Capire le ragioni dei sostenitori italiani di Javier Milei

Nel gruppo eterogeneo di chi non ritiene il presidente argentino un pazzo c'è un generale apprezzamento per il suo approccio all'economia, ritenuto in qualche modo utile anche per noi

Foto di Javier Milei e Giorgia Meloni che si guardano
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni riceve Milei a Palazzo Chigi, il 12 febbraio 2024 (Filippo Attili/LaPresse)
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Javier Milei, il presidente dell’Argentina eletto lo scorso novembre, durante la campagna elettorale aveva utilizzato spesso toni aggressivi e violenti, facendo mostra di posizioni economiche estreme (per esempio quella di far esplodere la banca centrale del paese), di posizioni antiabortiste e di dichiarate simpatie verso leader di estrema destra, come gli ex presidenti statunitense e brasiliano Donald Trump e Jair Bolsonaro. Per questo e per le sue trovate provocatorie – la motosega durante i comizi, solo per dirne una – Milei è stato molto criticato, ma dopo la sua elezione è nato anche un cospicuo gruppo di estimatori, sia in Italia che in altri paesi occidentali.

Sono persone che apprezzano in particolare una delle caratteristiche spesso citata invece nel biasimarlo, quella di essere un “ultraliberista”, ovvero un radicale sostenitore delle teorie del libero mercato e della necessità di limitare al massimo l’intervento dello Stato nell’economia. C’è dunque una tendenza, in questi giudizi, a dare maggiore importanza alle questioni economiche che non a quelle legate ai diritti civili e al rispetto della democrazia e dello stato di diritto. Gli ammiratori di Milei tendono a sminuire gli aspetti più repressivi e autoritari del presidente argentino, definendoli semplici provocazioni, e a esaltare invece le sue politiche economiche non ortodosse.

Non c’è un fronte compatto di suoi ammiratori: l’insieme di opinionisti e politici che ha dimostrato di apprezzarlo è piuttosto eterogeneo. Nel complesso però è evidente che le simpatie verso Milei, almeno fra i commentatori italiani, abbiano una doppia matrice: una ha a che vedere con le specificità della politica e della storia economica recente dell’Argentina, l’altra invece guarda più all’Italia, e per certi versi proietta sull’Italia in maniera più o meno approssimativa le misure economiche che Milei intende adottare nel suo paese. Insomma, l’idea è di dare una valutazione positiva di Milei per parlare di alcuni strutturali problemi dell’economia italiana e dell’urgenza di risolverli.

Milei viene ricevuto da Papa Francesco nella sua visita a Roma di domenica 11 e lunedì 12 febbraio (Vatican Media/LaPresse)

Per quanto riguarda l’Argentina, le tesi di chi in vario modo apprezza Milei tendono a rimarcare la costituzionale stranezza della politica argentina, e l’incompatibilità generale delle consuetudini di quel paese con i parametri canonici della democrazia liberale occidentale. In questo senso Milei non rappresenterebbe poi così tanto un’anomalia, ma sarebbe un personaggio sopra le righe e fuori scala in un contesto comunque di per sé sopra le righe, e scombiccherato.

Se è vero per esempio che Milei ha dimostrato un disprezzo grossolano per molte istituzioni del suo paese, qualificandosi in campagna elettorale come una specie di aspirante autocrate populista di destra, è anche vero che per decenni a guidare il fronte opposto al suo sono stati esponenti del peronismo, dunque nazionalisti di sinistra che si sono rifatti a Juan Domingo Perón, amatissimo leader argentino del Dopoguerra che aveva istituito un regime illiberale e populista fondato sul culto della sua personalità e su quello della sua famiglia. In mezzo ci fu una terribile dittatura militare, ma poi dagli anni Duemila il fronte progressista in Argentina è stato sempre più egemonizzato dalla famiglia Kirchner e dai suoi sostenitori: con Nestor e sua moglie Cristina (coinvolta peraltro in grossi casi di corruzione, per cui è stata condannata in primo grado) che si sono succeduti alla presidenza del paese ininterrottamente tra il 2003 e il 2015. Cristina Kirchner è poi stata anche vicepresidente tra il 2019 e il 2023.

