I prossimi dieci anni di “Ok Boomer!”
Un bilancio di un anno di newsletter di Michele Serra sul Post, e di conversazioni con decine di migliaia di lettori
di Michele Serra
Ok Boomer!, la mia newsletter sul Post, ha compiuto un anno. Non so quanto valga la mia soddisfazione, in sede di bilancio. Ma forse qualcosa vale, perché scrivere è un lavoro, un contratto da onorare, e non sempre lo si fa contenti di farlo. Si scrive per piacere e si scrive per dovere, si scrive per esprimersi e si scrive per campare. Nei casi migliori si scrive per tutte queste cose assieme: mestiere e piacere in buona armonia. Live together in perfect harmony, secondo la versione di Paul.
Ero abbastanza preoccupato, all’inizio. Curioso e preoccupato. Il Post non è un giornale qualunque. È un giornale, da molti punti di vista, antagonista rispetto al giornalismo nel quale io sono cresciuto e ho avuto fortuna. È un giornale che cerca davvero, nella sua prassi quotidiana, nelle parole che sceglie, nella titolazione, di essere “oggettivo”: rispettoso della realtà, attento alle fonti, diffidente delle semplificazioni. Il suo linguaggio giornalistico è di ammirevole “freddezza”, e questa qualità è tanto più evidente quanto più il linguaggio dei media tradizionali, nella disperata ricerca di sopravvivenza, diventa sempre più emotivo e sopra le righe – e si scava la fossa senza accorgersene. E sebbene la forma della newsletter autorizzi e anzi incentivi una scrittura più personale, più confidenziale, qualche timore di essere dissonante, nel nuovo posto dove cominciavo a scrivere, ce l’avevo.
Vengo da un giornalismo molto “firmato”, molto costruito attorno alla persona-giornalista. Per i detrattori: un giornalismo narcisista. Per gli estimatori: un giornalismo d’autore (che non sempre vuol dire autorevole, vuol dire che è molto riconoscibile). Ho scritto per più di trent’anni una nota quotidiana, prima sull’Unità, poi su Repubblica, fatta soprattutto delle mie opinioni; ed essendomi dunque guadagnato sul campo, mi piaccia o no, la qualifica di “opinionista”, che più che un mestiere sembra una parodia, sentendomi dunque il portatore, non importa quanto meritevole, di una comunicazione “calda”, molto soggettiva: quanto alto era il rischio di sembrare un corpo estraneo, sul Post? Quanti lettori del Post, vedendomi approdare in casa loro, avrebbero pensato: ma anche qui viene a rompere le scatole, questo?
Secondo dubbio. I miei lettori, su Repubblica, sono invecchiati con me. Tutto il giornalismo cartaceo è invecchiato, forse in Italia più irreparabilmente che altrove. Sapevo benissimo, scrivendo per il Post, che avrei impattato (forse cozzato) con un pubblico decisamente più giovane. Un segmento importante di questo pubblico legge il Post, io credo, con un sentimento di liberazione dal giornalismo “ideologico”, o peggio fintamente ideologico per ragioni di marketing. Ero dunque, in partenza, di fronte a una doppia sfida, anagrafica e “politica”, a confronto con lettori più giovani e meno scontatamente complici, politicamente parlando. Oppure – meglio – meno complici politicamente proprio perché più giovani: non formati, non cresciuti nella mia stessa storia. Diversi. A me sconosciuti, e io sconosciuto a parecchi di loro.
Per questo ho proposto a Luca Sofri di chiamare Ok Boomer! la newsletter. Un’allegra rivendicazione anagrafica: sì, sono proprio io, il vecchio trombone. E al tempo stesso, chiarito l’incidente, speravo che quel titolo comunicasse la voglia vera, quasi urgente, di aprire i rispettivi cassetti, scoprire le carte, comunicare. La speranza era: uscire dalla mia vecchia tana, e stanare i rintanati più recenti. Cercare di dirvi – con qualche pudore, ma non troppo – alcune delle cose che mi sono capitate lungo la vita, di quali materiali è composto il mio cervello, quali i miei ricordi, il mio percorso di formazione, per vedere se avevate voglia di raccontarmi un po’ di fatti vostri. Chiacchierare, discutere, magari anche litigare, ma cercare di farlo in una dimensione non aggressiva, cordiale, ragionante. Parlare dei tempi che cambiano senza maledirli troppo (rischio dei boomer) e senza assecondarli troppo (rischio dei più giovani). Provare ad ascoltarsi.
