Cosa rende speciale una sala da concerto?
Dal Musikverein di Vienna alla Suntory Hall di Tokyo, l'acustica dei luoghi in cui suonano le orchestre ha influenzato l'evoluzione della musica stessa
Quando Richard Wagner ebbe la possibilità di costruirsi la propria sala da concerto aveva le idee chiare. Erano ormai trent’anni che il grande compositore tedesco voleva un luogo apposito per rappresentare interamente la sua tetralogia dell’Anello del Nibelungo, il celebre e monumentale ciclo di quattro drammi musicali che aveva composto a partire dagli anni Quaranta dell’Ottocento. Wagner sognava di farlo in un festival dedicato alla sua opera, un evento unico da tenersi in una sala da concerto progettata ispirandosi ad alcune caratteristiche che aveva visto in altri teatri d’opera in cui aveva lavorato nei decenni precedenti. Dopo anni di tentativi e progetti falliti, ottenne i finanziamenti necessari da Ludovico II di Baviera, e individuò nella città di Bayreuth il luogo dove costruire l’edificio.
Il Festspielhaus di Bayreuth è oggi una delle sale da concerto più famose del mondo, e quella con il legame più stretto tra l’ambiente architettonico e la musica che vi viene eseguita. Al suo interno infatti vengono suonate ancora oggi soltanto opere di Wagner, e ospita il famoso festival dedicato al compositore che ogni anno attira migliaia di fan in pellegrinaggio da ogni angolo del mondo.
Wagner voleva ricreare un’esperienza diversa da quella che aveva caratterizzato la sua epoca, perché a suo avviso frequentare le sale da concerto era diventata principalmente un’attività mondana con cui i nobili prima, e i borghesi poi, ostentavano il proprio status e mantenevano le relazioni con il resto dell’alta società. La musica contemporanea per Wagner era diventata «corrotta» e rivolta «all’intrattenimento di chi è annoiato», in contrasto con lo spirito di quando le tragedie erano rappresentate davanti a tutti i cittadini liberi negli anfiteatri dell’antica Grecia. Anche per questo, il Festspielhaus fu costruito senza palchi laterali, e con i seggiolini disposti su un arco che consente uguale visibilità rispetto al palco.
Assistendo alle opere rappresentate, gli spettatori del Festspielhaus di Bayreuth non vedono l’orchestra, che Wagner volle sistemare in una profonda buca coperta da un tetto per separarla visivamente e acusticamente dalla platea. Wagner desiderava infatti che il pubblico si concentrasse unicamente su quello che succedeva sul palco senza la distrazione dei movimenti del direttore d’orchestra e degli orchestrali, e senza che la luce di cui necessitano per leggere gli spartiti e suonare distraesse gli spettatori. Per lo stesso motivo, l’illuminazione in sala era tenuta al minimo durante le rappresentazioni, in modo da impedire che le persone leggessero il libretto. Il tetto che copriva parzialmente la buca serviva anche ad attenuare il suono proveniente dall’orchestra, per bilanciarlo con le voci dei cantanti.
Oggi il Festspielhaus di Bayreuth è una delle più leggendarie sale da concerto del mondo, per la sua storia ma anche per la sua particolare acustica, la migliore possibile per ascoltare le opere di Wagner. Ma è un caso più unico che raro di teatro costruito appositamente su esigenze strutturali e acustiche così precise. Praticamente tutte le altre sale da concerto al mondo sono state progettate in modo da essere molto più versatili, e per valorizzare spettacoli diversi: dalle opere liriche ai concerti per pianoforte, dalle sinfonie più monumentali alla musica da camera, fino in certi casi ai concerti di musica moderna.
Non c’è comunque un solo modo di costruire una buona sala da concerto, e nei secoli le piante e le soluzioni architettoniche a cui si è fatto ricorso hanno risposto a convinzioni ed esigenze diverse. È vero però che alcune tra le più famose e amate sale da concerto, per gli appassionati di musica classica, sono accomunate dalla stessa forma, quella a pianta rettangolare, definita anche “a scatola di scarpe” (shoebox), come il Musikverein di Vienna, il Concertgebouw di Amsterdam, la Symphony Hall di Boston o la Tokyo Opera City Concert Hall.
