Il governo ha infine deciso di non far pagare l’IRPEF agli agricoltori, ma con alcuni limiti
L'esenzione sarà valida solo per i redditi agricoli inferiori a 10mila euro, un compromesso del governo per tentare – con scarso successo – di tenere buona la Lega
Il governo ha deciso di presentare un emendamento al decreto-legge “Milleproroghe” per reintrodurre una parziale esenzione dell’IRPEF per gli agricoltori. È una decisione che arriva a seguito della loro protesta che va avanti da oltre due settimane in varie parti d’Italia e d’Europa, e al termine di un’intensa polemica politica anche all’interno della coalizione di destra, soprattutto tra la Lega e Fratelli d’Italia. Per andare incontro agli agricoltori, quindi, il governo ha contraddetto una scelta che aveva preso solo poche settimane fa nella legge di bilancio, il provvedimento con cui ha stabilito come utilizzare i soldi nel 2024.
È stata la stessa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ad annunciare l’intervento del governo sul “Milleproroghe”, che è il provvedimento con cui il governo prolunga la validità di varie norme prossime alla scadenza ed è attualmente in discussione alla Camera. L’esenzione dell’IRPEF sarà comunque solo per il 2024 e solo per i redditi fondiari inferiori ai 10mila euro.
L’esenzione dell’IRPEF agricola, cioè una particolare applicazione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, era stata introdotta dal governo di Matteo Renzi nel dicembre del 2016, quando il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina volle assecondare le richieste del settore che già all’epoca si lamentava delle sue difficoltà economiche. Con la legge di bilancio per il 2017 il governo decise che nei tre anni successivi, fino al 2019, sarebbe rimasta in vigore un’esenzione dell’IRPEF sui redditi dominicali (cioè quelli che derivano dal possesso di un terreno) e sui redditi agricoli (quelli relativi all’utilizzo di quei terreni, cioè alla possibilità di coltivarli e renderli produttivi). Dal 2020 in poi, questa esenzione era stata prorogata di anno in anno fino all’autunno scorso, quando il governo di Meloni aveva deciso di eliminare questa esenzione con l’ultima legge di bilancio.
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La ragione di questa scelta l’ha spiegata Meloni stessa il 24 gennaio scorso intervenendo alla Camera, quando ha detto che «i principali beneficiari» di questa esenzione «in questi anni sono state le imprese con grande estensione di terreno e redditi elevati, mentre le piccole imprese con terreni di estensione ridotta e reddito basso non ne hanno quasi mai beneficiato». Perciò, secondo Meloni, «la misura, in pratica, rischiava di diventare un privilegio, piuttosto che un aiuto diffuso, ragione per la quale abbiamo preferito destinare quelle risorse a interventi di sostegno dei produttori che, a nostro avviso, erano più utili». Tutto ciò lo ha detto rispondendo a un’interrogazione della deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi, che ha criticato molto la scelta del governo.
Prima dell’intervento di Boschi si era già discusso dell’esenzione dell’IRPEF, ma in maniera meno animata.
Nel commento ufficiale alla legge di bilancio inviato al Senato il 9 novembre 2023, Coldiretti, che è l’influente associazione di categoria degli agricoltori e molto in sintonia con l’attuale governo, si era limitata a segnalare come in assenza del rinnovo dell’esenzione sull’IRPEF agricola «gli imprenditori subirebbero un incremento della pressione fiscale». Il 22 novembre il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, dopo una visita da Meloni a Palazzo Chigi, espresse un giudizio positivo sull’approccio del governo, e spiegò che le esenzioni fiscali che pure «sarebbero state importanti» per il settore, erano però «rimaste fuori dalla manovra per la mancanza di risorse adeguate». Nulla comunque che pregiudicasse l’apprezzamento complessivo sulla legge di bilancio, già manifestato da Prandini in un’intervista al Giornale in cui non si faceva alcuna menzione dell’esenzione dell’IRPEF.
Lo stesso ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, investito in parte dalle contestazioni degli agricoltori di questi giorni, ridimensiona la questione. «Nessuno, neppure i trattori, ne fa una questione di vita o di morte. Le priorità indicate in ogni piattaforma sono altre. Ma siccome tutte le altre o sono già state affrontate dal governo o sono di pertinenza europea, ci si concentra sull’unica questione che ci riguarda», dice Lollobrigida. «Affronteremo anche questa».
