Le raccomandazioni su come fare le leggi che governo e parlamento ignorano da anni
Vengono espresse da un Comitato apposito di Camera e Senato, di cui si parla poco perché inefficace e un po' ripetitivo
Sia alla Camera sia al Senato esiste un organo che ha il compito di valutare la qualità di un gran numero di leggi discusse in parlamento. È il Comitato per la legislazione: alla Camera venne istituito nel 1997 e opera ininterrottamente da più di 25 anni. È composto da dieci deputati individuati dal presidente della Camera secondo un perfetto bilanciamento, cinque di maggioranza e cinque di opposizione. Viene presieduto a rotazione, sempre in alternanza tra maggioranza e opposizione, dai vari componenti che tengono la carica di presidente per dieci mesi. Al termine di ciascuno di questi mandati, il Comitato pubblica un rapporto in cui illustra l’attività svolta. Al Senato invece il Comitato per la legislazione ha iniziato a lavorare in questa legislatura: dopo tre tentativi andati a vuoto nel 2009, nel 2012 e nel 2013, la riforma del regolamento approvata nel 2022 ha infine introdotto questo organismo, del tutto analogo a quello attivo alla Camera se non per la composizione (8 senatori, non 10) e per la durata del mandato del presidente (un anno, non dieci mesi).
Il compito fondamentale del Comitato consiste nell’esprimere un parere sui decreti-legge, cioè quei provvedimenti approvati dal governo con procedura d’urgenza: entrano in vigore immediatamente, senza attendere il giudizio del parlamento, che ha poi sessanta giorni di tempo per convertirli in legge in entrambe le camere, spesso modificandoli o aggiungendo nuovi articoli. Proprio per questa loro caratteristica, è stato ritenuto utile assegnare al Comitato il compito di esprimere un parere preliminare sui decreti-legge, così da individuare eventuali forzature o storture normative.
Ma il Comitato deve esprimere pareri anche su tutti i progetti di legge che prevedono delega legislativa o delegificazione. Nel primo caso parliamo di provvedimenti in cui il parlamento affida al governo il compito di definire in un tempo limitato delle norme su materie particolarmente complesse, dopo avere però fissato alcuni princìpi di massima.
Nel secondo caso le leggi sulla delegificazione sono quelle con cui si stabilisce che una determinata materia smetterà di essere normata da leggi ordinarie, e inizierà a essere normata da provvedimenti di rango inferiore, come decreti ministeriali o regolamenti del governo. La delegificazione non riguarda quindi il merito, ma più che altro la gerarchia delle fonti del diritto, e può essere decisa solo per le materie di cui la Costituzione non prescrive tassativamente l’utilizzo di leggi ordinarie.
Infine, il Comitato può pronunciarsi su qualsiasi altro provvedimento in discussione, purché almeno un quinto dei suoi componenti ne faccia richiesta.
Il Comitato, che si esprime di prassi all’unanimità, svolge insomma un lavoro di filtro sulla qualità formale delle leggi: valuta se quel certo provvedimento rispetti alcuni princìpi di correttezza legislativa, comprensibilità del testo, coerenza con altre leggi già in vigore, eccetera. Il Comitato del Senato ha da poco pubblicato una relazione semestrale (luglio-dicembre 2023) in cui, per esempio, ha puntualizzato sulla necessità che il contenuto dei provvedimenti rispecchi effettivamente le materie contenute nel titolo del testo; ha stigmatizzato il ricorso a norme che introducono proroghe troppo variegate; e ha sollecitato a una maggiore «attenzione al miglioramento dei testi normativi, con l’invito ad evitare l’utilizzo di espressioni generiche, imprecise e colloquiali».
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Inoltre, il Comitato ha segnalato più volte l’eccessivo ricorso a termini inglesi come videogames o fake news. Secondo il Comitato sarebbe «preferibile evitare, o quantomeno limitare ai casi in cui sia strettamente necessario, l’utilizzo di termini in lingua straniera, privilegiando definizioni e termini italiani». Peraltro l’attuale maggioranza di governo di destra si è spesso battuta contro l’abuso di forestierismi: uno dei dirigenti di Fratelli d’Italia, Fabio Rampelli, ha recentemente presentato alla Camera una proposta di legge per introdurre l’obbligo di usare la lingua italiana per enti pubblici e privati. La proposta prevede una multa fino a 100mila euro per chi ricorra a espressioni straniere negli atti ufficiali.
