Come mai Meloni ha assecondato la mozione del PD sul cessate il fuoco a Gaza
La presidente del Consiglio ha approfittato dell'iniziativa di Schlein per prendere ancora un po' le distanze da Israele, ma in maniera discreta
Martedì alla Camera sono state votate alcune mozioni che riguardavano il posizionamento del governo italiano rispetto alla guerra tra Israele e Hamas. L’esito più significativo di queste votazioni è stata l’approvazione di una parte di una mozione presentata dal Partito Democratico che impegna tra l’altro il governo «a sostenere ogni iniziativa volta a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza». Tutto ciò, come sempre in questi casi, non avrà necessariamente effetti concreti sull’azione del governo: le mozioni sono atti con cui i partiti chiedono ai ministri e al presidente del Consiglio di impegnarsi a fare o non fare certe cose, a seguire un orientamento anziché un altro.
Ma le votazioni sono solo formalmente vincolanti per il governo. Che da una parte dovrebbe tenere conto di ciò che le mozioni dicono, ma dall’altra può anche decidere tranquillamente di contraddirle, in tutto o in parte, adducendo una qualsiasi motivazione. Tanto più su una questione come la guerra tra Israele e Hamas, sulla quale le intenzioni del parlamento italiano e in fondo anche le scelte del governo italiano hanno una rilevanza tutto sommato scarsa. Per questo le discussioni sono spesso animate ma allo stesso tempo strumentali: servono più che altro a mostrare il posizionamento dei partiti sulle singole questioni.
In questo caso, poi, il significato puramente politico del voto di martedì sta anche nel fatto che la proposta del PD sul cessate il fuoco è stata approvata grazie a un accordo tra la segretaria Elly Schlein e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Le due leader si sono telefonate due volte durante la mattinata e alla fine sono arrivate a un’intesa. Su suggerimento di Meloni, il PD ha accettato di modificare alcune parti della sua mozione, che a quel punto è stata approvata grazie al fatto che la maggioranza di destra ha deciso di astenersi, facendo in modo che i soli voti delle opposizioni bastassero a promuovere il testo.
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Il meccanismo delle mozioni è un po’ particolare e va spiegato. Un partito deposita un testo, composto da premesse e impegni al governo. A quel punto, il governo può fare diverse cose: esprimere un parere negativo, che si traduce dunque in un voto contrario da parte della maggioranza parlamentare che lo sostiene, in aula; esprimere parere favorevole, di fatto promuovendo il testo; “rimettersi all’aula”, come si dice in gergo, cioè evitare di esporsi in un senso o nell’altro e limitarsi a prendere atto del voto dell’assemblea; oppure, infine, proporre una riformulazione.
Significa, in questo caso, che il governo si dice disponibile a dare parere favorevole a patto che il gruppo che propone la mozione ne modifichi alcune parti; il gruppo può accettare la riformulazione, il che di solito comporta l’approvazione pressoché automatica del testo, oppure rifiutarla, e votare sapendo quasi certamente di vedersi respinto il testo. Le cose sono spesso ancora più complicate perché si può decidere di «votare per parti separate», cioè esprimere un parere e un voto diverso per ciascuno dei punti di cui si compone la mozione.
È proprio quello che è successo martedì. La mozione del PD prevedeva 9 punti, e alla fine ne sono stati approvati solo 4, sia pure con alcune riformulazioni. Il primo punto, quello sul cessate del fuoco, nella versione originariamente presentata dal PD considerava la richiesta di un immediato cessate il fuoco come premessa per «perseguire la liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani». Dopo la mediazione tra Schlein e Meloni la priorità è leggermente cambiata e si dà più enfasi alla liberazione degli ostaggi («a sostenere ogni iniziativa volta alla liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani e a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza»).
Dal punto di vista tattico l’approvazione di questo passaggio è considerato un successo dal PD. «Proprio sul piano della politica estera, su cui è inevitabilmente faticoso tenere insieme le varie sensibilità del nostro partito, siamo invece riusciti a fare in modo che la linea unitaria del PD diventasse quella di tutte le opposizioni e in parte anche quella del governo», dice il deputato Peppe Provenzano, ex ministro del Sud e ora responsabile Esteri nella segreteria di Schlein.
In effetti, in questo caso il significato politico più importante della votazione su un atto in fin dei conti marginale sta forse nel fatto che Meloni ha in qualche modo approfittato dell’iniziativa del PD per prendere anche lei, come capo del governo, una posizione critica nei confronti di Israele. Nei mesi scorsi, Meloni ha più volte espresso una condanna risoluta nei confronti delle stragi compiute da Hamas il 7 ottobre. Il 21 ottobre è volata a Tel Aviv per ribadire la vicinanza del governo italiano al primo ministro Benjamin Netanyahu, un leader di destra radicale con cui del resto Meloni è da tempo in grande sintonia. Di fronte al prolungarsi delle operazioni di guerra dell’esercito israeliano a Gaza, però, il governo italiano ha progressivamente maturato alcune perplessità, come anche molti altri paesi alleati di Israele. Il primo nel governo a esprimerle, sia pure in maniera molto misurata, è stato il ministro della Difesa Guido Crosetto.
Il 24 gennaio scorso, in un suo intervento alla Camera, Meloni ha per la prima volta esplicitato la sua contrarietà alle posizioni più intransigenti prese da Netanyahu, spiegando di non condividere «la posizione recentemente espressa dal primo ministro israeliano» che si era detto contrario alla soluzione dei due Stati, cioè all’ipotesi di creare uno Stato palestinese e uno israeliano, prospettiva considerata da tutti i principali leader occidentali come quella a cui tendere.
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Nel frattempo anche il presidente statunitense Joe Biden sta mostrando sempre più insofferenza verso la strategia militare seguita da Netanyahu, in particolare a seguito della scelta di Israele di bombardare la città di Rafah. E Meloni è sempre molto attenta a muoversi in sintonia con l’amministrazione americana sulle grandi questioni internazionali: malgrado Biden sia un democratico, dunque di un orientamento politico diverso dal suo. Non a caso martedì mattina, poco prima che si aprisse il dibattito parlamentare sulle mozioni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani durante un’intervista a Radio 1 aveva detto, con toni per la prima volta così netti, che «a questo punto la reazione di Israele è sproporzionata, ci sono troppe vittime che non hanno nulla a che fare con Hamas».
Insomma, Meloni ha sfruttato l’occasione offerta dalla mozione del PD per poter esprimere questa sua posizione in politica estera, ma facendolo discretamente. Non si è dunque esposta direttamente, ma ha dato un segnale politico e diplomatico. Nel farlo, ha anche evitato che lo scontro politico si polarizzasse in maniera tale che il PD potesse accusare il governo di non volere la pace o il cessate il fuoco, un tema delicato anche sul piano elettorale.
«Meloni ha evitato di ostacolare la nostra iniziativa perché è evidentemente consapevole che l’opinione pubblica è estenuata da un’operazione militare, quella messa in atto da Israele in reazione agli attacchi del 7 ottobre, che per l’inaccettabile numero di vittime civili sta causando una catastrofe umanitaria e che semina odio e instabilità non solo in Palestina ma in tutta la regione», dice Provenzano. Più di tutti, Provenzano si è speso per promuovere questa iniziativa parlamentare del PD e ha avviato le trattative con gli altri partiti per ottenere un voto favorevole ad alcune parti della mozione, compresa appunto quella sul cessate il fuoco.