Il candidato che questo fronte peronista aveva contrapposto a Milei nelle recenti elezioni presidenziali era Sergio Massa, il ministro dell’Economia uscente, che si era presentato come il possibile risanatore delle disastrate finanze argentine. Tuttavia Massa aveva contribuito negli ultimi anni a far salire tantissimo l’inflazione, cioè un aumento generalizzato del costo della vita, fino al massimo storico del 120 per cento su base annua. Questa scelta non era stata gradita dall’elettorato, specialmente quello moderato, che ha finito per scegliere Milei pur non essendo del tutto entusiasta di molte sue proposte. Nei primi mesi del governo Milei l’inflazione è però aumentata ancora, fino a superare il 200 per cento su base annua.

Del resto l’ambito in cui l’Argentina ha dimostrato di più la sua anomalia negli ultimi decenni è proprio l’economia, diventando un paese ormai strutturalmente in crisi finanziaria. Dall’inizio del Duemila è stata costretta tre volte al default, cioè ad ammettere di non essere in grado di ripagare in tutto o in parte i debiti contratti con i suoi creditori internazionali. I partiti peronisti in questi anni hanno provato a risolvere le crisi stampando moneta a ritmi esagerati, svalutando però ancor più la valuta nazionale, il peso, e producendo nuovi squilibri economici, tra cui appunto l’innalzamento dell’inflazione. Insomma, un circolo vizioso che ha peraltro portato la popolazione sotto la soglia della povertà assoluta al 45 per cento del totale.

L’ex presidente Alberto Fernández insieme a Cristina Kirchner, già presidente e poi vicepresidente: il rapporto tra i due fu piuttosto burrascoso, pur essendo espressione della stessa coalizione di governo tra il 2019 e il 2023 (Juan Ignacio Roncoroni/EPA)

E questo, nell’ottica dei sostenitori di Milei, ha reso convincenti le sue proposte economiche basate sulla riduzione della spesa pubblica e sul risanamento dell’economia attraverso misure di austerità. Anche le proposte più inverosimili o azzardate, come quella – presto accantonata – di introdurre il dollaro come moneta di riferimento in Argentina, sono parse in fondo come il male minore rispetto alla riproposizione di misure che già avevano ampiamente dimostrato di essere fallimentari.

In questo senso il giudizio del Fondo Monetario Internazionale (FMI) legittima almeno per ora le tesi dei sostenitori di Milei. Dopo anni di tensioni col governo del peronista Alberto Fernández che avevano portato quasi al congelamento del prestito straordinario da 57 miliardi di dollari concesso nel 2018, il 10 gennaio scorso l’FMI è tornato a esprimere dopo molto tempo un giudizio positivo sull’Argentina, autorizzando una nuova tranche del prestito da 4,7 miliardi e riconoscendo come meritevoli le prime misure adottate da Milei.

Questo è un punto importante per capire le ragioni di chi vorrebbe che la figura di Milei venisse in qualche modo rivalutata. Milei è così contraddittorio e sostiene posizioni così variegate che chiunque può vederci quello che vuole: un pericoloso antidemocratico o uno vicino ai valori occidentali. È trumpiano, ma a differenza di Trump crede fermamente nella necessità di sostenere la resistenza ucraina contro la Russia. Ha scelto come sua vice Victoria Villarruel, una nostalgica della dittatura militare, e al tempo stesso è un ammiratore di Margaret Thatcher, la prima ministra britannica degli anni Ottanta che è forse il personaggio più odiato dai nazionalisti di destra argentini nostalgici della giunta militare, per via della vittoria inglese nella guerra delle isole Falkland proprio contro l’Argentina.

Milei insulta i suoi avversari («Il socialismo è una malattia mentale e dell’anima») e mostra disprezzo per il pluralismo e alcuni fondamenti della democrazia occidentale, ma ha interrotto i rapporti diplomatici con la Cina (a cui il precedente governo si rivolgeva in maniera costante per chiedere sostegno economico) e abbandonato il piano di adesione dell’Argentina ai BRICS, cioè l’alleanza internazionale guidata da Russia e Cina.

Ma più di tutto questo, per i suoi sostenitori conta il fatto che il pensiero economico di Milei abbia come punto di riferimento centrale la cosiddetta scuola austriaca, cioè un gruppo di economisti che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento ha ridefinito i fondamenti del liberismo moderno. Per lo più ne fecero parte economisti europei e anglosassoni (Carl Menger, Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek) che Milei cita in continuazione. Durante la sua visita al papa Milei ha donato a Francesco appunto libri di von Mises e von Hayek.