Ma soprattutto nel corso del Novecento alla necessità di garantire la migliore esperienza uditiva al pubblico si sono affiancati altri criteri e priorità nella progettazione delle sale da concerto, che in diversi casi sono stati interpretati con soluzioni diverse che hanno riscosso enormi successi e apprezzamenti, come nel caso della Philharmonie di Berlino o della Suntory Hall di Tokyo.
Altre volte, le priorità diverse da quelle legate all’acustica, per esempio quelle estetiche, hanno portato a risultati disastrosi, come nel caso della Sydney Opera Hall, uno degli edifici più riconoscibili e apprezzati al mondo, all’interno del quale però sia il pubblico sia i musicisti sentono relativamente male.
La maggior parte delle persone non è molto abituata a percepire e riconoscere le differenze nella qualità di ascolto. Come specie umana usiamo molto di più la vista dell’udito, e a questa ragione biologica se ne sono aggiunte negli ultimi decenni altre culturali, legate al fatto che ascoltiamo la musica da dispositivi sempre meno performanti, come gli auricolari o le casse Bluetooth, e frequentiamo sempre meno i luoghi costruiti appositamente per la musica dal vivo. Ma anche se in generale l’orecchio delle persone è poco educato ai principi dell’acustica, quella di ascoltare un’orchestra in una buona sala da concerto è un’esperienza che chiunque può apprezzare e riconoscere come speciale, anche se magari non saprebbe dirne le ragioni.
Intanto perché si possono vedere i musicisti, i loro gesti, le loro espressioni: e infatti molto dell’esperienza cambia a seconda di dove si è seduti, e di come è progettata la disposizione dei posti a sedere, che quando sono pieni possono diventare a loro volta parte dello spettacolo. Una sala da concerto poi è sempre progettata per essere bella anche da vedere, che si tratti di un teatro settecentesco pieno di stucchi sfarzosi e lampadari o di una sala contemporanea dalle linee avveniristiche.
Ma l’aspetto più importante che determina il valore di una sala da concerto è, ovviamente, la sua acustica, studiata in fase di progetto da appositi esperti coinvolti per consigliare gli architetti su tutti gli aspetti strutturali e ornamentali che hanno un ruolo nel determinare come il pubblico sentirà la musica.
Per cominciare, una buona sala da concerto deve essere isolata del tutto o quasi dai rumori esterni, un risultato evidentemente più facile da raggiungere nei posti più tranquilli rispetto, per esempio, a Manhattan. Per quanto riguarda la conformazione interna di una sala, invece, in generale l’obiettivo principale di chi ne progetta una è garantire che il suono si senta bene e al giusto volume in tutto l’ambiente di ascolto, e quindi anche nelle file di sedie più lontane dal palco e in quelle laterali o sopraelevate.
Nelle composizioni orchestrali è fondamentale che il pubblico possa apprezzare la dinamica, cioè la differenza tra i suoni più forti, suonati energicamente da molti strumenti contemporaneamente, e quelli più deboli, emessi con delicatezza anche da un solo strumento. Per questo la risposta delle sale da concerto alla dinamica è uno degli aspetti più importanti, e difficili da implementare quando se ne progetta una (bisogna tenere presente che normalmente nelle sale da concerto le orchestre suonano senza amplificazione, e quindi tutto quello che viene sentito dal pubblico arriva dalla sua sorgente diretta, senza l’ausilio di altri diffusori).
Un altro aspetto importantissimo è il tempo di riverbero, che tecnicamente è il tempo che impiega un suono a diminuire di 60 decibel in intensità dal momento in cui la sorgente sonora si interrompe. A determinare il tempo di riverbero è la capacità di riflessione sonora delle superfici dell’ambiente: in qualsiasi spazio chiuso infatti non sentiamo i suoni solo direttamente dalla sorgente, ma anche per effetto delle onde che rimbalzano sulle pareti e ci raggiungono negli istanti successivi. Nelle camere anecoiche, ambienti di laboratorio progettati per ridurre il più possibile le riflessioni sonore, il tempo di riverbero è vicino allo zero, cosa che produce un effetto assai straniante. In una grande cattedrale, per contro, il tempo di riverbero è molto lungo, per via delle enormi pareti in pietra che riflettono a lungo le onde sonore senza che queste incontrino ostacoli che le assorbano.
