Prepariamoci a vedere sempre più abiti d’archivio
Soprattutto sui red carpet: le celebrità li scelgono perché hanno un loro prestigio, i marchi perché valorizzano la loro storia e c'è anche una questione ambientalista
Sempre più spesso le celebrità indossano sui red carpet e agli eventi importanti vestiti d’archivio, che non sono stati disegnati apposta e che non appartengono alla collezione in corso: insomma, non nuovi. È successo anche alla prima serata del festival di Sanremo 2024, quando Clara, la prima cantante in gara, ha indossato un abito di Armani Privé della collezione di haute couture del 2011, presentato quindi a una sfilata 13 anni fa.
Gli abiti di archivio sono conservati dalle aziende di moda che, come in questo caso, li prestano e li adattano alle esigenze di chi li indosserà, altre volte sono acquistati o noleggiati da negozi vintage o da collezionisti, oppure ancora appartengono allo stesso personaggio che magari li ha già indossati in precedenza.
Francesco Vavallo, lo stylist che ha vestito Clara, spiega che «l’archivio di Armani Privé è qualcosa di irraggiungibile, ma fa parte di un heritage [patrimonio, ndr]: mi piace vedere come le cose si ripropongono, abbiamo preso qualcosa che c’era già rendendolo attuale e moderno». Aggiunge che «avevo questa collezione in testa da tanto tempo e non vedevo l’ora di utilizzarla: questo è un look di couture [sartoria, ndr] che non era mai stato più rivisto dopo la passerella, volevo ridare un po’ di vita vera a un abito che altrimenti resterebbe chiuso in un armadio».
È anche l’idea della prossima mostra del Costume Institute di New York, intitolata Sleeping Beauties: Reawakening Fashion. Esporrà circa 250 abiti provenienti dalla collezione permanente del museo, raramente mostrati al pubblico. Alcuni sono di 400 anni fa, quelli troppo fragili per essere indossati: saranno mostrati attraverso video e proiezioni. Verrà, come sempre, inaugurata il primo lunedì di maggio con il Met Gala, l’evento mondano più importante nella moda, che invita le popstar, gli influencer e le celebrità del momento a vestirsi seguendo il tema della mostra. È probabile, quindi, che gli abiti d’archivio saranno tanti e molti stanno già affiorando alle serate di premiazione di questi mesi.
Per esempio ai Golden Globe, che danno inizio alla stagione dei premi del cinema americano, l’attrice Carey Mulligan aveva un abito di Schiaparelli del 1949 e l’attrice Elle Fanning uno in seta bianca di Pierre Balmain. Ai Grammy, i premi dell’industria discografica statunitense, se ne sono visti ancora di più: la cantante Billie Eilish aveva un bomber vintage del marchio Chrome Hearts con ricamato sopra “Barbie” apposta per lei, Miley Cyrus ha cantato Flowers con un abito d’archivio dello stilista Bob Mackie, Oprah Winfrey ha tirato fuori dal suo armadio un abito di Valentino couture del 2004-2005, l’attrice Laverne Cox ha scelto un Comme des Garçons del 2015 e la cantante Olivia Rodrigo un vestito di Versace del 1995.
Rodrigo è tra le popstar che riutilizzano più spesso gli archivi, come quando indossò un completo rosa di Chanel degli anni Novanta durante una visita ufficiale alla Casa Bianca. Lo aveva acquistato in un negozio vintage di lusso di Los Angeles, Aralda Vintage, molto seguito perché mostra su Instagram gli abiti che vende attraverso le fotografie dei servizi e delle sfilate dell’epoca. Shrimpton Couture è un’altra boutique di lusso molto frequentata da celebrità e stylist in cerca di capi vintage: la sua proprietaria, Cherie Balch, ha raccontato al New York Times che la richiesta «non è mai stata così alta» e che stanno arrivando nuovi clienti su esempio dei personaggi famosi.