Anche per questa sua scrupolosa attenzione alla forma, più che alla sostanza, il Comitato è visto dalle Commissioni come un organismo marginale: spesso i suoi pareri, che non sono quasi mai vincolanti, vengono recepiti con fastidio dal resto dei parlamentari e il più delle volte vengono ignorati. Negli ultimi anni, quando i membri del Comitato ritengono che alcune osservazioni fatte su un determinato provvedimento siano particolarmente significative, si mettono d’accordo per trasformarle in emendamenti condivisi a quel testo così da provare a modificarlo col consenso dei vari partiti.
Che il Comitato non venga ascoltato granché da governo e parlamento lo dimostra anche il fatto che le principali osservazioni espresse nel corso degli anni siano sempre un po’ le stesse, come si legge nelle relazioni scritte dai vari Comitati che si sono succeduti alla Camera negli ultimi vent’anni, durante i quali sono stati prodotti circa 35 pareri all’anno (184 nella XVI legislatura, 176 nella XVII, 160 nella legislatura passata, la XVIII, con la XIV che resta di gran lunga la più produttiva, con 327 pareri dal 2001 al 2006). Se certe raccomandazioni sono ricorrenti e ripetitive è perché nessuno le tiene in grande considerazione.
Una riguarda per esempio la coerenza e l’omogeneità dei provvedimenti: i decreti-legge, cioè, devono rispondere a precise necessità di urgenza su questioni molto specifiche, e invece da tempo sono diventati strumenti con cui il governo trova comodo introdurre norme su materie diverse, raccogliendo in un unico testo le esigenze che arrivano da più ministeri. Un’altra riguarda la tendenza crescente e anomala per cui a fare le leggi non è il parlamento, come prevede la Costituzione, ma il governo, che ha assunto negli ultimi anni un’iniziativa sempre più prevalente e spesso proprio con procedure d’urgenza, riducendo molto gli spazi di intervento del parlamento.
Sono due argomenti ben spiegati in questa relazione del Comitato per la legislazione della Camera del luglio 2003, che è una relazione un po’ particolare: la firmò Sergio Mattarella, allora deputato del partito di centro La Margherita e presidente del Comitato nei mesi precedenti. Molti anni più tardi, da presidente della Repubblica, Mattarella è tornato più volte a esprimere le stesse critiche su entrambe queste abitudini ormai consolidate: sia la proliferazione di decreti cosiddetti “omnibus” in cui i governi infilano un po’ di tutto, sia lo spostamento sempre più marcato dell’iniziativa legislativa dal parlamento al governo.
Il Comitato si è espresso più volte anche sull’abuso dei cosiddetti decreti “Milleproroghe”, cioè i decreti-legge con cui il governo prolunga la durata della validità di norme prossime alla scadenza. Nel febbraio del 2006, quando adottare questo genere di decreto diventò una prassi con il governo di Silvio Berlusconi, il Comitato ne segnalò le anomalie visto che ci confluivano in maniera incoerente norme diverse, alcune delle quali già in discussione da mesi in parlamento. Sulle distorsioni del Milleproroghe il Comitato tornò poi nel gennaio del 2010, con critiche analoghe e persino più severe. Anche quest’anno il Comitato ha messo in dubbio la correttezza normativa del Milleproroghe, in occasione della presentazione alla Camera del decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri il 30 dicembre.
Alla fine della scorsa legislatura il Comitato ha avuto un ruolo importante in una polemica politica nata intorno ai DPCM dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ovvero quei provvedimenti fatti direttamente dal capo del governo per disciplinare alcune questioni specifiche. Conte li adoperò con grande frequenza durante la pandemia di Covid, per decidere rapidamente sull’introduzione di divieti e restrizioni; per i partiti di opposizione però fu un abuso con cui Conte aggirava il parlamento.
Il Comitato espresse vari pareri sulla questione. Da un lato ha stabilito la legittimità della condotta del governo, dall’altro ha invitato a limitare l’utilizzo dei DPCM ai soli casi davvero necessari, privilegiando invece le leggi ordinarie che devono essere discusse in parlamento. Il governo, in questo caso, ha recepito il parere e si è attenuto all’orientamento sollecitato dal Comitato.