Lo strettissimo legame tra la musica e l’architettura dei luoghi in cui viene eseguita è evidente se si considera com’erano le tipiche composizioni medievali in Occidente: canti liturgici lenti e monodici, cioè che prevedono l’esecuzione di una sola nota per volta, che furono sviluppati proprio per sopperire alle difficoltà di distinguere nitidamente il contenuto della messa parlata all’interno delle chiese, a causa del lungo riverbero.
Ascoltare un’orchestra dentro a una chiesa non è un’esperienza piacevole, per via del lungo tempo di riverbero che rende confuse le parti veloci e complesse delle composizioni, e rende impossibile la resa ottimale delle pause, le parti improvvise di silenzio. Ma sarebbe comunque peggio ascoltarla dentro a una camera anecoica. Il riverbero infatti è parte integrante della musica sinfonica, perché rinforza il suono e lo arricchisce, rendendo più immersiva l’esperienza di ascolto. Il tipico tempo di riverbero di una sala da concerto è compreso tra 1,7 e 2,3 secondi, perché è il più adatto alla musica classica e romantica (per la musica colta del Novecento 2 secondi sono invece considerati generalmente troppi).
Sempre il modo in cui le superfici di una sala da concerto riflettono il suono determina poi la chiarezza, con cui si misura quanto nitidamente può essere percepito un suono. È una grandezza che cresce al diminuire del riverbero, perché è tanto più alta quanto più breve è il tempo per cui le orecchie degli ascoltatori sono raggiunte dalle onde sonore riflesse. Quando queste onde sono percepite non come un prolungamento del suono iniziale, come nel caso del riverbero, ma come suoni distinti, si parla invece di eco (la distanza minima percorsa dall’onda sonora per configurarsi come eco deve essere di 17 metri). A dare problemi alle sale da concerto può essere in particolare la “flutter echo”, cioè l’eco ripetuta più volte dalle pareti parallele.
Per garantire che il suono di un’orchestra sia percepito nel miglior modo possibile, le sale da concerto insomma devono essere costruite in modo che le superfici riflettano le onde sonore in maniera uniforme nell’ambiente, distribuendole in tutte le direzioni e garantendo allo stesso tempo un sufficiente riverbero, per sostenere e dare profondità alla musica.
Si raggiunge questo equilibrio in vari modi: scegliendo bene i materiali – il legno è il più usato, per le sue ottime proprietà – e accostando superfici regolari ad altre irregolari, che siano stucchi ornamentali o appositi pannelli riflettenti appesi al soffitto o alle pareti secondo schemi geometrici precisi. Oltre alla distribuzione del materiali riflettenti, i progettisti devono considerare anche il contributo di quelli morbidi e assorbenti, che normalmente in una sala da concerto si limitano alle imbottiture dei seggiolini. A cui però si aggiungono i corpi delle persone durante i concerti: una sala, infatti, suona sempre diversa quando è vuota o quando è piena.
Ma in una sala da concerto non è importante soltanto garantire una buona acustica al pubblico, ma anche all’orchestra: se gli strumentisti si sentono bene tra loro, l’esecuzione sarà molto migliore. Viceversa, se non sentono a sufficienza gli altri orchestrali oppure loro stessi, potranno essere spinti a suonare troppo forte o troppo piano la propria parte, con risultati disastrosi sulla resa complessiva. La Carnegie Hall di New York è un’altra sala dall’acustica leggendaria, con la quantità di riverbero perfetta in grado di «abbracciare» l’orchestra, ha detto un musicista al critico americano Jay Nordlinger in un’intervista su New Criterion.