Gli abiti d’archivio sui red carpet non sono una novità, per esempio nel 2001 Julia Roberts vinse un Oscar indossando un vestito di Valentino del 1992 e nel 2006, sempre agli Oscar, Reese Witherspoon scelse un vestito di Dior degli anni Cinquanta. Nel 2012 Lady Gaga venne fotografata a Milano con il famoso vestito nero di Versace, noto come safety pin dress, indossato nel 1994 da Elizabeth Hurley alla prima del film Quattro matrimoni e un funerale in cui recitava il fidanzato Hugh Grant. La differenza, scrive il New York Times, è che negli ultimi anni c’è un «costante e ben documentato aumento di vestiti vintage».
Secondo Vanessa Friedman, la critica di moda del New York Times, la scelta di un abito d’archivio può avere ragioni diverse: «permette alle celebrità di mostrare che hanno accesso a vestiti che sono inarrivabili al pubblico. Permette ai marchi di mantenere il rapporto con queste celebrità e toglie agli stilisti e ai loro team la pressione di creare nuovi vestiti mentre stanno creando le collezioni per le sfilate di prêt-à-porter».
Vavallo racconta che l’archivio solitamente «non viene mai toccato»: lo si fa se c’è reciproca fiducia e in occasioni eccezionali. I vestiti vintage infatti sono delicati e rischiano di rovinarsi se c’è la necessità, e quasi sempre c’è, di adattarli a un nuovo corpo. Il caso più famoso è quando Kim Kardashian indossò il famoso vestito in cui Marilyn Monroe cantò Happy Birthday, Mr. President a John Fitzgerald Kennedy, per i suoi 45 anni, nel 1962. Kardashian, che lo aveva preso in affitto dal museo che lo conservava, lo tenne solo sul red carpet per farsi fotografare e poi si cambiò sostituendolo con una replica, ma quei pochi minuti bastarono per danneggiarlo lievemente lungo la zip, causando molte polemiche.
Brynn Jones, la proprietaria di Aralda Vintage, racconta che modificare un abito vintage per ottenere una vestibilità perfetta è davvero complicato. E lo è anche scegliere se affittarne uno, perché non vuole scontentare le richieste ma neanche «mettere a rischio un pezzo unico nel suo genere».
Oltre a essere inarrivabili ai più, gli abiti vintage funzionano perché permettono ai marchi di dare «slancio al loro archivio e acquisire crediti ambientalisti», scrive sempre Friedman. Molti desiderano valorizzare la propria storia, soprattutto quelli che hanno mantenuto la stessa direzione creativa, come Dolce&Gabbana, o che sono molto legati ai propri fondatori, come Moschino, Versace e Valentino. L’anno scorso Marco Mengoni indossò sempre al festival di Sanremo un completo di Versace del 1993; quest’anno il cantante Dargen D’Amico ha scelto per la prima serata un abito di Moschino ricoperto di orsetti di peluche, ispirati a quello disegnato dal fondatore del marchio Franco Moschino per una collezione del 1988.
Che gli abiti d’archivio siano una scelta ambientalista è invece un argomento per certi versi controverso, e probabilmente neanche così centrale nella scelta di indossarne uno. Ci sono infatti celebrità che si presentano sul red carpet con un vestito vintage ma poi si cambiano più volte nel corso della serata, annullando di conseguenza l’eventuale messaggio contro lo spreco.
È certo però che la valorizzazione del vintage e degli archivi ha contribuito a scardinare l’idea, indiscussa fino a non troppo tempo fa, che sia impensabile e disdicevole indossare in pubblico un abito o un accessorio più di una volta. Per questo le scelte meno controverse dal punto di vista ambientalista sono quelle di chi riutilizza, come ha fatto per esempio Oprah Winfrey agli ultimi Grammy o come l’attrice Cate Blanchett che, da presidente della mostra del Cinema di Venezia nel 2020, scelse solo abiti che aveva già indossato. Lo fanno spesso anche la principessa del Galles Kate Middleton e la regina Letizia di Spagna: sono un modello per molte donne e si fanno spesso fotografare con il paio di scarpe, il vestito o la borsetta preferita portata più volte nei tanti eventi a cui partecipano.