A Viganella si è fermato il sole
O meglio, si è rotto lo specchio solare che in inverno illuminava il paese della Val d'Ossola, in Piemonte: gli abitanti hanno dovuto aspettare il 4 febbraio per avere di nuovo luce solare in piazza
di Isaia Invernizzi
L’ultima volta il sole era arrivato nella piazza di Viganella l’11 novembre. Era ancora autunno e in valle Antrona aveva appena iniziato a fare freddo. Per 83 giorni i pochi abitanti del paese sono rimasti all’ombra delle montagne che chiudono la valle stretta e lunga fino al passo di Saas, verso la Svizzera, una laterale della più ampia Val d’Ossola, in Piemonte. Venerdì 2 febbraio, nel giorno della festa cristiana della Candelora, i raggi del sole sono tornati a scavalcare l’alpe della Colma e a illuminare prima la punta del campanile, poi i tetti delle case. Alle 14.45 di domenica 4 febbraio il sole ha raggiunto finalmente la piazza dopo mesi.
Qui a Viganella le cose erano state diverse per 18 anni, quando un altro sole illuminava la piazza del paese. Era un sole artificiale, uno specchio di quaranta metri quadrati posizionato sul versante scosceso dell’alpe Scagiola, 500 metri sopra le case. Ogni giorno per 18 anni lo specchio di Viganella aveva seguito i movimenti del sole per riflettere i raggi verso il paese ruotando di pochi centimetri, lentamente, per sopperire al buio invernale. Ma quest’anno non è andata così: il meccanismo dello specchio si è rotto e per Viganella è come se il sole si fosse fermato.
Prima – prima dello specchio – in Val d’Ossola poche persone conoscevano Viganella, una delle frazioni di Borgomezzavalle, un comune di soli 300 abitanti. «I giovani sono andati in fuori e gli anziani sono andati in dentro», dice Augusto, uno dei pochi abitanti che vive ancora a Viganella, puntando il dito prima verso la pianura e poi verso il cimitero. È terra di miniere d’oro e di contrabbando, e tanto basterebbe a circondare di uno strano fascino il paese, ma grazie allo specchio il mito di Viganella è riuscito a superare i confini della valle.
Poco dopo il cartello di benvenuto la strada si restringe via via fino a un passaggio stretto e fa il giro delle case in pietra, tra scale ripide e antichi ballatoi di legno. Intorno alla piazza c’è tutto: la chiesa dedicata a Maria Nascente, l’oratorio con un piccolo teatro, il monumento ai caduti. Un po’ alla volta se ne sono andate le poste, le scuole, il distributore di benzina. Il medico arriva una volta alla settimana e rimane una sola ora prima di spostarsi in un’altra frazione, il parroco celebra messa una volta ogni quindici giorni perché ha troppe parrocchie da seguire.
L’unica istituzione rimasta è Pier Franco Midali che a Viganella fa un po’ di tutto, anche il campanaro quando serve. È un uomo energico, con una risata contagiosa. Midali è stato sindaco per dieci anni a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila: proprio a lui si deve l’intuizione di posizionare lo specchio sulla montagna.
Iniziò tutto da una meridiana dipinta su una parete laterale della chiesa. Durante i lavori per la costruzione della meridiana Midali suggerì all’architetto Giacomo Bonzani di tracciare una linea tratteggiata sulla meridiana per indicare il periodo tra l’11 novembre e il 2 febbraio. Ci scrissero sopra “sine sole”, senza sole. L’ispirazione venne all’improvviso: Midali e Bonzani si dissero, fantasticando, rivolti verso la montagna, che uno specchio avrebbe risolto il problema del buio in cui Viganella era costretta a stare per mesi, durante l’inverno. Era il 1999 e ci vollero sette anni per realizzare quell’idea stravagante e ambiziosa.
Nessuno in Italia aveva mai costruito uno specchio del genere e Midali passò diverso tempo a cercare un tecnico disposto a imbarcarsi nell’impresa. Trovò infine l’ingegnere Emilio Barlocco che aveva già progettato un software per il movimento di specchi sincronizzati con il sole per illuminare l’ingresso delle gallerie dell’autostrada Torino-Savona. Il progetto definitivo, così come l’idea iniziale, era piuttosto semplice e molto artigianale, costruito su misura per Viganella.
