Lo sci sta diventando impraticabile a livello agonistico?
I frequenti infortuni tra gli atleti stanno alimentando ormai da tempo una riflessione sulle ripercussioni del cambiamento climatico sugli sport invernali
La recente caduta della sciatrice italiana Sofia Goggia, che si è fratturata tibia e malleolo tibiale della gamba destra durante un allenamento a Ponte di Legno, in provincia di Brescia, è stata citata da diversi commentatori come un esempio di infortuni sempre più frequenti tra sciatrici e sciatori professionisti. Parte della responsabilità delle cadute è attribuita dagli stessi commentatori a cause eterogenee, ma che nella maggior parte dei casi hanno a che fare con gli effetti diretti e indiretti del cambiamento climatico: effetti che sono già da anni oggetto di un esteso dibattito sul futuro degli sport invernali.
Nelle settimane e nei mesi prima dell’infortunio di Goggia si erano fatti male diversi altri atleti e atlete di alto livello, tra cui lo sciatore norvegese Aleksander Aamodt Kilde, vincitore della Coppa del Mondo di sci alpino nel 2020, di supergigante nel 2022 e di discesa libera nel 2022 e nel 2023. A gennaio Kilde era caduto durante la discesa libera di Coppa del Mondo a Wengen, in Svizzera, e si era procurato una lussazione a una spalla e un taglio profondo al polpaccio della gamba destra, da cui aveva perso molto sangue. Nella precedente gara di supergigante a Wengen era caduto il francese Alexis Pinturault, rompendosi il legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro.
Gli infortuni avevano generato diverse polemiche, legate alla decisione della Federazione internazionale sci e snowboard (FIS) di far disputare nello stesso weekend a Wengen – uno degli appuntamenti più impegnativi della Coppa del Mondo – una gara precedentemente saltata a Beaver Creek, in Colorado, a causa di una bufera. «Aleksander [Kilde] è l’atleta più forte di tutti, ed è caduto poco prima del traguardo. Tre giorni di fila sul tracciato più lungo e complicato del circuito è troppo», aveva detto lo sciatore francese Cyprien Sarrazin, arrivato secondo nella gara di discesa libera.
A fine gennaio anche la statunitense Mikaela Shiffrin, la più vincente sciatrice nella storia della Coppa del Mondo di sci alpino e una delle più forti di sempre, era caduta nella discesa libera di Coppa del Mondo a Cortina d’Ampezzo. Shiffrin, che ha poi dovuto saltare le altre gare, ha scritto giovedì che «il numero di infortuni, soprattutto tra i migliori atleti, quest’anno è stato sconcertante». Come altre sue colleghe e colleghi, ha attribuito gli infortuni alla stanchezza dovuta al programma di gare «troppo fitto».
Shiffrin, peraltro fidanzata di Kilde, era stata nel 2023 – insieme all’italiana Federica Brignone, lo stesso Kilde e altri atleti – tra le principali firmatarie di una lettera indirizzata alla FIS per sollecitare un maggiore impegno della Federazione nel pianificare gli interventi necessari per garantire la sostenibilità ambientale degli sport invernali. La lettera citava come ragioni delle preoccupazioni crescenti da parte degli atleti e delle atlete il frequente annullamento delle gare per mancanza di neve, la riduzione delle possibilità di allenamento prima delle gare, dal momento che «i ghiacciai si stanno ritirando a una velocità spaventosa», e l’impossibilità di produrre neve artificiale a causa dell’aumento delle temperature.
Tra le altre proposte suggerite nella lettera dai 142 atleti firmatari, membri dell’associazione Protect Our Winters (POW), c’era la richiesta di spostare l’inizio della stagione di Coppa del Mondo da fine ottobre a fine novembre e la fine da metà marzo a fine aprile. «Le stagioni sono cambiate, e nell’interesse di tutti noi dobbiamo adattarci a queste nuove circostanze», era scritto nella lettera. Gli atleti e le atlete avevano inoltre chiesto alla FIS di rendere il programma delle gare più «geograficamente ragionevole», articolandolo cioè in modo da ridurre il più possibile le emissioni ed evitare di viaggiare più volte dall’Europa al Nord America e viceversa nel corso di una stessa stagione.
In un recente articolo sull’Atlantic la scrittrice inglese ed ex pattinatrice professionista Talia Barrington ha descritto il cambiamento climatico come uno dei principali fattori che negli ultimi anni hanno reso gli sport invernali più impegnativi e pericolosi che mai. Un altro, negli Stati Uniti, è il crescente affollamento degli impianti sciistici da parte di persone – anche poco o per niente esperte – disposte ad aspettare 45 minuti per una seggiovia che, quattro anni fa, avrebbe richiesto una fila di tre minuti, ha scritto Barrington. E questo ha portato gli sciatori esperti ad allontanarsi sempre più spesso dalle aree più trafficate, in cui eventuali interventi di soccorso in caso di incidenti sarebbero più tempestivi e sicuri.
