I dubbi sull’accordo europeo sulla legge contro la violenza di genere
Dopo mesi di negoziati si è arrivati a un accordo che non include alcune delle questioni più discusse, come la definizione di stupro
Dopo mesi di negoziati, martedì la Commissione Europea ha annunciato il raggiungimento di un accordo sulla nuova direttiva per contrastare la violenza di genere tra il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione Europea.
In teoria il raggiungimento dell’accordo è una buona notizia: la direttiva è il primo strumento adottato dall’Unione per dotarsi di standard comuni nel contrasto alla violenza di genere, e finora gli stati membri non erano riusciti a mettersi d’accordo sul suo contenuto. In pratica però ci sono forti dubbi sull’accordo raggiunto, dato che non contiene indicazioni su alcune delle questioni più importanti e discusse nelle negoziazioni: soprattutto la definizione di stupro, nell’articolo 5 della direttiva.
Semplificando molto, i disaccordi riguardavano l’importanza data al principio del consenso nella definizione del reato di stupro. La direttiva proponeva di criminalizzare questo atto in quanto «rapporto sessuale non consensuale», con la stessa definizione contenuta nella Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Unione Europea. Stati come la Francia e la Germania, però, si erano opposti a questa definizione prediligendone una meno generica e più incentrata sulla presenza del dissenso o addirittura sull’elemento della coercizione e della minaccia (come previsto anche dal codice penale italiano).
Nel comunicato con cui ha annunciato il raggiungimento dell’accordo, la Commissione Europea ha detto che «non è stato trovato un accordo a livello europeo sulla criminalizzazione dello stupro in quanto basato sulla mancanza di consenso», ma che la direttiva include comunque «forti requisiti» per la promozione del ruolo centrale del consenso nelle relazioni sessuali e per l’adozione di «misure mirate» sulla prevenzione dello stupro.
Una direttiva europea è un atto giuridico dell’Unione Europea che, se approvato, impone agli stati membri di raggiungere determinati obiettivi attraverso la promulgazione o modifica di leggi nazionali: non viene però specificata la modalità con cui i singoli stati devono operare per raggiungere gli obiettivi. Per entrare in vigore, una direttiva proposta dalla Commissione deve essere approvata, dopo una serie di negoziazioni, dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea, un organo composto dai ministri degli stati membri che, insieme al Parlamento, detiene il potere legislativo dell’Unione.
Nella direttiva approvata mancano anche altri elementi contenuti nella proposta iniziale, riguardanti per esempio la definizione delle molestie sessuali subite nel mondo del lavoro, il livello di criminalizzazione della violenza informatica (ad esempio la diffusione non consensuale di contenuti sessualmente espliciti) e la necessità di fare formazione alle autorità giudiziarie sulla violenza di genere.
L’accordo, in altre parole, è stato raggiunto anche togliendo dal tavolo della discussione le questioni più discusse: per questo, benché la Commissione Europea l’abbia definito una «pietra miliare» nel contrasto alla violenza di genere, in molte hanno parlato di «fallimento» dell’Unione Europea. Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo e relatrice italiana sulla direttiva, ha parlato a Valigia Blu di «atteggiamento rinunciatario» e «disinteresse» delle istituzioni europee nei confronti di un problema che lei e moltissime altre ritengono sistemico e diffuso in tutta l’Unione, e in quanto tale bisognoso di criteri e soluzioni comuni.
La direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, il cui testo originale e comprensivo dell’articolo 5 è consultabile qui, riguarda oltre allo stupro e alla violenza informatica anche la mutilazione genitale femminile, la sterilizzazione e i matrimoni forzati.
La Commissione Europea ha detto che la direttiva su cui è stato raggiunto l’accordo prevede la criminalizzazione della violenza «fisica, psicologica, economica e sessuale contro le donne in tutta l’Unione»: una definizione piuttosto vaga di cui è ancora difficile immaginare le ricadute concrete sui singoli ordinamenti nazionali. La Commissione ha aggiunto che la direttiva prevede di trattare le mutilazioni genitali femminili e il matrimonio forzato come reati a sé stanti (cosa già prevista dal codice penale italiano, rispettivamente con l’articolo 583 bis e l’articolo 558 bis).