Mi riconosco, con il senno di poi, un merito: ho giocato a carte scoperte. Ho fatto il boomer perché sono un boomer e non potevo fingere di non esserlo. Ho scritto che il lavoro, per me, è identità, è molto di quello che io sono. Che la tecnologia mi spaventa, non vorrei che fosse sostitutiva dell’energia delle persone, perché solo l’energia umana può ribaltare il mondo – a condizione che le persone si mettano insieme. E dunque ho aggiunto: mi manca la politica, e voi ragazzi non avete idea di come manca a voi, la politica. Ho scritto che il progresso, per me, è stato una certezza per tutto il primo lungo tratto della vita, ero sicuro che il mondo non avrebbe potuto che migliorare, e il fatto che non sia migliorato, dunque, mi risulta un mistero e quasi un’offesa; o forse invece è migliorato, il mondo, ma per vie diverse di quelle che credevo, e allora spiegatemelo, insomma, come e perché è migliorato, e come e perché non lo capisco, che è migliorato. E tante altre cose.
Beh, ha funzionato. Più di quanto fosse lecito sperare. Le centinaia, a questo punto migliaia di mail che mi sono arrivate, in risposta, non me le aspettavo. Non così tante, non così diverse, non così schiette. Mi sono messo in gioco, si sono messi in gioco, in tanti, anche i lettori del Post. Il più giovane di 17 anni, il più vecchio di 87, e in mezzo tutti gli altri. I nativi digitali e i reduci della parola metalmeccanica (Olivetti Lettera 22). Quelli di mezzo, gli anfibi sospesi tra mondo analogico e mondo digitale. I cresciuti con la televisione e i cresciuti con il tablet. Quelli che nelle orecchie hanno Gaber e i Beatles, quelli che hanno Taylor Swift e la trap. I cisgender che lo sono (proprio come me) perché, ai nostri tempi, non usava chiederselo, e i ragazzi che invece se lo chiedono, perché oggi usa chiederselo. I non pochi che scrivono dall’estero, perché non ne potevano più di stare qui, e i molti che qui sono rimasti, o per scelta o perché così è capitato.
Quello che mi è più piaciuto (e che non mi aspettavo, non in questa misura) è stata la scelta, molto frequente, di partire quasi sempre dal racconto delle proprie esperienze. Non una chiave politico-ideologica, forse neppure tanto una chiave intellettuale, anche se i lettori del Post di politica parlano volentieri, e il loro livello culturale è parecchio sopra la media. Ha prevalso una chiave narrativa. Se è il mio modo di pormi (dunque il mio modo di scrivere) che l’ha sollecitata, ne sono felice. Si litiga di più e ci si capisce di meno, quando si parte dalle “visioni del mondo”, dai massimi sistemi: il rischio del pulpito è a un passo, il tono giudicante, escludente, incombe riga dopo riga. Se abbiamo un vantaggio, in questi anni di certezze sbrecciate, e confusione montante, è che la tentazione di “spiegare come stanno le cose” non viene spontanea, e anzi. Viene voglia di domandarlo agli altri, come stanno andando le cose.
Per evitare la frase retorica “da voi ho imparato molto” la correggo al ribasso, “da voi ho imparato qualcosa”. Spero altrettanto nell’altro senso. C’è stato scambio. C’è stato rispetto. Più di così era difficile sperare. La sola cosa che mi dispiace è non essere riuscito a rispondere proprio a tutti – anche se ho risposto a quasi tutti, privatamente; e sono centinaia le lettere che ho pubblicato nella mia newsletter. Il tempo, alla mia età, comincia a non sembrare più inesauribile, e dunque la sensazione di averlo usato bene mi conforta. Nei prossimi dieci anni di Ok Boomer! avremo molte cose da raccontarci.