La nuova piattaforma anti pirateria ha bloccato siti che non doveva bloccare
Dovrebbe oscurare solo quelli che trasmettono illegalmente partite di calcio e film, ma nelle prime segnalazioni sono stati coinvolti anche indirizzi di servizi legali
Dall’inizio di febbraio è entrata in funzione la piattaforma anti pirateria che blocca la riproduzione illegale di partite di calcio in diretta, film e altri eventi protetti dal diritto d’autore su siti e piattaforme che non sarebbero autorizzati a trasmetterle. La piattaforma si chiama Piracy Shield ed è stata commissionata dalla Lega Calcio Serie A e regolata all’Autorità garante delle comunicazioni, l’AGCOM. Nelle settimane che hanno preceduto il lancio sono stati fatti alcuni test andati a buon fine, ma nei primi giorni di applicazione qualcosa è andato storto: sono stati bloccati siti che non dovevano essere bloccati.
La legge che ha introdotto regole più severe contro la pirateria è stata approvata lo scorso agosto. È stata chiamata informalmente “legge anti-pezzotto”, dal nome di un diffuso sistema illegale usato per vedere le partite di calcio senza pagare abbonamenti a DAZN o Sky, che in Italia detengono gran parte dei diritti.
Secondo alcune rilevazioni negli ultimi due anni, in Italia l’uso del “pezzotto” o di altri strumenti simili per vedere illegalmente le partite di calcio è fortemente aumentato: un’indagine dell’agenzia di ricerche e sondaggi Ipsos per conto di Fapav, associazione che tutela l’industria dei contenuti audiovisivi, ha stimato che nel 2022 gli illeciti sulla fruizione illegale di contenuti sportivi siano aumentati del 26 per cento rispetto all’anno precedente.
Naturalmente la riproduzione non autorizzata di contenuti audiovisivi protetti dal diritto d’autore in Italia era già illegale, ma con la nuova legge sono stati ampliati i poteri a disposizione delle autorità per contrastare la pratica e sono state aumentate le sanzioni.
Chi detiene i diritti delle trasmissioni televisive o dei film, per esempio Sky e DAZN, ha un ruolo molto importante nella gestione di Piracy Shield. Spetta direttamente alle aziende, infatti, segnalare alla piattaforma la trasmissione di contenuti senza autorizzazione allegando prove video. Il sistema segnala poi i siti individuati agli operatori di telecomunicazioni che hanno 30 minuti per oscurarli. È uno strumento potente, con un meccanismo piuttosto veloce e quasi totalmente automatico a eccezione della segnalazione iniziale.
In base alla legge i gestori dei siti che trasmettono i contenuti illegalmente rischiano fino a tre anni di carcere, mentre le persone che ne usufruiscono possono ricevere fino a un massimo di 5mila euro di sanzione.
Tuttavia negli ultimi giorni, secondo quanto ricostruito dal giornale specializzato DDay e da diversi analisti, sono stati bloccati anche siti che non avevano nulla a che fare con le trasmissioni illegali. Tra le segnalazioni, infatti, sembra che siano finiti anche alcuni indirizzi IP connessi alla CDN (la Content Delivery Network, letteralmente “Rete per la consegna di contenuti”) di Zenlayer, un fornitore americano di servizi cloud.
Una decina di indirizzi IP che appartengono alla rete di Zenlayer sono stati bloccati e con loro tutti i servizi e i siti distribuiti dalla stessa rete. Per esempio dall’Italia risulta inaccessibile Cloud4C, un’azienda che fornisce servizi cloud. Lo stesso è successo ad altri siti. Il rischio, secondo diversi esperti che su X hanno commentato questo disservizio, è che i blocchi fatti con Piracy Shield possano coinvolgere siti internet legali che offrono servizi essenziali alle persone.
In un’intervista a Wired Alessandro Miele, uno degli ingegneri che hanno sviluppato Piracy Shield, ha detto che devono essere segnalati al sistema soltanto i server utilizzati esclusivamente per trasmettere contenuti senza avere i diritti. «Diciamo che il server deve essere univocamente destinato a quel tipo di attività illecita e se c’è un’attività lecita non può essere bloccato», ha detto Miele.
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