E quindi non è tanto la sua collocazione internazionale o una presunta vicinanza ai valori occidentali a piacere, quanto l’individualismo e l’esaltazione della libertà d’impresa e della proprietà privata che Milei mutua da quel pensiero economico. Questi valori, dicono i sostenitori di Milei, sarebbero in contrapposizione all’oscurantismo statalista e cattolico che è stato per decenni alla base dell’ideologia sanguinaria e repressiva della dittatura militare, oltreché, in misura minore, alla base del dispotismo di Perón. Va detto che Milei interpreta questo approccio economico con esasperazioni brutali e volgari, come quando dice che vuole prendere «a calci nel culo i keynesiani e i collettivisti figli di puttana».

Sempre in quest’ottica il pensiero di Milei, per quanto grossolano e criticabile, non sarebbe neppure collocabile nella canonica destra o destra estrema. Nel suo disprezzo per il socialismo e il collettivismo, cioè per sistemi in cui lo Stato interviene profondamente nell’economia, c’è infatti una condanna non solo verso i regimi comunisti, ma anche per quelli fascisti. Di questo Milei ha parlato in un discorso molto apprezzato dai suoi ammiratori pronunciato al Forum Economico Mondiale di Davos, a metà gennaio. Milei ha detto tra l’altro che «con nomi o forme diverse, nella gran parte delle offerte politiche comunemente accettate nei paesi occidentali si tratta di varianti collettiviste, siano essi apertamente declamati comunisti, fascisti, nazisti, socialisti, socialdemocratici, democristiani, neokeynesiani, populisti, progressisti, nazionalisti o globalisti».

Dopodiché, come dicevamo, c’è la tendenza da parte dei suoi ammiratori italiani – per lo più politici o opinionisti riconducibili al centro e al centrodestra liberale – a utilizzare il pensiero di Milei per indicare aspetti del sistema economico italiano ritenuti problematici e distorti. In un paese col più alto debito pubblico d’Europa e che da decenni discute in maniera spesso sterile su come ridurre gli sprechi nella spesa pubblica, l’ultraliberismo del presidente argentino appare come un possibile rimedio. Vale lo stesso per certi suoi slogan. L’ormai celebre «No hay plata» («Non ci sono soldi») con cui Milei giustifica la necessità di ridurre i servizi pubblici è indicato come un’utile provocazione per denunciare l’abitudine assai diffusa tra i politici italiani di proporre misure e riforme molto costose senza indicare come finanziarle.

Lo ha fatto per esempio il deputato di Italia Viva Luigi Marattin, che si dice un estimatore critico di Milei, uno che insomma apprezza alcune sue proposte ma ha riserve su altre. «Di fronte alle migliaia e migliaia di società partecipate che nessuna riforma riesce mai a ridurre, la tentazione di ridurli gridando Afuera a volte viene», dice Marattin. «Così come viene spontaneo apprezzare chi, come Milei, abolisce la parola gratis in riferimento ai servizi pubblici finanziati ovviamente con le tasse dei cittadini, se pensiamo che in Italia riforme che sono costate oltre 120 miliardi di euro dei contribuenti vengono presentate da alcuni leader politici come misure a cui ricorrere gratuitamente».

Su posizioni simili è Alessandro Cattaneo, deputato di Forza Italia, secondo cui «non si tratta di dichiararsi fan di Milei. Si tratta semmai di riconoscere come alcune delle sue proposte economiche andrebbero valutate con serietà, e in certi casi con favore, in un paese che fatica enormemente a confidare nelle virtù del libero mercato, a favorire la concorrenza e a ridurre la spesa pubblica improduttiva».

Tutto ciò fa emergere peraltro anche una contraddizione di certi settori della destra italiana che hanno espresso di recente favore per Milei. Proprio sui temi della concorrenza e della competitività il governo di Meloni e il suo partito, Fratelli d’Italia, hanno espresso idee totalmente all’opposto a quelle di Milei, per esempio sulle concessioni balneari o sui tassisti, due questioni sulle quali il governo si è mostrato conservativo e timoroso di aprire alla concorrenza. Come ha scritto l’Economist, il governo ha seguito più che altro «una filosofia economica protezionista, corporativa, statalista e critica nei confronti del libero mercato».