Più che Coldiretti o gli agricoltori, in effetti, è stata la Lega di Matteo Salvini in questi giorni a concentrarsi sull’esenzione dell’IRPEF. Alcuni suoi importanti dirigenti come Gian Marco Centinaio e Andrea Crippa hanno biasimato la scelta del governo – di cui la Lega fa parte – di non prorogare l’esenzione, attribuendola più o meno esplicitamente a Lollobrigida.
In realtà Lollobrigida nella legge di bilancio ha ottenuto che venissero approvate varie misure a favore del settore agricolo e del suo ministero, al quale per il 2024 sono state autorizzate maggiori spese rispetto al 2023 per 25,7 milioni di euro, per un totale di quasi 2,6 miliardi. Tra queste non c’era l’esenzione dell’IRPEF, e lui non rinnega la scelta: «Il principio è che sia meglio aiutare chi ne ha bisogno che dare poco a tutti. Dare aiuti a chi non ne ha bisogno potrebbe risultare un privilegio più che un sostegno». Lollobrigida ne fa dunque una questione di equità: «Molti di quelli che hanno goduto dell’esenzione dell’IRPEF agricola hanno redditi decisamente superiori alla media degli italiani che l’IRPEF la pagano. Non ha senso».
Tuttavia ormai la questione è diventata politica, e più che la sensatezza del provvedimento conta la voglia dei partiti di intestarsi questa misura per compiacere gli agricoltori che protestano. Per questo Riccardo Molinari, il capogruppo della Lega alla Camera dov’è in discussione il decreto “Milleproroghe”, giovedì ha presentato un emendamento non concordato con Fratelli d’Italia per prorogare l’esenzione dell’IRPEF per il 2024. A quel punto i dirigenti di Fratelli d’Italia si sono risentiti e il capogruppo alla Camera Tommaso Foti ha ricordato polemicamente che il principale responsabile della legge di bilancio era stato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: un leghista.
Giorgetti era in effetti contrario al rinnovo dell’esenzione per ragioni finanziarie, anche se non lo ha detto pubblicamente. Nella sua versione totale, l’esenzione vale 248 milioni per il 2024. Nella versione concordata ora dal governo per i soli redditi inferiori a 10mila euro all’anno costerebbe 152 milioni: Lollobrigida ha detto all’Ansa che potrà usufruirne il 90 per cento delle imprese agricole, ma le stime riferite al Post dal ministero dell’Economia sono più basse, e parlano di poco più della metà degli agricoltori che potranno accedere all’esenzione. Questa è la soluzione di compromesso accettata da Meloni, più sostenibile sul piano finanziario ma che dà comunque agli agricoltori in protesta un segnale. Non a caso ha annunciato questa misura nel primo pomeriggio di venerdì, durante un incontro a Palazzo Chigi coi rappresentanti delle associazioni di categoria del settore a cui ha partecipato in videocollegamento anche il ministro dei Trasporti, Salvini.
Non è comunque detto che il compromesso sia sufficiente. Salvini, che nella mattinata di venerdì ha riunito alcuni dirigenti del suo partito proprio per discutere di questo argomento, ha poi diffuso un comunicato in cui definisce l’emendamento che prevede l’esenzione parziale «sicuramente un segnale significativo che va nella giusta direzione», aggiungendo però che «occorre intervenire in modo più efficace», che «serve uno sforzo maggiore» e che «la Lega farà di tutto perché agli agricoltori arrivino risposte positive in tal senso». A proposito del comunicato, il ministro Lollobrigida, in maniera ironica, dice che «non poniamo limiti alla provvidenza».
Gli emendamenti al “Milleproroghe” verranno votati martedì dalle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera, e ci sarà spazio in quell’occasione per ulteriori modifiche. Secondo il calendario annunciato ai partiti dal ministro per i Rapporti col parlamento Luca Ciriani, il provvedimento dovrà comunque essere votato entro lunedì 19 alla Camera, per poi essere inviato al Senato, che dovrà approvarlo entro la fine di febbraio.