El Salvador non può fare a meno di Nayib Bukele, nonostante tutto
Oggi sarà rieletto presidente con un grande margine: i suoi successi nella lotta contro le bande criminali hanno oscurato tutto il resto
Domenica si tengono a El Salvador elezioni presidenziali dall’esito particolarmente scontato: il presidente uscente, Nayib Bukele, le vincerà con ampio distacco, iniziando così un secondo mandato. I sondaggi dicono che almeno il 70 per cento della popolazione voterà per lui, mentre il secondo candidato non supera il 4 per cento delle preferenze.
La popolarità di Bukele è enorme, malgrado tutta una serie di problemi e di questioni aperte sulla sua presidenza. La costituzione salvadoregna vieterebbe a Bukele di essere fra i candidati, avendo già fatto un mandato. Nei cinque anni del suo governo il paese ha vissuto una «allarmante regressione» in tema di diritti umani, denunciata fra gli altri anche da Amnesty International. Il due per cento della popolazione è in prigione, oltre il 25 per cento vive sotto la soglia della povertà. Il debito pubblico sta raggiungendo livelli più che preoccupanti. Molte delle libertà personali sono state messe in discussione e quasi tutti gli organi politici e giudiziari sono stati occupati da uomini a lui fedeli. Nonostante tutto ciò, il tasso di gradimento di Bukeke a El Salvador è superiore all’80 per cento, principalmente per una ragione: la sicurezza.
Bukele ha trasformato il paese con il più alto tasso di omicidi dell’America Latina in uno piuttosto sicuro, in cui la popolazione è potuta tornare per le strade, anche di sera, in cui non deve più pagare il pizzo per aprire un’attività, in cui la violenza delle bande è un ricordo. Per anni grandi parti delle città salvadoregne sono state sotto il totale controllo delle gang criminali. Fino al 2018 circa il 3 per cento della ricchezza prodotta nel paese era impegnato nel pagamento dei riscatti, e si registravano 53 omicidi ogni 100.000 persone, uno dei tassi più alti al mondo. Oggi siamo a 2,4 omicidi ogni 100.000 persone, uno dei più bassi della regione centroamericana.
Questo risultato è stato ottenuto con uno “stato di emergenza” dichiarato ormai quasi due anni fa, che ha portato a una campagna di incarcerazioni di massa: si ritiene che da allora siano state incarcerate oltre 75mila persone. Le forze di sicurezza possono arrestare chiunque sia soltanto sospettato di far parte di una banda criminale, anche in assenza di prove: possono bastare un tatuaggio o una denuncia anonima. È consueta la detenzione preventiva, anche prolungata, senza la formulazione di un capo d’accusa, mentre il governo ha accesso a tutte le comunicazioni private dei cittadini.
L’anno scorso l’amministrazione di Bukele ha inaugurato un nuovo enorme carcere di massima sicurezza che potrà ospitare fino a 40mila detenuti, mentre l’appartenenza a una gang viene punita con una pena minima di vent’anni (contro i precedenti tre). Quando le accuse coinvolgono il terrorismo, le pene diventano cumulative e sono consuete condanne a 100-150 anni di prigione.
Il partito di Bukele, Nuove Idee, ha inoltre promosso e approvato in parlamento una riforma della Giustizia che introduce i processi di massa: fino a 900 imputati possono essere processati in una sola sessione, limitando quasi del tutto le possibilità di dimostrare la propria innocenza o di distinguere le proprie responsabilità da quelle degli altri.
Con questi metodi radicali e con la soppressione di molti diritti costituzionali Bukele ha sicuramente ottenuto il risultato di smantellare quasi totalmente il potere delle bande criminali, che per decenni hanno ucciso, rapito e ricattato la popolazione di El Salvador. Però oltre alla soppressione dei diritti degli imputati, il “pugno duro” di Bukele ha anche portato moltissimi innocenti in carcere, che hanno pochissime possibilità di dimostrare la loro estraneità alle accuse.
La maggioranza della popolazione salvadoregna sembra però sostenere questo approccio, tanto che Bukele ha basato gran parte della sua campagna per la rielezione sui risultati ottenuti in termini di sicurezza e accusando le opposizioni di voler «liberare tutti i membri delle bande» se dovessero vincere le elezioni. Il 42enne presidente basa anche gran parte del proprio consenso su uno stile informale e una comunicazione che passa principalmente dai social network. Ha costruito in questi anni una macchina mediatica e propagandistica che fa uso frequente di notizie false, fatti manipolati e attacchi via social agli avversari politici, sfruttando anche un consistente numero di profili falsi gestiti da agenzie private.
La recuperata sicurezza nelle strade e la propaganda hanno completamente oscurato gli altri insuccessi della sua gestione, a partire da quelli economici. Nel 2021 Bukeke ha trasformato El Salvador nel primo paese al mondo a dare corso legale ai bitcoin, rendendo obbligatoria l’accettazione della criptovaluta come mezzo di pagamento e convertendo in bitcoin gran parte delle riserve monetarie dello stato. A oltre due anni di distanza le criptovalute continuano a essere usate pochissimo dalla popolazione e non hanno trasformato il paese in un “paradiso” per gli investitori del settore come promesso dal presidente.
La crescita di valore dei bitcoin è stata poi estremamente volatile, andando incontro anche a periodi di forte calo, e la misura è diventata un problema per accedere ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale. El Salvador ne avrebbe bisogno, perché il debito pubblico è in costante e forte crescita e perché la crescita del prodotto interno lordo è inferiore al tre per cento annuo e più bassa dei paesi vicini, come il Guatemala, il Nicaragua o l’Honduras.
Il risanamento dell’economia diventerà fondamentale nel secondo mandato per mantenere l’ampio sostegno popolare, mentre la limitazione delle libertà civili e la svolta autoritaria impressa al paese non sembrano essere fattori decisivi per i salvadoregni. Bukele, del resto, si definisce spesso “il dittatore più cool del mondo”.
La stessa candidatura a un nuovo mandato è stata possibile grazie a un sempre maggiore controllo di Bukele sulle istituzioni e sugli organi che dovrebbero fare da contraltare al potere del presidente. Bukele ha sostituito i giudici della Corte Costituzionale con uomini a lui vicini, di fatto controllandola: e questa ha interpretato in modo creativo la norma della Costituzione che limita a uno il mandato del presidente. Ha stabilito che avrebbe potuto candidarsi se si fosse dimesso sei mesi prima della fine del mandato, formalmente non risultando così come “presidente uscente”. Bukele si è dimesso il 30 novembre, seppur mantenendo di fatto il potere.