A Piacenza è arrivato l’esercito coi droni per intervenire sui casi di peste suina africana
Servono a individuare le carcasse degli animali nei boschi: il virus si sta diffondendo in Emilia-Romagna, ma per ora non risultano casi di contagio negli allevamenti
Da qualche giorno dieci militari dell’Esercito stanno lavorando in provincia di Piacenza con due droni per monitorare l’epidemia in corso di peste suina africana e individuare le carcasse degli animali nei boschi. Per ora, in Emilia-Romagna, il virus ha colpito solo la fauna selvatica, ma negli allevamenti sono state rinforzate le misure di sicurezza per evitarne la diffusione.
La peste suina africana è una malattia letale principalmente per suini e cinghiali e per la quale non esistono vaccini né cure. Non è contagiosa per le persone, ma gli esseri umani possono essere un veicolo di trasmissione del virus poiché il contagio può avvenire per contatto con qualsiasi oggetto contaminato, abbigliamento compreso. La malattia è causata dal virus indicato con la sigla ASFV, un patogeno particolarmente resistente. Sopravvive in ambienti esterni fino a 100 giorni, resiste per diversi mesi all’interno di salumi o nella carne congelata e negli animali guariti dalla malattia. Il modo più comune per fermare la diffusione del virus è abbattere gli animali contagiati o considerati a rischio di contagio.
In tempi recenti, il primo caso di peste suina africana è stato individuato in Italia il 7 gennaio del 2022, quando in provincia di Alessandria, in Piemonte, il corpo di un cinghiale era risultato positivo all’infezione. A maggio del 2022 erano emersi casi anche nel Lazio, in provincia di Roma, poi in Calabria e in Campania. In Lombardia il primo caso era stato rilevato il 21 giugno del 2023 a Bagnaria, in provincia di Pavia, mentre il primo caso in un allevamento era stato segnalato il 18 agosto nel comune di Montebello della Battaglia, nell’Oltrepò pavese. Per limitare il contagio erano stati abbattuti quasi 34mila suini negli allevamenti della zona, anche in via preventiva.
– Leggi anche: L’epidemia di peste suina africana in provincia di Pavia
Dallo scorso novembre il virus si è diffuso in Emilia-Romagna e, in particolare, in provincia di Piacenza. La prima carcassa di cinghiale risultata positiva era stata trovata il 7 novembre nel comune di Ottone, sul confine con la Liguria. Dopodiché erano stati accertati casi anche in altre zone vicine.
Alcuni comuni come quelli di Farini, Coli, Bobbio e Alta Val Tidone sono stati inseriti in “zona di restrizione 2”, cioè in una zona infetta solo per quanto riguarda il cinghiale. Altri comuni sono invece entrati in “zona 1”, cioè in una zona non infetta al confine tra la 2 e la 3, che è una zona in cui la peste suina africana ha colpito i suini anche negli allevamenti. Per il momento, in provincia di Piacenza, non sono risultati casi di suini infetti negli allevamenti.
Le direttive europee per il controllo della diffusione della peste suina africana prevedono che nei territori con un alto numero di contagi siano attivate misure restrittive speciali, che vietino o limitino attività considerate rischiose come lo spostamento degli animali o la caccia che infatti è stata fermata nelle zone del piacentino coinvolte. Per contenere i cinghiali in provincia di Piacenza sono stati posizionati anche alcuni sistemi di cattura.
Negli allevamenti che si trovano nelle zone 1 e 2 sono state inoltre imposte ulteriori norme di sicurezza come l’obbligo di cambio di abbigliamento e calzature quando si entra o si lascia l’allevamento, come ha spiegato al Corriere della Sera Marco Maserati, direttore del dipartimento di sanità pubblica e responsabile del servizio veterinario dell’AUSL (l’azienda sanitaria locale) di Piacenza.
La preoccupazione maggiore è di dover interrompere le attività degli allevamenti di suini e delle aziende di lavorazione delle carni. Anche se i focolai sono circoscritti ad alcune province o regioni, paesi come la Cina, il Giappone, il Canada e gli Stati Uniti hanno infatti bloccato o limitato le importazioni di carne dall’Italia.