Cos’è un imprint
La parola indica una via di mezzo tra una casa editrice e una collana ed è stata scelta da E/O per descrivere il suo nuovo progetto: Ne/oN
Alcune case editrici italiane hanno cominciato a usare una parola inglese che fa parte del vocabolario dell’editoria anglosassone ma non ha un preciso corrispettivo italiano: “imprint”. A luglio Feltrinelli ha annunciato la nascita di un imprint, Gramma, e lo stesso ha fatto due settimane fa Edizioni E/O, che pubblica i romanzi di Elena Ferrante tra gli altri, con Ne/oN. In breve, si tratta di nuovi marchi editoriali con cui nuovi libri saranno proposti ai lettori.
«Gli imprint non sono collane di libri e non sono case editrici, ma una via di mezzo tra queste due cose», spiega in breve Eva Ferri, una degli editori di E/O. L’introduzione del termine nelle comunicazioni con i lettori può sembrare una sottigliezza da addetti ai lavori, e in parte lo è. Però forse dice qualcosa degli esperimenti che l’editoria italiana sta facendo in questi anni, e dei cambiamenti in corso in un settore industriale da sempre peculiare per il valore culturale di gran parte dei suoi prodotti.
Un imprint è un marchio editoriale, e in quanto tale ha un logo riportato sulle copertine dei libri a cui è legato. Però diversamente dai marchi delle case editrici, agli imprint non corrisponde una società, con dipendenti propri: le persone che lavorano ai libri di un imprint sono dipendenti e collaboratori della casa editrice che possiede il marchio. È questo il caso di Marco Rana e Chiara Reali, le persone che avranno la direzione editoriale di Ne/oN e dunque sceglieranno i libri che saranno pubblicati con questo marchio: entrambi lavorano per E/O.
In questo senso il concetto di imprint è più vicino a quello di “collana editoriale”, i raggruppamenti in cui gli editori (non in tutti i paesi, ma in Italia generalmente sì) dividono i propri libri sulla base di caratteristiche comuni più o meno definite. I libri di una stessa collana hanno copertine graficamente simili e generalmente appartengono allo stesso genere di pubblicazione: ad esempio “Il Giallo Mondadori” è la nota collana di romanzi che raccontano storie di indagini della grande casa editrice; “Animalia” è la collana di Adelphi che raccoglie saggi sul comportamento e la mente degli animali non umani.
I libri di Ne/oN saranno principalmente romanzi stranieri di generi legati al fantastico. In precedenza Rana e Reali lavoravano per Mondadori e si occupavano delle collane Oscar Fantastica, Oscar Draghi, e Oscar Ink, dedicate proprio a questo genere di narrativa e ai fumetti. Rana e Reali si sono distinti tra gli addetti ai lavori dell’editoria per come hanno usato i social network per coinvolgere le lettrici delle collane su cui lavoravano («all’83 per cento donne», spiega Reali) in una comunità online, chiamata “Oscar Vault”.
Se si parla di imprint però la distanza dal resto dei libri pubblicati dallo stesso editore è maggiore, almeno nelle intenzioni di chi usa questa parola, per varie ragioni e principalmente perché presuppone che chi gestisce l’imprint abbia una certa indipendenza nella scelta dei libri da far uscire.
È così per Ne/oN – che si legge “Neon” e i cui libri inizieranno a uscire da settembre. Ferri spiega: «L’imprint ha un rapporto molto forte con la casa madre, però allo stesso tempo ha un’indipendenza di gestione e di linea editoriale maggiore di quella di una collana. Con Ne/oN volevamo offrire a Marco e Chiara, oltre al riconoscimento della loro competenza e del lavoro che sanno fare, proprio l’indipendenza. In una casa editrice più piccola come la nostra hai meno persone, meno risorse, meno soldi, però sei più libero». Nella pratica Rana e Reali lavoreranno insieme alla redazione di E/O, all’ufficio stampa e all’ufficio commerciale della casa editrice, ma saranno autonomi nel coinvolgimento di collaboratrici e collaboratori per le traduzioni e la correzione di bozze dei libri.
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Nell’editoria anglosassone esistono tantissimi imprint, per varie ragioni. Intanto le collane editoriali si usano molto meno. In secondo luogo gran parte del mercato editoriale è fatta di gruppi industriali di grosse dimensioni che si sono costituiti nei decenni acquisendo case editrici più piccole. Oggi molti marchi che un tempo erano case editrici sono ridotti al rango di imprint, che spesso vengono mantenuti per distinguere tra loro libri che, dal punto di vista del marketing, si rivolgono a tipologie di lettori (in questo caso intesi come “consumatori”) demograficamente diverse.
In alcuni casi è successo anche in Italia: nel 1982 ad esempio la casa editrice Sperling & Kupfer comprò il marchio Frassinelli, che dal 1931 al 1965 era stata una piccola casa editrice di narrativa letteraria (la prima a pubblicare un libro di Franz Kafka in italiano), e lo rese di fatto un imprint. Tale è tuttora definito il marchio sul sito del gruppo Mondadori, che dal 1995 possiede Sperling & Kupfer e anche il brand Frassinelli.
