Sull’immigrazione Joe Biden si gioca tantissimo
I numeri degli arrivi sono molto alti e al Congresso la situazione è bloccata, con conseguenze che arrivano a toccare anche gli aiuti all'Ucraina
Negli Stati Uniti l’immigrazione è da mesi al centro di ogni dibattito politico, più delle guerre in Ucraina e Israele, più dei processi di Donald Trump, forse anche più dell’economia. Trump e il Partito Repubblicano stanno impostando la loro campagna presidenziale sull’emergenza al confine con il Messico. Il Congresso è bloccato da mesi in cerca di un accordo sulla questione. Le città governate dai Democratici, anche al nord, sono messe in difficoltà – almeno a livello mediatico – dai bus pieni di persone migranti che i governatori Repubblicani inviano loro senza preavviso. Non solo le foto e le testimonianze dagli oltre 3.000 chilometri di confine, ma anche i numeri confermano che la situazione è effettivamente complessa: a dicembre 2023 gli ingressi certificati sono stati 300mila, un record per un singolo mese.
La gestione del tema immigrazione sarà centrale per la campagna di rielezione del presidente Joe Biden: il 68 per cento degli americani oggi ritiene che le sue politiche siano state inefficaci. Anche per questo la sua amministrazione negli ultimi mesi si è dimostrata disponibile a scendere a compromessi, attirandosi le critiche da sinistra di chi ritiene che stia adottando sulla questione un approccio troppo conservatore.
Ma non sembra bastare: l’ultima bozza di accordo con i Repubblicani trovata al Senato, che avrebbe aumentato molto i controlli e i finanziamenti per le agenzie di confine, è stata definita «completamente morta» dallo speaker Repubblicano della Camera Mike Johnson. Non è considerata sufficiente, ma soprattutto i media statunitensi raccontano che è arrivata da Donald Trump l’indicazione di non cercare alcun compromesso: il persistere dell’emergenza è considerato un’arma elettorale potente, risolverla o mitigarla per i Repubblicani potrebbe essere controproducente.
La questione ha anche pesanti ricadute a livello internazionale: senza un accordo su politiche più restrittive al confine meridionale, i Repubblicani bloccano gli stanziamenti di aiuti militari per l’Ucraina. Lo stallo dura da almeno due mesi, perché le due questioni, difficilmente collegabili, sono state inserite in un unico “pacchetto” dalla destra statunitense, sulla base dell’idea che sia necessario risolvere un’emergenza interna prima di spendere miliardi di dollari per aiutare lo sforzo bellico di un paese lontano.
Ma Biden ha bisogno di sbloccare la questione non solo per rispondere alle richieste che provengono dal governo ucraino, a cui mancano ormai armi e munizioni per resistere all’invasione russa. L’immigrazione è diventata un tema centrale a livello elettorale ed è anche un problema reale, al di là della retorica dai toni apocalittici di Trump, che fa uso di concetti apertamente razzisti come «l’avvelenamento del sangue statunitense».
L’aumento dell’immigrazione attraverso il confine con il Messico va avanti da anni. Trump impostò sul muro al confine la sua campagna del 2016, dipingendo un’emergenza che allora non c’era, ma che col tempo è diventata reale. Una volta eletto le sue politiche ampiamente restrittive, rigide e in alcuni casi considerate “inumane” (come la separazione dei figli piccoli dai genitori) non bloccarono i flussi, che nel 2019 crebbero del 90 per cento rispetto all’anno precedente. La pandemia li bloccò quasi totalmente, ma dopo il superamento dell’emergenza sanitaria, sono ripresi con maggiore intensità.
Nel frattempo Joe Biden era stato eletto nel 2020 con proposte sul tema dell’immigrazione che partivano dal ribaltamento di tutte le misure di Trump, in senso apertamente progressista. Dai primi giorni del suo mandato bloccò la costruzione del muro e cancellò alcune delle misure più discusse, come il divieto di ingresso da paesi musulmani (il cosiddetto travel ban) e l’obbligo per i migranti di aspettare in Messico l’esito dell’esame della domanda di asilo. Nel corso del suo mandato Biden aumentò le vie legali per entrare negli Stati Uniti per i cittadini di Cuba, Haiti e Nicaragua, ottenendo il risultato di ridurre la pressione migratoria da questi paesi.