La Commissione ha aggiunto che la direttiva su cui è stato raggiunto l’accordo prevede poi una serie di misure per contrastare la condivisione non consensuale, online, di immagini sessualmente esplicite. Inclusi i deepfake, i video che simulano digitalmente le persone reali, il cyber-stalking, le molestie informatiche, l’espressione di odio di natura misogina e il cyber-flashing, cioè l’invio di immagini sessualmente esplicite a dispositivi di sconosciute e sconosciuti attraverso canali social, reti Bluetooth o AirDrop (il sistema di condivisione dei file tra dispositivi Apple). Queste regole varranno anche negli stati membri che non hanno ancora legiferato su questi crimini digitali, cosa che dovrebbe consentire di dare maggiori garanzie alle vittime.
La direttiva prevede inoltre di obbligare gli stati membri a istituire linee telefoniche di assistenza e centri di crisi per la violenza di genere per sostenere chi la subisce e facilitare il suo accesso alla giustizia, anche attraverso la possibilità di denunciare online. Gli stati verranno infine incoraggiati a raccogliere più dati sulla violenza di genere, e a cooperare con le istituzioni europee per contrastarla, per esempio con Eurojust, l’unità di cooperazione giudiziaria dell’Unione Europea.
I disaccordi tra i vari stati europei sulla definizione di stupro riflettevano il modo in cui questo reato è definito e conseguentemente punito nei singoli codici penali nazionali. In base all’importanza attribuita al consenso, si possono distinguere tre diversi modelli di diritto penale sessuale applicati in Europa: il modello consensuale puro, quello limitato e quello vincolato.
Il modello consensuale puro dà rilevanza massima al consenso: significa che c’è un reato quando in qualsiasi tipo di relazione sessuale manca il consenso valido della persona offesa. Questo modello viene riassunto nella frase “solo sì è sì”, in cui il consenso esiste solo quando è esplicitamente affermato e non solo inteso. Negli ultimi anni diversi paesi, come la Spagna, hanno modificato le loro leggi sulla violenza sessuale in questo senso.
Il modello consensuale limitato dà invece importanza non tanto al consenso, ma al dissenso: è cioè necessaria un’effettiva e manifesta volontà contraria (dissenso) della persona che ha subìto una violenza.
Infine il modello vincolato, che è anche il più diffuso, non attribuisce in modo esplicito al consenso un ruolo centrale, ma si basa sul fatto che le aggressioni sessuali, per essere perseguite e punite, debbano avere certe caratteristiche: violenza, minaccia, costrizione. Il problema principale di questo modello è che alcune aggressioni sessuali non sono ritenute tali dato che non si sono verificate con modalità violente o minacciose.
La legge italiana rientra in questo terzo gruppo, anche se la giurisprudenza è sempre più orientata verso il secondo, cioè tende a dare importanza alla presenza di un dissenso esplicito da parte della vittima.
L’opposizione di stati come la Francia e la Germania nell’uniformare la propria definizione di stupro al primo modello, quello consensuale puro, avevano varie ragioni.
Alcuni stati ancora legati a una definizione meno generica dello stupro, come la Francia, sostengono che definirlo un atto sessuale non consensuale finirebbe per danneggiare le persone che lo denunciano, perché la mancanza di consenso esplicito sarebbe più difficile da provare rispetto alla presenza di coercizione o minaccia. Sempre la Francia aveva detto più volte di non essere contraria alla proposta nel suo insieme, ma di temere che l’inclusione dell’articolo 5 nel testo definitivo avrebbe dato la possibilità a stati che sono contrari, come l’Ungheria, di far annullare l’intera direttiva dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, con la motivazione che l’Unione non ha giurisdizione sull’argomento.
L’obiezione più importante ha riguardato proprio la giurisdizione dell’Unione Europea. Secondo diversi stati la criminalizzazione degli atti sessuali non consensuali non rientrerebbe nelle competenze giuridiche dell’Unione: secondo questa interpretazione, se approvata nella sua forma originaria la direttiva sarebbe diventata un pericoloso precedente che avrebbe dato la possibilità all’Unione di allargare i suoi poteri legislativi oltre i limiti concordati dai trattati costituenti.
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