Matt Groening, il genio
Il creatore dei “Simpson” ha sdoganato l'animazione per adulti e inaugurato un modo diverso di raccontare le famiglie americane: oggi compie settant'anni
Tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi dei Duemila nel mondo si è affermata un’immagine piuttosto nitida della tipica famiglia americana della classe media: un padre rozzo e sempliciotto, una madre casalinga indaffarata e dal fare rassegnato, un figlio irrequieto e con un pessimo rendimento scolastico e due figlie, una neonata e l’altra studiosa e con una forte coscienza politica. Sono Homer, Marge, Bart, Maggie e Lisa Simpson, la famiglia di una serie animata che ebbe un impatto senza eguali nella cultura pop occidentale. La creò il fumettista e sceneggiatore statunitense Matt Groening, nato a Portland (Oregon) il 15 febbraio del 1954, settant’anni fa, e considerato uno dei più grandi innovatori di sempre nel settore dell’animazione.
Groening infatti inventò un genere che continua ad avere parecchia fortuna ancora oggi: l’animazione seriale per adulti. Praticamente tutte le serie animate che negli ultimi trent’anni hanno provato con successo a parlare a un pubblico più maturo, come i Griffin, Beavis and Butt-head, American Dad!, South Park, Bob’s Burgers e King of the Hill o le più recenti BoJack Horseman e F is for Family, hanno preso ispirazione in maniera piuttosto esplicita dalla formula coniata da Groening e, anzi, senza i Simpson probabilmente non sarebbero mai esistite. Ma non solo: negli anni hanno preso ispirazione dai Simpson anche diverse serie non animate, nel modo in cui hanno dato risalto agli aspetti più disfunzionali e meno edificanti delle famiglie statunitensi.
Prima dell’enorme successo dei Simpson, Groening aveva in mente di diventare un fumettista. Aveva iniziato ad appassionarsi al fumetto e all’animazione fin da bambino, inizialmente grazie ai lungometraggi della Disney, e in particolare La carica dei 101 (cui avrebbe dedicato un episodio speciale dei Simpson), e in seguito con le strisce a fumetti di autori come Robert Crumb, Ernie Bushmiller, Ronald Searle e Charles M. Schulz. Nella seconda metà degli anni Settanta, dopo una laurea in giornalismo all’Evergreen State College di Olympia (Washington), si trasferì a Los Angeles dove per mantenersi fece diversi lavori: cameriere, comparsa televisiva, impiegato di un’azienda per il trattamento delle acque e commesso di un negozio di dischi.
Il suo primo esperimento creativo fu Life in Hell, una striscia a fumetti che aveva per protagonisti Binky, un coniglio antropomorfo, la sua ragazza Sheba, Bongo, figlio illegittimo di Binky, e Akbar e Jeff, due fratelli che portano avanti una relazione incestuosa. Inizialmente Groening fece circolare Life in Hell in maniera quasi clandestina, fotocopiando le tavole che disegnava e vendendole per pochi centesimi nel negozio di dischi di Los Angeles in cui lavorava. Nel 1980 le strisce di Life in Hell iniziarono a essere pubblicate dal periodico Los Angeles Reader, e Groening cominciò a essere riconosciuto come un autore di culto.
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— lauren (@Very__Regular) January 3, 2024
Tra gli estimatori di Life in Hell c’era anche James L. Brooks, produttore del Tracey Ullman Show, uno spettacolo comico che andava in onda su Fox. Nel 1987 Brooks decise di contattare Groening per chiedergli di lavorare a una serie animata da inserire nel suo show, che potesse riproporre a un pubblico più ampio i temi trattati nelle strisce. Inizialmente la produzione aveva in mente di realizzare una vera e propria versione animata di Life in Hell, ma Groening rifiutò perché riteneva che il fumetto funzionasse già bene nel suo formato, e anche perché scoprì che se avesse accettato avrebbe dovuto rinunciare a parte dei diritti, perdendo una creazione cui era molto affezionato.
Decise quindi di creare una serie diversa, basata su una famiglia problematica e disfunzionale: «Fui influenzato sia da ricordi legati alla mia famiglia, sia dalle sit-com famigliari che mi avevano appassionato da bambino», raccontò Groening durante un’intervista a NPR del 1998. Groening creò i primi personaggi ispirandosi alla sua famiglia, e utilizzò anche i loro nomi: Homer, Marge, Lisa e Maggie. Per il figlio maschio scelse di non usare il proprio nome, ma quello di Bart, traendo ispirazione dal protagonista di un racconto che aveva scritto al liceo.
