• di Christian Raimo
  • Storie/Idee
  • Mercoledì 21 febbraio 2024

Chiedi chi erano l’Abbagnano-Fornero (e il Reale-Antiseri)

«La domanda è perché questo tipo di manuali abbia tanto successo. Sono best e long seller che hanno prodotto fatturati multimilionari, per decenni. La risposta mi pare abbastanza semplice: queste adozioni inerziali ricalcano le aspettative dei docenti, identiche a sé stesse di generazione in generazione, e perciò risultano confortanti. Quanti professori dedicano tempo a aggiornarsi e, dopo essersi aggiornati, mettono in discussione le proprie scelte didattiche, il proprio metodo, il proprio stile di fare lezione?»

Porzione della "Scuola di Atene" di Raffaello Sanzio. Al centro ci sono Platone (in rosso) e Aristotele (in azzurro) e più a sinistra Socrate (di profilo, in marrone). Il personaggio seduto in primo piano a scrivere è Eraclito, e in piedi dietro di lui con un libro c'è Parmenide. La figura in bianco a sinistra che guarda l'osservatore potrebbe essere la filosofa Ipazia. (via Wikimedia)
Porzione della "Scuola di Atene" di Raffaello Sanzio. Al centro ci sono Platone (in rosso) e Aristotele (in azzurro) e più a sinistra Socrate (di profilo, in marrone). Il personaggio seduto in primo piano a scrivere è Eraclito, e in piedi dietro di lui con un libro c'è Parmenide. La figura in bianco a sinistra che guarda l'osservatore potrebbe essere la filosofa Ipazia. (via Wikimedia)
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Come capita a moltissimi docenti di filosofia nella scuola italiana, mi ritrovo a usare con i miei studenti lo stesso manuale su cui ho studiato io trent’anni fa, l’Abbagnano-Fornero. L’adozione non è stata una mia scelta, ma – ancora, come spesso capita – del dipartimento di filosofia della mia scuola, il gruppo di colleghi delle mie stesse materie, che ha indicato questo testo anche per far risparmiare i ragazzi, cioè per permettergli di ripescare dalla libreria di casa il manuale dei fratelli maggiori o di trovarlo facilmente usato.

Quando entro nella nuova classe in terza liceo, vedo che hanno il libro appena scellophanato davanti, e chiedo: Chi sono Abbagnano e Fornero? Non ottengo risposte. Quasi nessuno studente si domanda chi siano gli autori dei libri che leggono e sottolineano per anni, come se i manuali fossero modellati secondo uno stile di sistemazione naturale del sapere, e non con una prospettiva specifica, di ricerca, didattica, scrittura.

Nicola Abbagnano è stato un importante filosofo italiano nato nel 1901 che ha attraversato tutto il Novecento e viene spesso accostato all’esistenzialismo europeo; Giovanni Fornero, di cinquant’anni più giovane, è stato un suo allievo fin dagli anni dell’università. Del loro manuale esistono varie versioni gemmate da un testo matrice, Filosofi e filosofie nella storia, pubblicato nel 1986 e a sua volta ricavato, dopo profonda revisione, da una Storia della filosofia del solo Abbagnano pubblicata nel 1946: Protagonisti e testi della filosofia, La ricerca del pensiero, La filosofia, Vivere la filosofia, Percorsi di filosofia, Con-filosofare, La filosofia e l’esistenza

Riscritture, revisioni, titoli che si adattano con plasticità merceologica alla moltiplicazione degli indirizzi nella scuola italiana, ma che hanno mantenuto lo stesso impianto dalla prima edizione del 1986 (quando Nicola Abbagnano era vivo e celebre; è morto nel 1990) agli ultimi anni, quando in copertina si è aggiunto un terzo autore, ma scritto più piccolo, Giancarlo Burghi, professore di filosofia e storia nei licei romani, responsabile degli aggiornamenti e della revisione redazionale.

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Parlare di questo manuale di filosofia mi sembra interessante per tre ragioni, da cui ne deriva una quarta:

1. nelle scuole italiane la didattica tradizionale (quella che si muove nel quadrilatero lezione-manuale-interrogazione-voto; mentre quella innovativa prova a lavorare con le fonti e a dialogare con l’ambiente interno e esterno alla scuola, inventando laboratori e usando media e delle risorse della rete…) è di gran lunga la più invalsa;

2. nelle scuole italiane “il manuale” è ancora lo strumento didattico più utilizzato;

3. nelle scuole superiori italiane l’Abbagnano-Fornero è largamente il più diffuso manuale di filosofia.

