Le due eredità di Lara Croft
In “Tomb Raider” fu uno dei primi protagonisti femminili di un videogioco, modello di forza ed emancipazione ma anche di ipersessualizzazione
Il 14 febbraio è stata pubblicata una edizione rimasterizzata dei primi capitoli di Tomb Raider, una delle serie più famose nel mondo dei videogiochi, originariamente uscita nel 1996 sulla console SEGA Saturn e successivamente su PC e PlayStation. Questa nuova edizione è stata sviluppata da Aspyr, uno studio specializzato in questo genere di operazioni, che ha utilizzato il codice originale di Core Design ammodernandone grafica e sistema di controllo ma lasciando di fatto inalterata l’esperienza di gioco.
Ai tempi della sua prima pubblicazione, Tomb Raider ebbe un enorme successo: divenne uno dei giochi più venduti sia su SEGA Saturn che su PlayStation, dove fu uno dei primi a superare il milione di copie vendute trasformando la sua protagonista in uno dei personaggi più riconoscibili dell’intera industria dell’intrattenimento, al punto che Paramount e Warner Bros. produssero quattro film per il cinema (i primi con Angelina Jolie e l’ultimo con Alicia Vikander). Se si considerano tutti i 22 giochi pubblicati dopo la prima uscita, la serie ha venduto oltre 95 milioni di copie e contribuito al successo sia di PlayStation che del genere a cui appartiene, che è quello delle avventure in terza persona.
La popolarità di Tomb Raider, quantomeno nella sua fase iniziale, fu dovuta in gran parte alla sua protagonista Lara Croft, un’archeologa britannica la cui occupazione principale è andare a caccia di tesori e reliquie del passato in giro per il mondo. Anche se non è stata la prima protagonista femminile di un videogioco (prima di lei ci furono Ms. Pac-Man e Samus Aran di Metroid) è certamente stata quella il cui aspetto ha più contribuito alla sua popolarità.
In un’intervista di qualche anno fa al New York Times Heather Stevens, una delle sviluppatrici che lavorarono al primo Tomb Raider, disse che alcuni attributi fisici di Lara Croft furono enfatizzati per poter promuovere più facilmente il gioco nei confronti del pubblico maschile, al punto che «c’era una differenza tra il personaggio all’interno del gioco e a come questo veniva rappresentato nella pubblicità. Noi conoscevamo una Lara Croft diversa».
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Nonostante nel 1996 la grafica tridimensionale fosse ancora primitiva e non permettesse di creare modelli poligonali (cioè la struttura di base del personaggio, formata da un insieme di poligoni) troppo complessi, l’aspetto di Lara Croft fu pensato innanzitutto per compiacere un pubblico maschile grazie al seno prosperoso, la vita stretta, una canottiera aderente e pantaloncini attillati e cortissimi. Per Aja Romano, giornalista di Vox che si occupa di cultura, «se fosse stata meno sexy, probabilmente non sarebbe riuscita a diventare la protagonista di una serie di videogiochi, e questo al tempo fu una cosa enorme».
Se oggi avere un videogioco con una protagonista femminile è abbastanza comune, fino a pochi anni fa sarebbe stato considerato un grosso rischio: secondo un’analisi del 2012 di EEDAR (un’azienda specializzata in ricerche di mercato e analisi dei dati per l’industria dei videogiochi), su oltre 700 videogiochi usati come campione solo il 3,6 per cento aveva come avatar esclusivamente personaggi femminili, e questo a causa principalmente degli editori che destinavano a queste produzioni meno della metà del budget previsto per la promozione rispetto ai giochi con protagonisti maschili.
Nel tempo, Lara Croft è stata oggetto di analisi e critiche anche politiche. Per Anita Sarkeesian, critica e attivista a lungo alla guida dell’organizzazione Feminist Frequency, è ad esempio un personaggio «ipersessualizzato che promuove una profonda oggettificazione delle donne». Sarkeesian spiega che non sono solo le caratteristiche fisiche del personaggio a essere a suo avviso problematiche, ma anche altri aspetti del gioco che ruotano intorno alla sua protagonista, come la telecamera centrata proprio sul suo sedere o gli effetti sonori allusivi: «il modo in cui si vede Lara Croft correre in giro indossando i suoi shorts incoraggia i giocatori a vederla come un oggetto sessuale», dice infatti Sarkeesian.
