Un altro caso della Corte internazionale di giustizia contro Israele
Riguarda i territori palestinesi occupati ed è separato da quello per genocidio intentato dal Sudafrica: il verdetto non sarà vincolante, ma potrebbe comunque avere delle conseguenze
Lunedì la Corte internazionale di giustizia, il più importante tribunale delle Nazioni Unite, ha cominciato le udienze per un procedimento che riguarda le conseguenze legali dell’occupazione da parte di Israele della Cisgiordania e di Gerusalemme est: la Corte, dopo aver sentito le deposizioni dei rappresentanti di oltre 50 paesi, dovrà esprimersi sullo status legale di questi territori e su quali dovrebbero essere le responsabilità di Israele e della comunità internazionale nella loro gestione, che secondo l’accusa è all’origine di gravi discriminazioni.
Questo caso è separato da quello per genocidio intentato dal Sudafrica contro Israele sempre presso la Corte internazionale di giustizia, e nasce da ben prima della guerra a Gaza. Alla Corte inoltre non è stato richiesto di emettere una sentenza, ma un’opinione, che non è vincolante ma dovrebbe servire per guidare dal punto di vista legale i paesi membri dell’ONU.
Il procedimento sui territori occupati nasce da una risoluzione votata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 dicembre del 2022, quindi più di un anno fa. Il voto, allora, prevedeva che la Corte si occupasse di considerare «l’occupazione, la colonizzazione e l’annessione» che Israele starebbe portando avanti nei territori occupati, «comprese le misure volte ad alterare la composizione demografica, il carattere e lo status della Città santa di Gerusalemme, e l’adozione di misure e legislazione discriminatorie».
Con “territori occupati” si intendono quei territori (principalmente la Cisgiordania e Gerusalemme Est, oltre che le Alture del Golan) che Israele occupò dopo la guerra dei Sei giorni del 1967. Quei territori sono rimasti da allora di fatto sotto il controllo di Israele, in quella che è stata definita da varie risoluzioni dell’ONU come un’occupazione illegale. Israele ritiene invece che lo status di quei territori sia in discussione e debba ancora essere stabilito in negoziati futuri. Gli accordi di pace di Oslo del 1993 stabilirono che almeno in alcune aree della Cisgiordania l’Autorità palestinese abbia poteri civili, ma il percorso che da lì avrebbe dovuto portare a una progressiva autonomia di quei territori è interrotto da tempo. Israele, anzi, ha autorizzato lo spostamento di centinaia di migliaia di coloni nei territori della Cisgiordania.
La Striscia di Gaza non è di fatto occupata da Israele, che si ritirò da quel territorio nel 2006, ma buona parte della comunità internazionale continua a ritenere Israele come una “potenza occupante”, perché controlla i confini, i commerci e lo spazio aereo della Striscia.
Secondo i palestinesi l’occupazione, oltre a essere illegale, crea un sistema di discriminazione sistematica nei territori occupati, dove esistono due sistemi legali differenti, e ai cittadini palestinesi sono negati numerosi diritti. Per questo, l’Assemblea generale dell’ONU ha chiesto alla Corte di definire le conseguenze legali dell’occupazione, tanto per Israele quanto per la comunità internazionale.
Non è ancora chiaro cosa implicherà questa decisione. Secondo il diritto internazionale, la “potenza occupante” di un territorio ha doveri molto precisi e stringenti nei confronti della popolazione del territorio occupato, come quello di garantire il suo benessere. Israele tuttavia rifiuta questo status, e non ci sono ragioni per ritenere che accetterà un’opinione non vincolante della Corte in merito.
Da lunedì al 26 febbraio la Corte sentirà le opinioni di tutti i paesi che partecipano al caso, che sono più di 50 e che esprimeranno i loro pareri favorevoli o contrari. Per avere un verdetto, però, ci vorranno mesi.