In generale, a causa del cambiamento climatico, le condizioni degli ambienti adatti a praticare gli sport invernali sono diventate meno prevedibili. Secondo il racconto largamente condiviso tra gli addetti ai lavori, ha scritto Barrington, fino a cinque anni fa più o meno in tutto l’emisfero settentrionale la stagione sciistica cominciava intorno alla seconda metà di novembre. Qualche tempesta iniziale in quel periodo provocava un accumulo graduale di ghiaccio e manto nevoso man mano che le temperature scendevano. E anche nei giorni in cui il tempo non permetteva di sciare si era relativamente sicuri che quel tipo di superficie di neve e ghiaccio sarebbe rimasta a disposizione nei giorni successivi.
«Adesso tutti quelli con cui parlo, dall’Islanda alle zone alpine della California, dicono che le prime tempeste non arrivano prima di gennaio», ha scritto Barrington. Inoltre non è più possibile fare previsioni con il grado di certezza di una volta: bufere di neve da record si alternano a insolite piogge invernali che sciolgono la neve. È una condizione oggi più frequente che in passato, perché quando le temperature medie invernali aumentano, la pioggia cade in montagna ad altezze in cui normalmente cade la neve, ha detto a Wired l’idrometeorologo Ty Brandt (l’idrometeorologia è la branca della meteorologia che studia i cicli idrologici come le precipitazioni, l’evaporazione e le interazioni tra l’acqua sotterranea e quella di superficie).
I casi di «pioggia sulla neve» si verificano più spesso all’inizio dell’inverno e all’inizio della primavera, ha aggiunto Brandt, spiegando come questo fenomeno incrementi tra le altre cose il rischio di valanghe. In alcune condizioni la pioggia penetra infatti attraverso gli strati superiori del manto nevoso e può ghiacciare e provocare valanghe, anche se non è facile stabilire quando e come questo accada. In Colorado un totale di 5.813 valanghe ha travolto 122 persone e ne ha uccise 11: il secondo più alto numero di morti per valanghe dal 1951, l’anno in cui cominciarono a essere registrate nello stato.
Gli inverni stanno diventando più brevi, più secchi e più caldi, ha detto a Wired l’alpinista, climatologo ed ex meteorologo Dale Atkins, uno degli esperti più anziani della squadra di soccorso alpino del Colorado. Ma allo stesso tempo le tempeste e gli altri eventi estremi sono diventati molto più frequenti e geograficamente estesi: una condizione che, oltre che stravolgere i piani di sciatori e sciatrici, complica parecchio l’esecuzione dei salvataggi. Non è strano che una singola tempesta di neve provochi un accumulo di un metro o più, ha detto Atkins, ma è decisamente atipico – sebbene sempre più frequente – che «le tempeste interessino intere catene montuose o vaste aree dello stato».
Sebbene non sia difficile prevedere le tempeste, sta diventando sempre più difficile prevederne gli effetti sul territorio in cui si verificano. «Una previsione che potrebbe essere giusta per una catena montuosa può essere sbagliata per una specifica vetta montuosa o una valle», ha detto Atkins. Queste tempeste fanno sì che non siano soltanto sciatori e alpinisti ad avere bisogno di aiuto, ma spesso intere comunità isolate a causa della neve o delle inondazioni. «Il problema del cambiamento climatico è che stiamo andando verso un periodo in cui il passato non rifletterà necessariamente il presente né il futuro», ha detto Brandt.
L’imprevedibilità degli eventi interessa anche gli allenamenti degli atleti e le gare, e possono in alcuni casi condizionare pesantemente anche i risultati. Piero Valesio ha scritto sul quotidiano Domani che nella stagione in corso si è passato nel giro di poche settimane da «condizioni di neve classicamente invernali come a dicembre a condizioni umide come quelle di Schladming, dove si va in pista di notte, fino alle condizioni para-estive di inizio febbraio, viste nel gigante femminile di San Vigilio di Marebbe e nello slalom maschile di Chamonix».
Proprio nello slalom maschile a Chamonix, dove la temperatura a un certo punto superava i dieci gradi, lo svizzero Daniel Yule – ultimo nella prima manche – è riuscito a stabilire un record vincendo dopo essere partito per primo nella seconda manche. Ha trovato la pista in condizioni migliori rispetto a tutti gli sciatori scesi dopo di lui, che hanno fatto molta fatica anche solo a cercare di non cadere.