Prima di allora pochi autori avevano provato a utilizzare l’animazione adattandola a linguaggi e contesti più maturi. Nel 1972 per esempio il regista statunitense Ralph Bakshi aveva diretto Fritz il gatto, adattamento dell’omonima striscia a fumetti pubblicata da Robert Crumb nella seconda metà degli anni Sessanta. Era stato il primo film d’animazione vietato ai minori di 18 anni negli Stati Uniti, e fu avversato dall’opinione pubblica conservatrice per la sua ostentata volgarità e per la caratterizzazione dei personaggi, che come nelle strisce di Crumb facevano uso di droghe e parlavano di sesso in maniera piuttosto esplicita, mentre il pubblico naturale dell’animazione erano ancora considerati soprattutto i bambini. L’esperimento di Bakshi aveva sicuramente degli aspetti interessanti, e oggi è stato rivalutato da una parte di critica.
I primi micro-episodi dei Simpson – che a differenza delle stagioni successive non sono mai arrivati in Italia – duravano poco più di un minuto e andavano in onda prima e dopo le pause pubblicitarie. Oggi i disegni sembrano particolarmente primitivi, ma c’è una ragione precisa: Groening non aveva mai realizzato una serie animata, e fornì alla produzione solamente alcuni schizzi, pensando che i loro animatori li avrebbero sistemati con un lavoro di post-produzione, ma non andò così.
Disegni a parte, molti degli elementi dei primi micro-episodi sono gli stessi ancora oggi: le situazioni un po’ nonsense in cui riuscivano a infilarsi i personaggi principali, i loro vestiti e persino le voci (Dan Castellaneta e Julie Kavner, che interpretano Homer e Marge Simpson, facevano già parte del cast del Tracey Ullman Show). Certi episodi anticiparono alcune gag delle stagioni future: come il micro-episodio “Bart and Dad Eat Dinner”, in cui Homer obbliga Bart a mangiare una strana poltiglia una sera in cui sono a casa da soli.
La gag ne ricorda una molto più famosa, contenuta nel sesto episodio della tredicesima stagione (quello in cui Lisa si converte al buddismo): Homer obbliga Bart a mangiare quello che mangia lui, e Bart quindi è costretto a imburrare un pezzo di bacon e a “impancettare” una salsiccia.
Dopo due anni di micro-episodi, i Simpson si erano ormai stabilizzati: i disegni erano già molto simili a quelli delle stagioni “regolari” che si sarebbero diffuse dopo, ed erano già comparsi alcuni futuri personaggi secondari della serie come Krusty il Clown, Grattachecca e Fichetto. Oltre a far ridere, i Simpson avevano anche già affrontato alcuni temi piuttosto inusuali per una serie comica animata, come le sedute di terapia psicologica familiare o l’abitudine al taccheggio di Bart.
I Simpson piacquero così tanto a Fox che nel 1989 anticipò dieci milioni di dollari per produrre una prima vera stagione. Andarono in onda per la prima volta nel formato cui siamo abituati il 17 dicembre del 1989, con lo speciale di Natale “Simpsons Roasting on an Open Fire” (“Un Natale da cani”), episodio che in Italia sarebbe stato trasmesso solo due anni dopo, in prima tv su Canale 5, la vigilia di Natale (la trasmissione della serie in Italia era iniziata il primo ottobre con il secondo episodio della prima stagione, “Bart, il Genio”).
Nella sua prima trasmissione negli Stati Uniti fece 13,4 milioni di ascolti, diventando il secondo show più visto nella storia di Fox fino ad allora. L’episodio fu diretto da David Silverman e, rispetto agli altri andati in onda in seguito ma prodotti prima di questo, mostrava già alcuni miglioramenti nelle tecniche di animazione, per quanto ancora spartane. “Un Natale da cani” aveva dentro di sé molti degli elementi che avrebbero caratterizzato l’intera produzione dei Simpson. I membri della famiglia cedono spesso alle meschinità e dimostrano uno spiccato egoismo, ma nel corso di ogni episodio imparano qualcosa che contribuisce a rendere più forte il loro legame e a conoscersi meglio. Quasi tutte le prime stagioni dei Simpson seguono questo filone e non è un caso che comprendano gli episodi cui i fan sono più affezionati.