Peraltro a costruire e alimentare la fama sull’acustica delle sale è spesso l’opinione degli orchestrali e dei direttori, più che quella del pubblico, perché nei casi migliori la sala può diventare una sorta di strumento aggiuntivo. Wolfram Christ, prima viola dell’orchestra del Festival di Lucerna, ha per esempio paragonato il Musikverein di Vienna a un’estensione della cassa di risonanza del suo strumento. Si pensa che sia in particolare il palco di piccole dimensioni e il modo in cui le balconate aggettano sull’orchestra a rendere particolarmente ottimale l’acustica per chi suona al Musikverein. Gli stucchi e le statue dorate della sala garantiscono una riflessione ben distribuita delle onde sonore, che rimbalzano in ogni direzione sulle superfici irregolari, ma rappresentano anche un elemento estetico spettacolare che contribuisce direttamente al prestigio del Musikverein, inaugurato nel 1870.
Il Musikverein di Vienna. (AP Photo/Ronald Zak)
Ancora più prestigioso del Musikverein, finché esistette, fu in realtà il secondo Gewandhaus di Lipsia, costruito nel 1884 e distrutto nei bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Aveva 1700 posti, e ispirò un’altra famosa sala di forma analoga, la Symphony Hall di Boston, costruita nel 1900.
Le sale da concerto a pianta rettangolare si erano diffuse a partire dalla fine del Settecento per ospitare pubblici sempre più numerosi, man mano che col passaggio dalla musica barocca al romanticismo i concerti avevano smesso di essere confinati a contesti privati nobiliari. Con più spazio nelle sale, i compositori avevano aggiunto sempre più strumenti ed elementi alle orchestre, cominciando a sfruttarne i timbri diversi – e i modi in cui potevano essere mescolati – per esplorare nuove possibilità espressive. Contestualmente, impararono a sfruttare a proprio vantaggio i maggiori tempi di riverbero per sostenere le parti più energiche e corali, che acquisirono un’importanza centrale nella musica romantica.
In Italia la pianta rettangolare invece non si diffuse particolarmente, perché nell’Ottocento le principali città erano di solito già dotate di uno o più teatri costruiti il secolo precedente sul modello del teatro all’italiana, su una pianta a forma di ferro di cavallo con un ampio spazio per il palco e il retropalco, e la sala circondata da diversi ordini di palchi. La Scala di Milano, la Fenice di Venezia, il San Carlo di Napoli sono gli esempi più famosi di teatri con questa struttura, che rispondeva a esigenze legate alla rappresentazione più funzionale dei melodrammi, in cui le messe in scena erano spesso imponenti, e che permetteva alle persone nel pubblico di vedersi, sfruttando gli spettacoli per ragioni di posizionamento sociale.
Dal punto di vista dell’acustica, i teatri all’italiana si basavano sulla convinzione poi superata che il suono si propagasse su traiettorie circolari, che non dovevano essere ostacolate. Le forme arrotondate delle pareti, che assecondavano questa teoria, sono normalmente evitate nelle sale da concerto moderne, perché tendono a concentrare le riflessioni in alcuni punti creando un’acustica disomogenea. Nei teatri all’italiana questo problema è parzialmente mitigato dall’abbondanza di superfici in rilievo, come stucchi e statue, che riescono a distribuire il suono. Il tempo di riverbero nei teatri all’italiana è comunque piuttosto basso, cosa che garantisce una buona acustica per le parti cantate dell’opera, ma che non li rende i più apprezzati per la musica sinfonica.
Con la fine del Romanticismo, i grandi compositori del primo Novecento come Igor Stravinskij e Arnold Schonberg inaugurarono l’era delle sperimentazioni della musica contemporanea. Questo, unito al progressivo sviluppo dell’acustica come scienza, diede impulso a una rivoluzione nell’approccio architettonico alle sale da concerto, che iniziarono a essere progettate sulla base di studi rigorosi più che sull’imitazione di modelli che si erano rivelati ottimali.
Nel mondo si affermarono così le sale a ventaglio, i grandi auditorium del Novecento, ispirati alla forma degli anfiteatri greci e capaci di ospitare migliaia di persone garantendo una buona visibilità a tutti. Ne è un esempio il Teatro Regio di Torino, inaugurato nel 1973 quasi quarant’anni dopo che un incendio aveva distrutto il precedente, che aveva una struttura a ferro di cavallo.