In generale, però, i numeri delle richieste di ingresso nel paese sono aumentate in modo consistente: da quando Biden è presidente, 3,1 milioni di persone hanno attraversato il confine presentando una domanda di visto. Non tutte le persone migranti attraversano pericolosamente il deserto o i fiumi: la maggior parte si consegna agli agenti deputati ai controlli di frontiera e fa domanda di asilo. Bisogna sottoporsi a un colloquio in cui viene preliminarmente verificato il motivo dell’ingresso. Se si dimostra un “credibile timore” per la propria vita, magari per la minaccia costituita dalle violenze delle bande criminali, si può presentare domanda: in questo senso i criteri sono molto meno rigidi che nell’Unione Europea. La domanda verrà poi elaborata in tempi molto lunghi. Attualmente i tempi di attesa sono di oltre 4 anni, perché le agenzie che se ne occupano sono travolte dal numero di richieste, mentre ampliamenti e finanziamenti delle stesse vengono bloccate dai Repubblicani, che le considerano inefficienti o troppo permissive.
Si stima inoltre che altri 1,7 milioni di persone siano entrate illegalmente, o siano rimaste dopo la scadenza del visto. Nel corso dei tre anni della sua presidenza Biden ha aumentato le politiche di rimpatrio di chi è entrato illegalmente, in uno spostamento delle sue politiche verso destra, molto criticata dall’ala più progressista dei Democratici. Però la maggior parte degli statunitensi ritiene che invece il presidente non abbia fatto abbastanza, e il 63 per cento vorrebbe politiche “più dure”.
L’aumento della pressione migratoria è solo in parte legato alle politiche di Biden. Negli ultimi anni è stata condizionata da crisi politiche, economiche e di sicurezza nell’area del centro e sud America, con particolare riferimento al collasso economico del Venezuela. Ma è anche frutto di una tendenza mondiale a sempre maggiori migrazioni con motivazioni prevalentemente economiche: dal confine meridionale sono passati anche un numero crescente di cittadini russi (43.000 nel 2023), indiani (42.000) e cinesi (24.000), che arrivano in aereo in Sudamerica e poi provano a entrare negli Stati Uniti.
L’ottima situazione del mercato del lavoro nel paese, con i tassi di disoccupazione più bassi di sempre, attrae ulteriormente le persone dall’estero, che sanno di poter trovare con discreta facilità un impiego e mezzi di sostentamento.
Tutti questi fattori hanno contribuito a rendere la pressione sul confine, soprattutto in Texas, un problema reale. A Eagle Pass, uno dei principali luoghi di attraversamento, un campo di tende progettato per 1.000 persone migranti è arrivato a ospitarne 6.000, mentre a dicembre gli attraversamenti del confine sud sono stati oltre 11.000 al giorno.
I governatori Repubblicani degli stati del sud, come il texano Greg Abbott o Ron DeSantis in Florida, hanno iniziato a organizzare bus e aerei a spese del governo statale che trasportano le persone migranti verso città governate dai Democratici: Los Angeles, New York, Chicago, ma anche una località di villeggiatura come Martha’s Vineyard. L’aumento consistente di persone di cui prendersi cura, spesso anche in condizioni climatiche complesse, ha creato problemi di gestione notevoli per le città, aumentando le pressioni sull’amministrazione Biden anche all’interno del proprio partito.
Venerdì 26 gennaio Biden ha espressamente pregato il Congresso di firmare un accordo che gli desse il potere di «chiudere il confine quando la pressione diventa eccessiva» promettendo di usarlo il giorno stesso in cui la legge fosse sottoposta alla sua firma. Non sembra che succederà a breve: vari esponenti dell’ala più radicale dei Repubblicani hanno definito “spazzatura” la bozza di accordo e alla Camera, dove il partito di Trump ha una ristretta maggioranza, la legge non sembra avere speranze di passare.
L’immigrazione è diventata un tema decisivo anche in stati molto lontani dal confine e rischia di condizionare la campagna elettorale di Biden, soprattutto se – come stimano alcuni analisti – il timore di un ritorno alla presidenza di Trump spingerà molte persone migranti ad anticipare il viaggio a prima delle elezioni, aumentando ulteriormente la pressione sui confini.