Nel primo episodio andato in onda c’era inoltre un altro elemento cardine dell’intera produzione dei Simpson: il citazionismo. A un certo punto c’è una parodia di una scena del film Goldfinger, mentre Bart fa riferimento a diversi altri personaggi dei cartoni animati come Charlie Brown, Peter Pan e i Puffi. C’è anche un riferimento a Batman. Negli anni successivi, gli autori dei Simpson si sarebbero divertiti a inserire riferimenti di ogni tipo, al punto da poter affermare che in oltre 670 episodi della serie ci sia una quantità di citazioni tale da riassumere buona parte dei prodotti culturali del cinema, della radio, della musica e della televisione del Novecento, senza contare i riferimenti letterari che coprono ancora più secoli.
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Le prime otto stagioni della serie, che andarono in onda tra il 1989 e il 1997, sono tuttora considerate da praticamente tutti i critici come una delle cose più intelligenti e divertenti mai viste in televisione. La serie era nuova sotto moltissimi punti di vista, a partire dalla visione dissacrante della famiglia media americana, che per tutti gli anni Ottanta era stata ritratta in maniera piatta e idilliaca dalla televisione. Groening riuscì a creare un universo complesso e profondo di personaggi, ciascuno con una propria coerenza e una propria personalità, e tutti con delle credibili relazioni reciproche. Gli episodi, tutti autoconclusivi, avevano spesso sceneggiature imprevedibili e brillanti, e piene di battute che si prestavano spesso a più piani di lettura, molte delle quali vengono citate ancora oggi.
Negli anni i Simpson sono diventati un fenomeno culturale ampiamente analizzato: sono stati dedicati alla serie decine di saggi, che hanno approfondito i suoi aspetti filosofici e sociologici. Come cita Andrea Fiamma in un articolo scritto su Link – Idee per la tv, nel libro TV (The Book) Alan Sepinwall e Matt Zoller Seitz hanno scritto che la serie di Groening «ha smesso di essere un prodotto tv ed è diventata un’entità più simile a un’istituzione: una cosa che abbiamo, che usiamo, che diamo per scontata».
Un’altra particolarità dei Simpson, imitata da un gran numero di serie successive, sono le comparsate di personaggi influenti della società e della cultura statunitense, che spesso partecipano agli episodi in veste di “ospiti speciali”. Negli anni Groening e gli sceneggiatori hanno fatto interagire i personaggi dei Simpson con personalità legate al mondo dell’intrattenimento generalista (Danny DeVito, Dustin Hoffman) e anche della cultura “alta”, da Art Spiegelman a Maya Angelou.
Nel 1999 la Fox iniziò a trasmettere Futurama, la seconda serie animata di Groening, ambientata in un futuro immaginario e piena di citazioni ai classici della letteratura fantascientifica mondiale, come Philip K. Dick e William Gibson. La serie regolare andò in onda negli Stati Uniti dal 1999 al 2003 (anche se, negli anni, sono state prodotte altre stagioni), ed è ambientata nell’anno 3000 a Nuova New York, città che sorge sulle macerie della fu New York. Protagonista delle vicende è un fattorino, Philip J. Fry che, la notte del 31 dicembre 1999 si ritrova casualmente congelato in un laboratorio criogenico. Verrà svegliato esattamente mille anni dopo, in un futuro completamente diverso rispetto alla realtà a cui era abituato. Qui, grazie al suo pro-nipote, il professor Hubert J. Farnsworth, troverà lavoro come fattorino spaziale presso la sua azienda, la Planet Express.
La struttura era simile a quella dei Simpson, ma con qualche attenzione in più dal punto di vista narrativo, e in particolare nello sviluppo nelle storie: infatti, anche se Futurama era composta da episodi autoconclusivi, sviluppava fin da subito alcuni archi narrativi orizzontali che attraversavano l’intera serie, e che permettevano di dare una caratterizzazione più profonda ai personaggi. Futurama è apprezzata anche per alcuni suoi aspetti più caratteristici, che spesso non sono di immediata comprensione per il pubblico generalista ma diretti alla nicchia degli appassionati di fantascienza, tecnologia e informatica. In anni più recenti invece l’attività di Groening è stata legata soprattutto a Disincanto, serie prodotta da Netflix e accolta molto tiepidamente dalla critica e dal pubblico.