4. (allora) la maggior parte degli studenti italiani impara a conoscere Aristotele o Cartesio o, nel migliore dei casi, a filosofare, leggendo, schematizzando, ripetendo quello che c’è scritto sull’Abbagnano-Fornero.

Non è un fatto trascurabile: in questo momento in Italia, alle superiori, studia filosofia circa mezzo milione di ragazzi. Ovviamente l’impostazione di questo manuale – come di qualunque altro – non è neutra (come potrebbe esserlo?). La questione è che in alcuni passaggi questa impostazione diventa problematica.

Prendiamo il primo volume. Sulla filosofia ellenistica, per esempio, si lasciano giudizi trancianti, pieni di pregiudizi orientalistici, che non hanno oggi nessuna giustificazione storiografica.

La ricerca di una “via della salvezza” per l’individuo e la rassegnazione di fronte all’esistenza sono per il momento gli esempi più vistosi di tale mentalità “orientale”, che più tardi si manifesterà nell’interesse per l’astrologia, per la religione e per le scienze occulte.

Ancora più discutibile è l’introduzione della logica in Aristotele. Per uno studente delle superiori, spesso è questo il momento in cui per la prima volta riflette sull’argomentazione e le regole della discussione. Ecco come viene introdotto il sillogismo:

Il sillogismo costituisce per Aristotele la controparte logicolinguistica della sostanza. Per Aristotele, infatti, il rapporto tra una cosa (ad esempio l’uomo) e una sua determinazione o proprietà si può stabilire solo sulla base di ciò che essa è necessariamente, cioè sulla base della sua sostanza.

Come è evidente, è una spiegazione molto opaca. Ma c’è un aspetto più critico di questa parte che rivela perché l’impianto di questo manuale è contestabile. L’Abbagnano-Fornero-Burghi subordina – nelle pagine, nella riflessione filosofica, e anche sul piano didattico – la logica alla metafisica. A scuola e in qualunque contesto educativo laico dovrebbe avvenire esattamente il contrario: questo rovesciamento è dannoso non solo dal punto di vista della conoscenza di Aristotele, ma anche dal punto di vista pedagogico in generale.

Ma è soprattutto nella sopravvalutazione delle competenze linguistiche degli studenti che questo manuale può risultare uno strumento inefficace se non respingente; la maggior parte degli studenti rischia di non riuscire a utilizzarlo in autonomia. Prendiamo un brano d’introduzione alla sofistica:

La sofistica è stata definita come una sorta di “illuminismo greco”. L’Illuminismo è il movimento culturale che si sviluppò in Europa nel XVIII secolo e che ebbe come propria insegna l’uso libero e spregiudicato della ragione in tutti i campi. Lo strumento proprio dell’Illuminismo fu la critica, una critica radicale, che non si lasciava arrestare dall’autorità di alcuna tradizione e che aveva la pretesa di svincolare l’uomo da ogni pregiudizio. La sofistica e la cultura ateniese del V secolo a.C. presentano un carattere analogo, poiché in esse i miti e le credenze della tradizione vengono esplicitamente criticati e sostituiti con nozioni razionali, o che almeno si credono tali. In questo senso, come è stato rilevato, la funzione della sofistica è simile a quella di movimenti che si incontrano in tutte le maggiori civiltà (da quella indiana a quella cinese) e consiste nella liberazione critica dal passato in nome della ragione.

Per capire il brano uno studente dovrebbe avere dimestichezza con una costruzione del periodo piena di ellissi e sottintesi; dovrebbe avere già un’idea dell’illuminismo più ampia della definizione di due righe che ne viene data; dovrebbe sapere chi ha definito la sofistica “illuminismo greco” perché nel testo non si dice; dovrebbe accostare per un’ardita analogia due movimenti culturali distanti più di duemila anni; dovrebbe avere un’idea di che cosa si intenda per “funzione” di un movimento culturale; dovrebbe fidarsi delle comparazioni tra un movimento culturale della civiltà greca classica e quello che è accaduto a altre civiltà extraeuropee, «da quella indiana a quella cinese», di cui è molto probabile non conosca nemmeno gli elementi più basilari. Insomma dovrebbe già sapere cose che non sa, informazioni tra l’altro che non è detto siano del tutto convincenti dal punto di vista storico, scientifico, didattico.