La forma a ventaglio garantisce un suono meno avvolgente rispetto a quella rettangolare, a causa della carenza di riflessioni laterali specialmente per le file anteriori della platea, ma si è diffusa moltissimo per la sua versatilità, visto che con il posizionamento dei pannelli riflettenti sul soffitto si può raggiungere un compromesso tra il tempo di riverbero più lungo adatto alla musica classica e romantica e quello più breve richiesto dalla musica moderna e contemporanea.
A questa concezione si affiancò a partire dalla metà del Novecento quella cosiddetta “a vigneto”, in cui i posti a sedere sono posizionati tutto intorno a un palco centrale. Il modello più celebre è quello della Philharmonie di Berlino, inaugurata nel 1963 e progettata dall’architetto Hans Scharoun e dotata sia di un’acustica formidabile, garantita dalle superfici convesse delle pareti e del soffitto, sia di una conformazione che avvicina moltissimo gli spettatori al palco, abbattendo le tradizionali distanze fisiche e simboliche tra pubblico e orchestra.
Lo stile vigneto è generalmente costoso da realizzare, ma permette grande libertà ai progettisti nello sfruttare elementi e superfici irregolari per assicurare la migliore acustica possibile. Sono costruite in questo modo, per esempio, la Suntory Hall di Tokyo, la Walt Disney Concert Hall di Los Angeles, il Koncerthuset di Copenhagen, la Philharmonie di Parigi o il nuovo Gewandhaus di Lipsia.
È costruita in stile vigneto anche la Sala Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, inaugurato nel 2002 su un progetto di Renzo Piano. Ha 2700 posti a sedere e il soffitto è ricoperto di 26 grandi pannelli in ciliegio di forma convessa, progettati per garantire un tempo di riverbero adatto alla musica classica. L’acustica della sala è estesamente riconosciuta e apprezzata, anche se ogni tanto vengono segnalati dei problemi nei casi di concerti amplificati.
Scharoun aveva dimostrato quale poteva essere il risultato di un teatro moderno costruito a partire dallo studio dell’acustica della sala da concerto, approccio che richiedeva certamente dei compromessi. L’esterno della Philharmonie di Berlino non è noto per essere particolarmente gradevole, tanto che alla domanda di alcuni studenti se fosse rimasto soddisfatto dalla facciata, Scharoun rispose: “perché, ha una facciata?”. Ma ci furono casi celebri in cui si seguì l’approccio opposto, ottenendo risultati molto meno apprezzati, perlomeno dai musicisti.
La Sydney Opera House è uno degli edifici più iconici del mondo, grazie alle sue enormi strutture a guscio in calcestruzzo che ne definiscono la forma avveniristica. Costruito negli anni Sessanta su un progetto iniziale dell’architetto danese Jørn Utzon, che si ispirò in parte proprio alla Philharmonie di Berlino, la progettazione e soprattutto la realizzazione del teatro furono estremamente accidentate, a causa di ritardi, intoppi e di costi assai superiori a quelli previsti. Utzon si dimise dopo alcuni anni, e il progetto fu poi portato a termine da Peter Hall, che fu il principale responsabile di come furono realizzati gli interni.
Il problema della Sydney Opera Hall fu che la forma della sala da concerto principale fu subordinata a quella della struttura esterna, e perciò quando venne studiata la conformazione migliore per garantire una buona acustica le possibilità di cambiarne la pianta erano limitate. Anche per un ampliamento dei posti a sedere inizialmente previsti, la forma finale della sala risultò eccessivamente allungata, cosa che si combinò male con il difetto principale: i soffitti altissimi.
L’acustica della sala si guadagnò una pessima fama sia tra il pubblico sia tra i musicisti. Edo de Waart, direttore dell’orchestra sinfonica di Sydney dal 1993 al 2003, la detestava, e disse: «L’energia che creiamo sul palco dovrebbe andare nella sala. Ora non succede. Il suono gira e sparisce nella cupola sopra al palco». Pochi anni fa sono stati per questo fatti imponenti lavori di ristrutturazione, costati 150 milioni di dollari, che hanno previsto la posa di nuovi pannelli riflettenti appesi al soffitto sopra al palco, e di altri sulle pareti.