Lo specchio pesa 11 quintali, ha una base larga otto metri ed è alto cinque. È fatto di lastre di acciaio inox lucidato a specchio, posate su un telaio sempre di acciaio sostenuto da una stele cilindrica a cui sono installati i meccanismi che regolano il movimento. Si muove da destra a sinistra per seguire il movimento del sole e dall’alto verso il basso per riflettere i raggi verso la piazza del paese. È programmato per funzionare dall’11 novembre al 2 febbraio, ma può essere azionato anche a distanza con un telecomando.
Fu portato in quota ancorato a un elicottero in un giorno di vento che rese l’installazione più avventurosa di quanto non lo fosse già. Midali riuscì – non si sa bene come – a spendere non più di 100mila euro: alla fine furono 99mila e 900 euro. Il 17 dicembre del 2006, nel giorno dell’inaugurazione, gli abitanti di Viganella si sedettero in piazza con gli occhiali scuri, illuminati dal sole riflesso. Anche se lo specchio non trasmette il calore, l’impresa fu comunque efficace. «Lo abbiamo fatto più che altro per far socializzare le persone durante l’inverno, farle venire qui in piazza», dice Midali. «Per secoli Viganella si spegneva da novembre a febbraio».
A Viganella arrivarono troupe televisive di molti paesi. Gli abitanti ricordano il servizio andato in onda su Al Jazeera, gli articoli del New York Times, della BBC, del Guardian. «Non ci saremmo mai sognati un impatto mediatico così forte», continua Midali. «Uno degli aspetti più belli di questa storia è stato il confronto con le tante persone arrivate da fuori, giornalisti e semplici curiosi. Ci siamo arricchiti culturalmente».
Viganella ha ispirato altri paesi. Qualche anno dopo l’installazione dello specchio, Midali accolse tecnici e amministratori del comune norvegese di Rjukan che si trova in una valle piuttosto profonda, a 80 chilometri da Oslo: durante i sei mesi invernali, come a Viganella, le montagne che circondano la valle lasciano in ombra la città anche nelle ore centrali della giornata. Da tempo a Rjukan si parlava di costruire uno specchio per riflettere il sole, ma gli amministratori si convinsero solo dopo aver visto lo specchio di Viganella. Alla fine ne installarono tre, inaugurati nel 2013.
Negli ultimi anni allo specchio di Viganella sono stati sostituiti componenti qua e là, una volta un pistone, un’altra volta un ingranaggio. Lo scorso 11 novembre, tuttavia, è rimasto fermo e così durante tutto l’inverno. Probabilmente è stato colpito da un fulmine la scorsa l’estate. Il sindaco Stefano Bellotti dice che non è semplice trovare il componente elettronico che si è rotto: serve tempo, forse si riuscirà per il prossimo inverno. D’altronde il comune è molto piccolo e non riesce a permettersi nemmeno un operaio per le manutenzioni. «La volontà supera qualsiasi inghippo», dice Midali. «Speriamo che il comune lo rimetta in funzione presto».
Domenica 4 febbraio gli abitanti di Viganella, uniti a molti tornati in paese dopo averlo lasciato anni fa, hanno organizzato una festa per il ritorno del sole, quest’anno ancora più sentita. In occasione della Candelora, che evoca il passaggio del vangelo della presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme, a Viganella si celebra un culto arboreo molto antico, risalente al tempo dei Salassi, una popolazione celtica che abitava le montagne al confine fra Piemonte e Val d’Aosta già in epoca neolitica.
Il rito consiste nell’addobbare la pescia, un abete a cui vengono appesi alcuni doni simbolo di prosperità: formaggi d’alpeggio, salami, ricami, biscotti. Le donne indossano il costume tradizionale e reggono sulla testa il cavegn, un alto copricapo fatto di rami addobbati con fiori e campanelli. I cavegn, termine italianizzato in “cavagnette”, sono chiamati anche “alberi di luce”.
I costumi di questo antico culto agropastorale pagano si sono mescolati alla tradizione cattolica nonostante qualche resistenza della Chiesa. Al termine della messa della Candelora l’abete viene portato in chiesa, le donne che portano il cavegn sono le ultime a entrare. Dopo la benedizione, l’albero viene portato fuori dalla chiesa e inizia l’asta dei rami della pescia: la tradizione vuole che aggiudicarsene uno sia di buon auspicio per il raccolto. Domenica 4 febbraio il rito si è ripetuto: fuori dalla chiesa c’è stata una certa competizione per avere i rami, soprattutto tra le donne più anziane del paese.