Sono limiti che non appartengono solo all’Abbagnano-Fornero. Anche altri manuali hanno problemi simili. A inizio anni Novanta nella mia classe al liceo arrivò un nuovo professore di filosofia che decise di adottare (allora si poteva fare questa scelta con facilità) il Reale-Antiseri, il manuale scritto da Giovanni Reale e Dario Antiseri, che oggi è una delle alternative più comuni. Reale è stato un docente di filosofia antica alla Università Cattolica di Milano per molti anni, fino alla morte nel 2014; Antiseri è uno storico della filosofia di area cattolico-liberale. Il loro manuale nacque proprio per contrapporsi alla visione considerata troppo laica dell’Abbagnano-Fornero.

Ma mi scontro con passaggi discutibili anche quando, per caso, mi ritrovo sui banchi il Reale-Antiseri che per esempio trasforma Socrate in un precursore del pensiero cristiano, come se l’intera storia della filosofia seguisse una direzione teleologica. È chiaramente la traccia ideologica di Reale e Antiseri: se la si conosce la si riconosce. Il problema è che questa impostazione teorica è dissimulata, come in ogni altro manuale.

La domanda che è utile porsi è perché questo tipo di manuali abbia tanto successo. L’Abbagnano-Fornero e il Reale-Antiseri sono bestlong seller, e hanno prodotto fatturati multimilionari. Lo stesso accade a molti altri testi scolastici che, per un motivo o per l’altro, incontrano una fortuna che dura per decenni. La risposta mi pare abbastanza semplice: queste adozioni inerziali ricalcano le aspettative dei docenti, identiche a sé stesse di generazione in generazione, e perciò risultano confortanti. Quanti professori dedicano tempo a aggiornarsi e, dopo essersi aggiornati, mettono in discussione le proprie scelte didattiche, il proprio metodo, il proprio stile di fare lezione?

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In Italia non esiste una storia dei manuali di filosofia e in generale non c’è una grande riflessione su come studiare la filosofia, nonostante per molti le ore di filosofia al liceo siano state fondamentali per imparare a ragionare sulla vita e per partecipare al dibattito pubblico. Così quando quest’anno è uscito un piccolo libro intitolato Come non insegnare la filosofia di Massimo Mugnai, un professore emerito di storia della filosofia moderna alla Scuola normale di Pisa, mi sono precipitato a leggerlo, anche perché aveva un capitolo sui manuali di filosofia. Il libro ha avuto un sacco di recensioni ottime se non esaltate, qui, qui, qui, qui e qui per esempio. Il suo tocco dichiaratamente provocatorio ha incontrato molti favori, segno che il tema è vivo e centrale. A me pare invece che Come non insegnare filosofia sia ammalato della stessa patologia che denuncia perché, come spesso capita con i libri che parlano di università e scuola, parte da impressioni personali, dall’aneddotica degli esami universitari con gli strafalcioni, più che da dati, bibliografie ragionate, analisi sistemiche. (E infatti nell’unica recensione uscita su una rivista che si occupa di pedagogia, La ricerca, il libro viene stroncato con rigore e senza bile).

Non è una disputa tra addetti ai lavori. La ricezione del libro di Mugnai mi pare un sintomo di quanto male si affronti la crisi del sistema scolastico italiano, mettendone in luce i problemi ormai cronicizzati per intercettare un’insofferenza diffusa tra professori universitari e intellettuali di vario taglio, senza però mai entrare davvero nel merito delle questioni. Invece lo studio dei manuali in commercio può servire a chiedersi quale sia oggi il senso dello studio della filosofia alle superiori e a riconoscere i limiti e i ritardi della tradizione culturale italiana.

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Teodosio Orlando ha scritto una buona disamina storiografica della manualistica filosofica nel numero di gennaio 2023 della rivista Filosofia italiana: parte dai primi testi prima e dopo la riforma Gentile, attraversa la metà e la fine del Novecento (con la cruciale e spesso dimenticata riforma Brocca dei piani di studio delle scuole superiori degli anni Ottanta e Novanta) e arriva alle ultime uscite, citando una serie di manuali ben fatti di cui spesso si discute nei consigli tra colleghi. Ecco alcuni nomi: Sinapsi. Storia della filosofia. Protagonisti, percorsi, connessioni di Andrea Sani e Alessandro Linguiti, I mondi della filosofia di Costantino Esposito e Pasquale Porro, Prospettive del pensiero di Enzo Ruffaldi, Ubaldo Nicola, Gian Paolo Terravecchia e Francesca Nicola, e La ricerca della conoscenza di Riccardo Chiaradonna e Paolo Pecere.

