Le elezioni in Pakistan, con l’esercito
Si terranno giovedì: negli ultimi anni sono state sempre meno libere e sempre più controllate dai militari, che di fatto guidano il paese
Giovedì 8 febbraio in Pakistan si terranno le elezioni parlamentari per scegliere i nuovi deputati dell’Assemblea Nazionale, ossia la camera bassa del Parlamento, che eleggeranno poi il nuovo primo ministro. Le elezioni sono molto attese perché arrivano dopo alcuni anni di proteste e grosse turbolenze politiche, ma non saranno particolarmente combattute.
La ragione principale è che il processo elettorale è pesantemente influenzato dall’esercito pachistano, che ha da sempre un’eccezionale importanza nella vita politica, economica e sociale del paese, e che negli ultimi mesi ha rafforzato il suo controllo sul processo politico ed elettorale. Per quasi metà della storia del Pakistan (34 anni su 76) i generali hanno governato direttamente, tramite colpi di stato militari, e in seguito l’esercito ha comunque avuto un ruolo (nella maggior parte dei casi determinante) nella scelta di tutti i primi ministri del paese.
Alle elezioni si sono iscritti 44 partiti ma i più importanti sono tre: la Lega musulmana del Pakistan (PML-N), guidata dall’ex primo ministro Nawaz Sharif, il Movimento per la Giustizia (PTI), il cui leader è l’ex primo ministro Imran Khan, al momento in carcere, e il Partito Popolare Pachistano (PPP), guidato da Bilawal Bhutto-Zardari. Il confronto tra Imran Khan, primo ministro destituito, e le forze politiche vicine all’esercito è stato al centro di tutta la campagna elettorale, e si prevede che a vincere sarà il PML-N, che era alla guida dell’ultimo governo di coalizione formatosi dopo che l’esercito aveva destituito Khan nel 2022.
Benché le elezioni siano formalmente democratiche, l’influenza dell’esercito sul voto è chiara a tutta la popolazione. L’esercito pachistano ha enormi poteri e gode di leggi speciali che di fatto consentono di imporre pene molto gravi a chiunque critichi i militari. La sua influenza risale a prima dell’indipendenza e della divisione dall’India ed è estremamente evidente: dal 1947 a oggi, nessun primo ministro ha mai completato un intero mandato da cinque anni perché spesso viene deposto, a volte anche con un colpo di stato, prima della scadenza del termine. La sua influenza è così pervasiva che spesso il Pakistan è stato definito un “regime ibrido”, in cui dietro ai governi civili ci sono quasi sempre i militari.
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L’eccezionale influenza dell’esercito è tornata a essere discussa anche dai giornali e dalla politica internazionale a causa del durissimo scontro fra l’ex primo ministro Imran Khan e i capi dell’esercito. Khan è un politico estremamente popolare e il suo partito è considerato in testa dai principali sondaggi sulle intenzioni di voto. Tuttavia, ufficialmente non è candidato poiché nel 2022 è stato destituito dalla sua carica di primo ministro e si trova da più di un anno in carcere: nelle ultime settimane è stato condannato a più di 30 anni di carcere per una serie di reati fra cui corruzione, diffusione di segreti di stato e per non aver contratto correttamente il matrimonio con la sua terza moglie, Bushra Bibi. Soprattutto è stato interdetto per cinque anni dall’attività politica attiva e gli è stato quindi impedito di candidarsi.
Secondo Khan e i suoi sostenitori, le condanne sarebbero politicamente motivate, e un tentativo del regime militare di impedirgli di partecipare alla vita politica del paese.
Secondo numerose ricostruzioni i militari manipolarono i risultati delle elezioni del 2018 per attribuire a Khan la vittoria e farlo diventare primo ministro. Nel giro di pochi anni, però, il rapporto tra Khan e il capo di stato maggiore Qamar Javed Bajwa cominciò a peggiorare e a metà del 2022 i militari tornarono a usare la loro influenza per convincere il PPP e il PML-N a votare in parlamento la sfiducia contro Khan e a destituirlo. Al suo posto fu creato un governo di coalizione guidato da questi due partiti e come primo ministro fu eletto Shehbaz Sharif, fratello di Nawaz Sharif.
In risposta, Khan cominciò una campagna durissima contro l’esercito, sfruttando l’enorme seguito popolare di cui disponeva e organizzando grandi manifestazioni in tutto il Pakistan in cui accusava l’esercito di contaminare la vita democratica del paese e in cui chiedeva nuove elezioni libere. Bisogna ricordare che Khan stesso è tutt’altro che un leader riformista e un democratico sincero: nei suoi quattro anni di governo è stato più volte accusato di tendenze autoritarie e di aver tentato di reprimere l’opposizione.
Da quando Khan è in carcere l’esercito e il governo hanno però duramente colpito il suo partito, arrestando migliaia di collaboratori, candidati e sostenitori. Da maggio a ottobre, oltre 80 esponenti del PTI hanno lasciato il partito sotto forti pressioni esterne: alcuni di loro hanno detto di essere stati torturati e rilasciati soltanto dopo aver annunciato pubblicamente di essere usciti dal partito. Secondo l’organizzazione indipendente Human Rights Commission of Pakistan almeno quattro di loro sono stati fatti sparire con la forza, mentre molti altri sono nascosti per paura di essere arrestati.
Secondo diversi osservatori internazionali, negli ultimi mesi il governo ha impedito ad alcuni politici di PTI di fare campagna elettorale, censurato la copertura giornalistica del partito e bloccato più volte l’accesso a internet per impedire la visione dei suoi comizi organizzati in streaming. È stato inoltre reso illegale il simbolo del partito, una mazza da cricket che fa riferimento alla passata carriera di Khan da giocatore di cricket. Per questo motivo, in molti collegi elettorali i candidati del PTI si presentano con simboli che la ricordano.
Benché il sostegno popolare per il PTI sia alto, non è scontato che questo si traduca in voti, a causa della pressioni esercitate dall’esercito. Ancora meno scontato è che questi voti vengano conteggiati in modo equo, anche se il ministero degli Esteri pachistano ha detto che ad assistere allo spoglio ci saranno 92 osservatori elettorali internazionali, tra cui quelli dell’Unione Europea e delle ambasciate straniere.
È quindi molto probabile che a vincere sarà il partito dell’ex primo ministro Nawaz Sharif, destituito a sua volta dall’esercito nel 2018 e che negli ultimi anni era fuggito all’estero per evitare di dover scontare diversi anni di carcere in seguito a processi molto simili a quelli che si stanno svolgendo a carico di Khan. Sharif non ha ottenuto l’ufficiale sostegno dell’esercito, ma poche settimane prima del suo ritorno in Pakistan le sue condanne e l’interdizione a vita dai pubblici uffici erano state revocate dalla Corte Suprema pachistana. Sharif gode comunque di un notevole sostegno da parte della popolazione.
I seggi vacanti sono 342: 266 verranno riempiti attraverso un sistema maggioritario per collegi uninominali, dove viene eletto il candidato che prende anche un solo voto in più degli altri, mentre i restanti sono riservati a donne e minoranze religiose e verranno riempiti secondo un sistema elettorale proporzionale.