’Oscar per il miglior film internazionale, ma anche – cosa che succede raramente ai film non in lingua inglese – a quello per la miglior regia, la miglior sceneggiatura non originale (alla base c’è il romanzo omonimo di Martin Amis del 2014), il miglior sonoro e, più importante, quello per il miglior film. Le candidature agli Oscar sono state però solo l’ultimo di una serie di riconoscimenti che raramente un film non americano riesce a mettere insieme.
La zona d’interesse non ha grandi speranze di vittoria agli Oscar (tranne nella categoria per il miglior film internazionale, in cui è dato per favorito), ma questo non toglie il rilievo molto particolare che ha raggiunto dallo scorso maggio, quando fu presentato in concorso al Festival di Cannes, dove pure vinse il Gran premio della giuria, cioè la medaglia d’argento. Al momento il film ha un punteggio di 93 per cento sull’aggregatore di recensioni Rotten Tomatoes, segno di un grande consenso della critica, il settimanale di critica italiana FilmTv l’ha messo in copertina definendolo «capolavoro contemporaneo» e ha un voto aggregato di 4 su 5 su Letterboxd, il sito di valutazione di film molto usato dalla comunità di spettatori cinefili.
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Il film racconta l’ordinaria quotidianità della famiglia di un ufficiale nazista, Rudolf Höss, incaricato di gestire un campo di concentramento, in una casa poco distante. Höss è considerato uno dei principali ideatori del piano di sterminio di persone ebree, disabili e altre minoranze in Germania durante il nazismo, e fu anche l’ufficiale incaricato della gestione del campo di Auschwitz. L’approccio del film a questo tema è particolare perché non entra mai nel campo di concentramento, ma lo racconta sempre dalla casa della famiglia Höss in cui si svolge per la gran parte.
Proprio come la residenza degli Höss, anche nel film la casa è confinante con il campo, così tanto da avere in comune il muro di cinta. Da ogni stanza si possono vedere le torrette con i soldati, dal giardino si vede il filo spinato e il tetto dei dormitori, da alcuni punti si vede il comignolo del forno crematorio. L’idea al centro di tutto il film è raccontare le questioni da poco e molto ordinarie di una famiglia borghese, tenendo sempre sullo sfondo questi elementi e usando un sottofondo sonoro composto da tutto ciò che si poteva sentire stando accanto a un campo di concentramento: urla, spari di mitragliatrici, forni attivi, ordini urlati e cani che ringhiano. La “zona di interesse” è proprio il termine burocratico con il quale i nazisti chiamavano la zona di 40 chilometri quadrati adiacente al perimetro dei campi di concentramento.
A ideare e dirigere La zona d’interesse è stato Jonathan Glazer, autore britannico molto attivo come regista di videoclip che nella sua carriera ha girato pochi film, circa uno ogni dieci anni, e sempre facendo scelte considerate provocatorie e audaci. Divenne noto nel campo dei videoclip dirigendo quello della canzone “Virtual Insanity” dei Jamiroquai nel 1996 e quello di “Karma Police” dei Radiohead nel 1997. In uno dei suoi primi film, Birth – Io sono Sean del 2004, mise in scena una storia in cui una donna interpretata da Nicole Kidman era attratta da un bambino di 10 anni che sosteneva (adducendo prove) di essere la reincarnazione del marito morto anni addietro. Quel film fece molto discutere tra le altre cose per la scelta di mettere l’attrice, all’epoca considerata una delle più attraenti del mondo, in una vasca da bagno nuda con il bambino e di far baciare i due, ma era allo stesso tempo girato, scritto e soprattutto recitato da Nicole Kidman così bene da renderlo un caso ancora oggi. Nove anni dopo Glazer girò Under the Skin con Scarlett Johansson (all’epoca in grande ascesa): era un film dai tratti molto più sperimentali e di ricerca. Ora, altri dieci anni dopo, La zona d’interesse è in un certo senso a metà tra i due.
Per girare il film la produzione ha visitato più volte la vera abitazione degli Höss, così da ricostruirla in un edificio simile solo poche centinaia di metri più lontano. Era impossibile infatti girare le scene nella vera casa perché è stata dichiarata patrimonio dell’UNESCO. L’edificio in cui si sono svolte le riprese è stato completamente ristrutturato – a partire dal giardino in cui sono stati piantati i fiori e le piante che sarebbero servite già un anno prima delle riprese – ed è stata resa completamente funzionante. È una cosa piuttosto insolita rispetto a quello che fanno le troupe, che per risparmiare costruiscono facciate o ambienti che appaiono realistici senza esserlo.
In questo caso infatti molto del film è basato sull’architettura e in particolare sul contrasto tra quella della casa in cui vive la famiglia protagonista, fatta di mobili d’epoca, di elementi che raccontano le aspirazioni dell’alta borghesia, di porticati e di una piscina per invitare amici e fare feste, e quella del campo di concentramento immediatamente adiacente, che una lunga serie di film a tema Olocausto hanno ormai reso molto riconoscibile.
Per rendere la naturalezza dello svolgersi ordinario della vita di una famiglia, La zona d’interesse è stato girato con un approccio che Glazer ha definito da “Grande Fratello”, cioè installando in questa abitazione ristrutturata molte videocamere nascoste e dirigendo tutto da remoto, in modo che gli attori avessero meno contatti possibili con la troupe e potessero recitare indisturbati scene lunghe anche 10 minuti. Come avviene per i documentari alla fine delle riprese Glazer si è ritrovato con 850 ore di girato da selezionare, montare e tagliare per fare il film.
Gli attori sono tutti tedeschi e tra di loro c’è Sandra Hüller (nella parte della moglie dell’ufficiale), che quest’anno è stata protagonista di un altro film molto importante, vincitore della Palma d’oro a Cannes e per il quale ha ricevuto una candidatura agli Oscar come miglior attrice protagonista: Anatomia di una caduta.
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Il film è candidato tra gli altri all’Oscar per il miglior sonoro. È merito del lavoro che il sound designer Johnnie Burn ha fatto nell’anno precedente alle riprese per mettere insieme una libreria di suoni coerente con quello che poteva accadere in un campo di concentramento. Per farlo ha registrato suoni di una fabbrica tessile, di inceneritori, di scarponi che marciano sul selciato, di fucili d’epoca e di urla umane. I suoni sono poi stati processati considerando la distanza, il riverbero, i circostanti rumori della natura e quanto un muro potesse attutirli, in modo da restituire una versione accurata di cosa e quanto potesse sentire la famiglia Höss. In questa maniera il piano visivo del film, cioè la rimozione di cosa accade dall’altra parte del muro, funziona parallelamente e separatamente da quello sonoro, che consente invece di sentirlo distintamente.