Non ci sono più gli impeachment di una volta
Nati negli Stati Uniti come procedimento eccezionale e di garanzia istituzionale, sono diventati un banale strumento di lotta politica
Martedì sera la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha respinto la richiesta di mettere sotto impeachment il segretario per la Sicurezza nazionale Alejandro Mayorkas. Mayorkas fa parte del gabinetto governativo del presidente Joe Biden e ha fra le sue competenze la gestione delle politiche relative ai confini e all’immigrazione. La richiesta veniva dalla maggioranza Repubblicana alla Camera ed è particolarmente inusuale: finora l’unico ministro del governo statunitense finito sotto impeachment è stato il segretario alla Guerra William Belknap, nel 1876, quasi 150 anni fa.
Secondo molti costituzionalisti, il procedimento di impeachment nei confronti di Mayorkas era anche scarsamente motivato da un punto di vista legale, ed era invece più che altro politico. La richiesta è stata respinta, con i voti contrari anche di tre deputati Repubblicani, motivati dalla volontà di non «stabilire un pericoloso precedente». Il procedimento contro Mayorkas – ma anche quelli minacciati o proposti contro il presidente Biden e altri membri della sua amministrazione – mostrano una trasformazione in corso della misura dell’impeachment, un tempo soluzione estrema e dalle gravi ripercussioni (qualunque fosse l’esito del voto), ora diventato una delle molte armi politiche in una contrapposizione fra i partiti sempre più dura.
I cosiddetti “padri fondatori” inserirono l’impeachment nella Costituzione statunitense come strumento per prevenire dispotismo e abusi di potere da parte degli amministratori, in primo luogo il presidente. Inizialmente era previsto che potessero essere rimossi dai loro incarichi con un voto a maggioranza alla Camera e di due terzi al Senato per due sole ragioni: «tradimento e corruzione». Fu poi ipotizzato di aggiungere anche la «cattiva amministrazione», ma i fondatori valutarono che la cosa avrebbe condizionato eccessivamente l’azione del presidente al volere del Senato. Si decise quindi per una formula più vaga, «per altri gravi crimini e misfatti». Lasciava aperte però interpretazioni più o meno ampie, tanto che fu necessario specificare subito che i crimini dovevano essere relativi all’esercizio delle proprie funzioni e compromettere il funzionamento del sistema politico o l’interesse pubblico.
Era considerata un’opzione estrema e molto rara e lo è stata per quasi tutta la storia statunitense: i funzionari di governo sottoposti a procedimento di impeachment sono stati in totale 21, e solo otto, tutti giudici, sono stati condannati. Per quel che riguarda i presidenti la misura fu usata per la prima volta nel 1868, contro Andrew Johnson, accusato di aver violato una legge che regolava i limiti del suo potere di veto, rimuovendo l’allora ministro della Guerra. Si salvò per un voto al Senato, e poi passarono 130 anni prima di un nuovo procedimento.
Nel 1998 il Democratico Bill Clinton fu messo sotto accusa per il celebre “caso Monica Lewinsky”, la stagista della Casa Bianca con cui ebbe una prolungata relazione sessuale. Clinton fu accusato di aver mentito sotto giuramento e di ostruzione alla Giustizia: per mesi il procedimento di impeachment occupò tutte le attenzioni politiche e dei media, negli Stati Uniti e non solo. Clinton fu infine assolto, ma anche solo essere finito sotto impeachment fu considerato da molti un fatto che avrebbe segnato per sempre la sua presidenza. E secondo altri analisti quel procedimento fu comunque decisivo per la sconfitta del Democratico Al Gore alle elezioni successive nel 2000.
Il procedimento di impeachment non ha avuto lo stesso rilievo in tempi più recenti, quando per due volte ne è stato oggetto Donald Trump. Il probabile prossimo candidato Repubblicano è stato messo sotto accusa su iniziativa Democratica per una prima volta nel 2020, per aver fatto pressioni su un governo straniero, quello ucraino, affinché aprisse un’indagine contro Joe Biden, e una seconda volta nel 2021, per incitamento all’insurrezione, dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. In entrambi i casi fu assolto, difeso in modo compatto dalla maggioranza Repubblicana: soprattutto nel secondo caso, l’assoluzione fu principalmente una scelta politica, che in parte contribuì a trasformare e rendere l’impeachment un normale strumento di contrapposizione fra partiti, togliendo alla misura la sua natura di giudizio estremo ed eccezionale da dare su basi principalmente etiche e legali.
Poi durante la presidenza Biden l’opposizione Repubblicana ha fatto un uso intenso delle minacce e delle richieste di impeachment, in parte come strumento di uno scontro politico sempre più duro ed estremo, in parte seguendo le indicazioni di Donald Trump, che ha espresso anche pubblicamente la volontà di «ripagare i Democratici» con le stesse misure usate contro di lui.
I Repubblicani hanno attivato procedimenti per arrivare a richieste di impeachment contro Biden, contro il segretario di Stato Antony Blinken, contro il segretario alla Difesa Lloyd Austin, contro il procuratore generale Merrick Garland e contro il direttore dell’FBI Christopher Wray. E li hanno minacciati contro il segretario ai Trasporti Pete Buttigieg e quello all’Istruzione Miguel Cardona.
In breve tempo la misura si è trasformata da uno strumento di garanzia costituzionale a uno di attacco politico, come ha detto al New York Times Jack Goldsmith, docente alla scuola di Legge di Harvard: «È diventato più un mezzo politico e di mobilitazione dell’opinione pubblica che un serio meccanismo per valutare le responsabilità del potere esecutivo».
La cosa ha anche cambiato fortemente l’impatto dell’avvio del procedimento sui media e sugli interessati: se Richard Nixon si dimise per evitare un impeachment e l’amministrazione Clinton vide condizionati gli ultimi due anni di presidenza, ora Biden e la Casa Bianca dedicano alla questione molte meno attenzioni.
Nel caso del segretario Mayorkas la richiesta è arrivata al termine di un procedimento molto rapido, con due singole audizioni alla Camera in cui nemmeno lo stesso Mayorkas è stato ascoltato. Le accuse rivolte erano piuttosto vaghe, relative a un «volontario e sistematico rifiuto di attuare le leggi vigenti» riguardo alla gestione del confine meridionale e delle politiche di immigrazione. Chiamato per un’audizione alla commissione per la Sicurezza nazionale, Mayorkas ha risposto negativamente perché già occupato in un altro impegno istituzionale e ha proposto nuove date, ma l’intervento non è stato più messo in calendario. Per questo è stato accusato di «intralciarne i lavori», benché avesse riferito al Congresso sulle sue scelte in 27 precedenti in 35 mesi.
Mike Gallagher, deputato Repubblicano del Wisconsin e uno dei tre a votare contro l’impeachment (un quarto Repubblicano lo ha fatto per ragioni “tecniche” a risultato acquisito), ha spiegato la sua decisione con la necessità di «non creare un nuovo standard verso il basso per l’impeachment, che non contempli alcun chiaro limite di principio». Ma il recente uso dello strumento potrebbe già averlo compromesso, riducendone il potere di deterrenza e rendendolo dipendente da logiche puramente politiche e di fedeltà al partito e al leader in carica.