Toby Gard, il designer del personaggio, difese le sue scelte, dicendo in un’intervista successiva al lancio del gioco che l’idea alla base del personaggio era quella di avere «una protagonista femminile che fosse un’eroina: cool, calma e in totale controllo». Sempre secondo Gard l’idea del team di sviluppo non fu mai quella di creare una “ragazza da pagina 3” [riferendosi all’abitudine del passato di alcuni tabloid inglesi di avere la foto di una ragazza seminuda a pagina tre]: «Penso sia ridicolo affermare che la rappresentazione di persone stilizzate sia degradante», dice sempre Gard. «È possibile rappresentare un personaggio eroico esagerato accentuandone le caratteristiche come una mascella sporgente, spalle larghe o vita sottile, e questo non è degradante per gli uomini».
Il modo in cui fu progettato e presentato il personaggio di Lara Croft, comunque, è stato problematizzato anche per altre ragioni, più profonde. Nonostante i membri del team sviluppo originale abbiano sempre provato a giustificare le loro scelte, apparve chiaro sin da subito che la percezione più diffusa di Lara Croft sarebbe stata quella di una donna ipersessualizzata. Negli anni di maggior fama della serie, Lara Croft venne presentata e pubblicizzata quasi come fosse una persona reale: Judith Gibbins, la doppiatrice del secondo e terzo capitolo, in un’intervista al Washington Post raccontò di come durante le fiere e gli eventi di promozione del gioco lei stesse dietro le quinte con un auricolare e un microfono e rispondesse alle domande del pubblico fingendo di essere l’archeologa. La creazione di un senso di possesso e controllo da parte del giocatore è alla base del personaggio, che ha bisogno innanzitutto del videogiocatore, quasi sempre uomo, per poter effettivamente superare le difficoltà che incontra nelle sue avventure.
Un qualche tipo di connessione sentimentale con il personaggio è stato qualcosa che lo stesso team di sviluppo ha più volte incoraggiato. Adrian Smith, al tempo direttore di Core Design, disse al Los Angeles Times che Lara Croft è «una donna fragile, qualcuno che vuoi proteggere e accudire. Una donna vera, che potrebbe essere seduta accanto a te sull’autobus», presentandola proprio come una sua fantasia romantica. «Qual è l’anima gemella di Lara? Certamente qualcuno come me: elegante e sofisticato». Questo concetto era ulteriormente rafforzato dal fatto che nel primo episodio si poteva accedere a un’area privata della sua casa, un’area riservata solo alla famiglia e alle persone a lei più vicine.
Ma nonostante l’immagine del personaggio venisse ipersessualizzata e pesantemente sfruttata dalla campagna promozionale della serie, Lara Croft era comunque anche molto altro: una donna determinata, intelligente, colta e capace di sfidare un mondo dominato dagli uomini.
Per Fabrizia Malgieri, che si occupa di videogiochi sul Corriere della Sera, questi erano proprio gli aspetti più interessanti: «era bella, coraggiosa, forte, sprezzante del pericolo e, soprattutto, un’archeologa, faceva un lavoro solitamente associato ai ‘maschi’. Era la versione femminile di Indiana Jones, personaggio che – come per tutti quelli della mia generazione nati negli anni Ottanta – era l’emblema dell’avventura».
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Anche per Anna Sidoti, che su IGN Italia cura la rubrica Together, Lara Croft è un personaggio completo e ricco di sfaccettature, e questo nonostante sia stata creata per compiacere lo sguardo maschile. E moderno, anche: «Oggi si parla tanto di attuali influencer generati dall’intelligenza artificiale che in futuro potranno prendere ancora più piede», dice Sidoti, «però nel 1996 Lara Croft era già questa cosa qui che oggi etichettiamo come novità assoluta. Nel 1997 era su una copertina di un magazine di moda (The Face) e nel 1998 il Ministero della Scienza britannico la nominò ambasciatrice per l’eccellenza scientifica».
