Chi fa la cacca sull’Everest dovrà riportarsela indietro
Lo hanno deciso le autorità nepalesi, dopo che i problemi sulla montagna più alta del mondo si sono accumulati per anni
Gli scalatori che intendono raggiungere la vetta del monte Everest, la montagna più alta del mondo, dovranno riportare al campo base la cacca fatta nella parte più alta della montagna. Lo ha deciso recentemente la municipalità rurale di Khumbu Pasanglhamu, che comprende buona parte del lato nepalese del monte Everest.
Sull’Everest, data l’elevata altitudine e le basse temperature, la cacca non si decompone completamente: da anni il numero crescente di persone che scala la montagna, che pur richiedendo mezzi e grande preparazione è più accessibile di altre vette famose, ha causato un problema crescente di escrementi e di spazzatura.
La municipalità di Khumbu Pasanglhamu ha stabilito che ogni persona che vuole scalare la montagna dovrà acquistare alcuni sacchetti speciali al campo base, la base di partenza delle vie che portano alla cima dal lato nepalese (l’Everest è diviso dal confine fra il Nepal e la Cina). Mingma Sherpa, il sindaco, ha detto a BBC News che i sacchetti saranno «controllati al loro ritorno». Mingma ha detto di aver ricevuto lamentele secondo cui scalando la montagna era possibile vedere gli escrementi, e che alcuni scalatori sono stati male. Secondo Mingma la cosa è inaccettabile e «danneggia la nostra immagine».
Il problema è in realtà noto da tempo, ma finora i tentativi di rimediarvi non hanno prodotto grandi successi. Ogni anno sono organizzate diverse spedizioni appositamente per raccogliere parte della spazzatura lasciata sulla montagna dagli alpinisti, principalmente lattine, tende di plastica strappate e bombole di ossigeno vuote (usate da molti scalatori, perché in alta quota ogni boccata d’aria contiene meno ossigeno, e quindi ci si affatica più facilmente). Ma è la cacca a creare i problemi maggiori.
Al campo base, un insieme di strutture semi permanenti relativamente attrezzato e frequentato, a 5.300 metri di altitudine, esistono delle latrine apposite, che vengono svuotate regolarmente. Tra marzo e maggio, nel periodo più propizio per l’ascesa, il campo viene utilizzato da circa 1.500 persone. Le cose si fanno più problematiche nel corso dell’ascesa dei successivi 3.500 metri, necessari per raggiungere gli 8.848 metri della vetta: nei quattro campi avanzati prima della cima non esistono strutture adeguate, e gli scalatori devono fare i propri bisogni all’aperto per più di un mese, il tempo che solitamente occorre a raggiungere la cima e scendere.
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Questo avviene scavando una buca nella neve e nel ghiaccio. I problemi insorgono quando i buchi si riempiono, oppure quando la neve si fa più rada alle quote più alte, o si scioglie, portando la cacca verso valle, dove capita anche che sia origine di malattie per le persone che attingono acqua dai fiumi.
Il problema è aggravato dal numero crescente di persone che cercano di scalare l’Everest. Nel 2023 sono stati concessi 478 permessi a scalatori stranieri. Se a questi si aggiungono gli sherpa e i portatori nepalesi, il numero di persone che hanno cercato di raggiungere la cima è circa 1.200. Di questi solo la metà è arrivata effettivamente in cima.
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Chhiring Sherpa, CEO dell’organizzazione non governativa Sagarmatha Pollution Control Committee (SPCC), che si occupa del trattamento dei rifiuti sulle montagne della zona, dice che sull’Everest ci sono tre tonnellate di escrementi umani. I problemi più grossi sono sul Colle Sud, l’ultimo campo prima della vetta, dove Chhiring ritiene si trovi metà della cacca. Stephan Keck, una guida sentita da BBC News, ha detto che il Colle Sud (7.906 metri) ha la fama di essere «un gabinetto a cielo aperto», anche perché i forti venti fanno sì che ci sia poca neve sotto cui seppellire la cacca.
L’SPCC è stata autorizzata dalla municipalità di Khumbu Pasanglhamu a procurarsi 8mila sacchetti speciali per la cacca negli Stati Uniti, che saranno distribuiti ai circa 1.200 scalatori che ci si aspettano quest’anno, a partire da marzo. I sacchetti contengono sostanze chimiche che solidificano gli escrementi e li rendono quasi inodori. Chhiring ha detto che a ogni scalatore saranno dati due sacchetti.
Mingma Sherpa, che peraltro è la prima persona nepalese ad aver scalato tutte le 14 montagne più alte di 8mila metri, ha detto che un sistema simile è già stato sperimentato su altre montagne, fra cui il Denali, la montagna più alta del Nord America. Dal 2007 sul Denali è obbligatorio defecare in appositi contenitori che contengono sacchetti biodegradabili, che però solitamente sono buttati nei crepacci attorno ai campi. Da lì vengono sotterrati dalle nevicate e dall’avanzare dei ghiacciai, ma fra qualche anno riemergeranno più avanti, a causa dello spostamento naturale del ghiacciaio.
Sull’Everest invece i sacchetti con la cacca andranno riportati al campo base, e lì saranno controllati, per assicurarsi che contengano la quantità prevista di escrementi e che lo scalatore non abbia defecato all’aperto, e poi smaltiti. Da diversi anni vengono fatti controlli sugli altri tipi di spazzatura: gli scalatori devono versare una cauzione di circa 3.500 euro, che non viene restituita se non riportano al campo base almeno 8 chili di rifiuti, organici o meno.
Dal 2010 esiste un progetto per creare un impianto che produca biogas a partire dagli escrementi umani raccolti dal campo base. Il progetto non è ancora stato completato, e attualmente gli escrementi vengono gettati in una fossa a Gorak Shep, poco sotto al campo base.
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Anche in seguito a forti pressioni internazionali, negli ultimi anni il governo del Nepal ha reso più severi alcuni controlli, lavorando per rendere più sostenibile dal punto di vista ambientale l’ascesa verso l’Everest. Per il paese l’area dell’Himalaya è un’importante risorsa turistica e anche per questo l’introduzione di nuove limitazioni viene decisa con grandi cautele per non danneggiare il settore.
L’Everest fu scalato per la prima volta nel 1953 dallo scalatore neozelandese Edmund Hillary e dallo sherpa nepalese Tenzing Norgay. Da allora l’impresa è stata compiuta da circa 4.000 persone, alcune con l’aiuto di bombole per l’ossigeno, guide sherpa e aiutanti che trasportavano l’attrezzatura. Nello stesso periodo di tempo circa 330 persone sono morte nel tentativo: i corpi di circa 220 di loro sono ancora dispersi, ricoperti dal ghiaccio e dalla neve.
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