Sempre nell’editoria anglosassone succede che nascano imprint completamente nuovi per ragioni di opportunità. Ad esempio dato che le regole del Booker Prize, il più rilevante premio letterario per la narrativa di lingua inglese, consentono la partecipazione a un massimo di tre libri per imprint, è successo che ne siano stati creati di nuovi per sottoporre alla giuria del premio più libri. Inoltre se all’interno di un grande gruppo editoriale si decide di promuovere una persona dandole un incarico di responsabilità editoriale, cioè sulla scelta dei libri, ma non ci sono posizioni aperte, si apre un imprint che possa dirigere.
Quest’ultima dinamica si avvicina a quanto successo con i recenti casi italiani di Gramma e Ne/oN, che sono entrambi legati all’arrivo delle persone che li dirigeranno in una nuova azienda. Come Rana e Reali sono arrivati a lavorare da E/O proprio per la creazione dell’imprint che cureranno, così di Gramma si occuperanno Giuseppe Russo, fino all’estate scorsa direttore editoriale di un altro editore, Neri Pozza, e i due editor che lo hanno seguito in Feltrinelli, Roberto Cotroneo e Marcella Marini. Con loro si è spostata da Neri Pozza anche Daniela Pagani, responsabile della comunicazione.
Qualcosa di molto simile era già successo nell’editoria italiana quasi 30 anni fa, quando Vittorio Bo, direttore editoriale di Einaudi, accettò la proposta di Severino Cesari e Paolo Repetti, all’epoca professionisti dell’editoria più o meno quarantenni che in quel periodo stavano cercando un nuovo lavoro, di creare all’interno della prestigiosa casa editrice una nuova collana. Quella collana è “Einaudi Stile libero”, in cui cominciarono a essere pubblicati libri che idealmente si rivolgevano a un pubblico più giovane e che svecchiassero il marchio Einaudi, sempre molto stimato ma meno conosciuto dalle nuove generazioni.
Anche se nel tempo i confini tra i tipi di libri di Stile libero e del resto di Einaudi (peraltro da sempre soggetti a interpretazioni) si sono sfumati, tuttora gli editor della collana mantengono una loro indipendenza e a differenza di quelli della “vecchia” Einaudi lavorano a Roma e non a Torino. Per questo, anche se Stile libero è sempre stata ufficialmente definita “collana”, tra gli addetti ai lavori è considerata un “imprint”.
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Al di là della sua introduzione tra i lettori italiani, l’uso di questa parola è utile nei contesti dell’editoria internazionale, spiega Ferri, perché gran parte delle contrattazioni per acquistare i diritti di pubblicazione dei libri stranieri avviene in inglese e parlare di “imprint” serve a spiegare meglio cos’è un marchio come Ne/oN.
Rana aggiunge che grazie alla costruzione del progetto di Ne/oN e alla reputazione di E/O come editore stimato, oltre che alla sua esperienza personale, ha potuto comprare dei diritti di pubblicazione per «libri per i quali eravamo quelli che avevano offerto di meno, e nonostante il progetto non esistesse ancora». E aggiunge: «Probabilmente non sarebbe stato possibile se non avessimo potuto contestualizzarlo in questo modo anche con la parola “imprint”, di immediata comprensione». Rana ritiene che uno dei punti di forza di Stile libero sia sempre stata l’associazione tra l’autorevolezza del marchio di Einaudi («che fa aprire porte altrimenti complicate anche solo da avvicinare») e la possibilità di pubblicare libri molto distanti da quelli che la casa editrice torinese aveva sempre fatto, molto più pop, e che «avrebbero potuto danneggiare l’immagine, il posizionamento del marchio madre».
Con Ne/oN spera di fare qualcosa di simile: «Essendo dentro E/O, che è un marchio con un posizionamento molto “alto”, letterario, noi potremo permetterci delle intemperanze editoriali, ma senza mandare in malora il lavoro di 40 anni di costruzione di una reputazione, in quanto imprint».
Nell’editoria anglosassone c’è infine un’ulteriore ragione per cui un editore può aprire un nuovo imprint: quando propone a una persona celebre di selezionare una serie di libri da pubblicare e poi li vuole vendere proprio in quanto libri «scelti da» quella persona. Esistono ad esempio un imprint di Oprah Winfrey, celebre conduttrice televisiva statunitense, e uno dell’attrice Sarah Jessica Parker, entrambe organizzatrici di popolari club del libro, ma anche Tuskar Rock, un imprint curato dallo scrittore irlandese Colm Tóibín, che con la sua autorevolezza di letterato propone ai lettori romanzi raffinati.
In modo analogo, sempre provando a puntare sulla reputazione e sul seguito di una persona per vendere libri, Rizzoli ha da poco annunciato una nuova collana curata da Megi Bulla, che con il suo profilo “La biblioteca di Daphne” è tra le più note booktoker italiane.
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