Se è vero che si discute del fatto se Lara Croft possa essere o meno considerata un esempio di empowerment femminile sin dalla sua prima apparizione nel 1996, è con la nuova trilogia che questo discorso è tornato rilevante. All’inizio degli anni Dieci Crystal Dynamics e Square Enix, l’editore che al tempo pubblicava i suoi giochi, decisero di creare una nuova serie di Tomb Raider che non avesse legami narrativi con la precedente. Nacquero così gli ultimi tre giochi principali della serie: Tomb Raider (2013), Rise of the Tomb Raider (2015) e Shadow of the Tomb Raider (2018). Tutti e tre i nuovi capitoli sono stati scritti da Rhianna Pratchett, che ha provato a normalizzare e attualizzare il più possibile la sua protagonista, sia dal punto di vista fisico che da quello della personalità, attraverso il racconto di un passato traumatico che l’ha fortemente condizionata.
«Molte persone hanno risposto molto bene al fatto che Lara fosse spaventata, chiedesse aiuto, fosse sconvolta nell’uccidere qualcuno o semplicemente mostrasse un lato più umano», ha detto Pratchett al portale Polygon. «Non è tanto l’essere esplicitamente femminile che è piaciuto, quanto più l’essere vulnerabile in quanto umana, e quindi con la paura di morire». La nuova trilogia è stata generalmente considerata un successo, dal punto di vista sia della critica che del pubblico, con valutazioni molto positive e oltre 38 milioni di copie vendute. Anche la nuova versione del personaggio è stata però considerata problematica da qualcuno: Ria Jenkins sul Guardian ha notato come lo sviluppatore e l’editore abbiano insistito sul fatto che la nuova Lara Croft sia una sopravvissuta, alimentando così un vecchio tropo per cui le donne sono spesso rappresentate come sopravvissute e gli uomini come eroi: «le prime devono superare le difficoltà», dice Jenkins, mentre i secondi «raggiungono il successo».
Malgieri, pur apprezzando il lavoro di Pratchett, si sente meno legata alla Lara Croft della nuova serie, e non tanto per l’aspetto più normale e meno ammiccante («ho sempre trovato ingiusto il fatto che quella che era un tempo una sua criticità abbia per tanto tempo offuscato la sua importanza in quanto personaggio femminile», dice), quanto perché la normalizzazione della sua personalità l’ha portata a essere un modello di empowerment meno efficace. «Quello che amavo di Lara era l’ideale che rappresentava: quello di indipendenza, autodeterminazione, di forza».
Per Sidoti invece il rinnovato dibattito intorno a Lara Croft è la conseguenza di una maggiore attenzione nella rappresentazione della figura femminile, ed è un distillato di quello che sta succedendo da anni in tutto il mondo. «Lara Croft subisce e ha subito gli stessi processi morali di ogni donna nella propria vita: il vestito è troppo corto, il seno troppo grande, “sei femminista o no?”, “chi ti piace?”», dice Sidoti, che riconosce anche alla prima versione del personaggio il merito di aver mostrato che si può essere sia sexy che intelligenti.
«Ancora oggi sembra che identificandosi nel genere femminile si possa solo selezionare una tra queste opzioni», dice infatti Sidoti, che fa presente quanto sia tutto sommato facile empatizzare con lei. «È stato bello anche vedere la sua evoluzione, specchio di tutti i cambiamenti culturali che abbiamo affrontato e continuiamo a fare; le contraddizioni, l’impatto che questo singolo personaggio ha e che la rendono umana, reale».
Avere una protagonista esclusivamente femminile in un videogioco oggi è più comune che al tempo del primo Tomb Raider: negli ultimi anni alcune delle produzioni più importanti hanno avuto come personaggio principale una donna (The Last of Us Parte II, Control, Horizon Zero Dawn e Forbidden West), e due delle più vendute serie degli ultimi decenni (Grand Theft Auto e Assassin’s Creed) seguiranno questa strada con i loro prossimi capitoli. Nonostante questo la sproporzione tra protagonisti maschili e femminili è ancora enorme, aggravata oltretutto dal fatto che in media i personaggi femminili parlano circa la metà di quelli maschili. Secondo Brianna Wu, sviluppatrice e giornalista, uno dei fattori che contribuiranno maggiormente a una più adeguata rappresentazione delle donne nei videogiochi è il fatto che la loro oggettificazione non è più una strategia di marketing vincente. «C’è ancora tanto lavoro da fare in questo senso», conclude Wu, «ma è anche importante rendersi conto di quanta strada si sia fatta».