Cosa si ricava da questa sintesi? Un dato macroscopico, sottovalutato se non dimenticato, è che la filosofia idealista ha realizzato la più grossa operazione di cancellazione nella cultura italiana: la rimozione del positivismo. Il positivismo filosofico, quello italiano soprattutto, nella scuola italiana quasi non esiste. Se gli idealisti ancora rilucono persino nei programmi da portare alla maturità, qualcuno ha mai sentito parlare di Roberto Ardigò? Di Comte viene data una lettura spesso critica, Darwin viene relegato a un ruolo ancillare, Carlo Cattaneo o Pasquale Villari sono pressoché sconosciuti, e persino Maria Montessori è praticamente assente dal canone filosofico. Sui positivisti italiani pesa la damnatio memoriae di Giovanni Gentile e della sua riforma, e su di noi pesa l’idea, anche questa responsabilità di Gentile e di varie generazioni che l’hanno seguito, che la pedagogia non sia una disciplina con un suo statuto, ma possa essere ridotta a filosofia dell’educazione. Ma pesa soprattutto una certa attitudine fumosa, poco sistematica, per non dire antiscientifica, che caratterizza molta classe dirigente italiana, dal giornalismo all’università alla politica.

L’ultima questione nodale è che la filosofia sembra essere una faccenda esclusiva di maschi: maschi che scrivono manuali, maschi che vengono studiati, da Talete a Popper. All’imbarazzo che provo entrando in classe per un manuale pieno di passaggi difficili o di formule che non mi sembra lo strumento didattico migliore per i miei studenti, si aggiunge un altro imbarazzo ogni anno più consistente: come posso immaginare di insegnare filosofia senza mai nominare, se non forse alla fine del quinto anno, pensatrici donne? Eppure questa è la consuetudine, ossificata, della maggior parte dei docenti, me compreso. Gli studenti che fanno l’esame di maturità hanno ben presente chi sono Fichte e Schelling, mentre forse non saprebbero citare nemmeno Simone de Beauvoir o Hannah Arendt.

Eppure in questi ultimi anni la bibliografia dedicata alle filosofe ha avuto un incremento esponenziale: emergono nuovi filoni di ricerca, si aprono dipartimenti e persino nello studio della filosofia greca emerge ormai un controcanone o una revisione del canone su cui ci siamo formati. Non c’è soltanto l’interesse per figure come Diotima, Aspasia, Ipazia o le pitagoriche. Ci aspettano enormi sfide didattiche, come ha riassunto Sara Protasi in un saggio di qualche anno fa. Nell’agosto 2023 è uscito Ancient women philosophers a cura di Caterina Pellò e Katharine R. O’Reilly, che mostra davvero un cambio di paradigma. Da poco Gribaudo ha pubblicato Il libro rosa della filosofia. Da Aspasia a Luce Irigaray, la storia mai raccontata del pensiero femminile di Simonetta Tassinari.

La ripubblicazione e il successo di due classici del femminismo italiano da decenni fuori catalogo come Nonostante Platone di Adriana Cavarero e Sputiamo su Hegel di Carla Lonzi è il segno che affrontare questo tema sta diventando urgente e inaggirabile, e soprattutto chiama a scelte radicali. Dedicare qualche pagina alle filosofie femministe del Novecento, come fanno molti manuali, ricalcando alla meno peggio il lavoro di Adriana Cavarero e Franco Restaino del 2002, Filosofie femministe, oggi risulta non solo inadeguato ma anche irrispettoso nei confronti delle richieste degli studenti. La prospettiva filosofica del femminismo non ci ha lasciato solo conoscenze teoriche fondamentali che, da docenti, dobbiamo essere in grado di portare nelle nostre classi, ma ci mostra anche possibilità pedagogiche da approfondire nella pratica dell’insegnamento; altrimenti formule come “educazione alla cittadinanza” o “competenze trasversali” risulteranno delle espressioni da verbali da riempire per mere incombenze burocratiche.

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Christian Raimo
Christian Raimo

Nato nel 1975 a Roma, dove ancora vive, insegna filosofia e storia al liceo. Collabora con diverse testate, fa parte del progetto di giornalismo indipendente Sveja. Ha pubblicato da poco il podcast Willy, una storia di ragazzi. Il suo libro più recente è L’ultima ora (Ponte alle Grazie, 2022).

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