Le sigarette elettroniche fanno fumare di più?
Se ne riparla anche in Italia dopo che il Regno Unito ha deciso di vietare quelle usa e getta
Negli ultimi giorni la notizia sul divieto in preparazione nel Regno Unito per le sigarette elettroniche usa e getta ha portato nuove attenzioni sui dispositivi per fumare, o provare a smettere di fumare, alternativi alle classiche sigarette. Come altri governi, anche quello inglese ritiene che in questo modo se ne possa limitare l’impiego tra gli adolescenti con benefici per la salute, ma in molti hanno sollevato dubbi sull’efficacia del provvedimento nel diminuire in generale il fumo nella popolazione. Da tempo si discute infatti non solo sugli effetti delle sigarette elettroniche sulla salute, ma anche sulla loro utilità per smettere di fumare e di consumare i normali prodotti a base di tabacco.
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Una sigaretta elettronica, che sia usa e getta o meno, scalda attraverso una resistenza elettrica una soluzione contenuta in una piccola ampolla, producendo il vapore che viene poi inalato da chi la utilizza. A seconda delle versioni e dei produttori la composizione del liquido cambia, ma di solito tra gli ingredienti più ricorrenti ci sono: glicole propilenico, cioè un additivo che viene spesso impiegato per diluire varie soluzioni; glicerolo, una sostanza oleosa come la glicerina (che altro non è che glicerolo a una certa concentrazione) e infine aromi che servono a dare al vapore un profumo e per farne percepire il sapore in bocca, quando viene inalato.
Nell’ampolla può anche essere disciolta della nicotina, il composto che contribuisce alla dipendenza dal tabacco. Questa sostanza è presente in concentrazioni diverse a seconda delle preferenze e dei motivi per cui si è deciso di utilizzare una sigaretta elettronica. Per esempio, chi fuma le normali sigarette e vuole provare a smettere spesso inizia con soluzioni con una maggiore concentrazione di nicotina, passando nel tempo a concentrazioni più basse fino ad arrivare a consumare prodotti privi di nicotina.
Chi non vuole smettere di fumare vede invece le sigarette elettroniche come un’alternativa più sana rispetto alle sigarette, che bruciando il tabacco portano all’inalazione di oltre 4mila sostanze come nicotina, catrame, benzene, cadmio, acetone, formaldeide, acido cianidrico e monossido di carbonio. Molte di queste sono cancerogene, fanno cioè aumentare il rischio di sviluppare alcuni tumori soprattutto (ma non solo) a carico del sistema respiratorio. Il fumo di sigaretta ha inoltre effetti dannosi per il cuore e in generale per la circolazione sanguigna.
Le sigarette elettroniche propriamente dette, quelle che impiegano un liquido, non devono essere confuse con i cosiddetti “dispositivi a tabacco riscaldato non bruciato” (HTP, dall’inglese “heated tobacco product”). Questi prodotti si sono diffusi negli ultimi anni, sono realizzati quasi sempre dalle grandi aziende del tabacco, e offrono un’alternativa alla normale sigaretta. Invece di utilizzare un liquido da vaporizzare, impiegano direttamente il tabacco essiccato, che però non viene bruciato, ma solamente riscaldato riducendo di conseguenza la produzione di polveri e fumi nocivi rispetto a una classica sigaretta.
Gli HTP esistono da tempo, ma sono diventati molto diffusi negli ultimi anni in seguito ai grandi investimenti delle aziende del tabacco, soprattutto per promuoverli come alternativa meno rischiosa rispetto alle normali sigarette. Gli effetti di questi dispositivi non sono però ancora completamente noti. Nel 2016 un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) segnalò di non avere trovato indizi che potessero giustificare le dichiarazioni sui minori rischi rispetto alle classiche sigarette. Alcune analisi successive condotte in alcuni paesi, come il Regno Unito, hanno portato a rilevare una possibile riduzione del rischio, ma gli HTP sono comunque considerati più dannosi rispetto alle sigarette elettroniche, quando utilizzate correttamente.
Uno studio svolto nel 2017 sempre nel Regno Unito su un gruppo di ex fumatori di normali sigarette aveva, per esempio, rilevato una riduzione importante delle sostanze cancerogene presenti nel loro organismo nei sei mesi in cui erano passati alle sigarette elettroniche. Altri studi hanno però sollevato dubbi sulla sicurezza di alcune sostanze presenti nei liquidi. La glicerina e il glicole propilenico, per esempio, possono portare alla produzione di acetaldeide e formaldeide, sostanze certamente cancerogene; le quantità sono relativamente basse, ma il rischio non deve comunque essere sottovalutato.
Altre incertezze sono legate all’impiego di alcuni aromi. Molti di questi sono normalmente utilizzati dall’industria alimentare e sono quindi sicuri per l’ingestione, ma nel momento in cui vengono scaldati per essere inalati cambiano alcune delle loro caratteristiche chimiche e fisiche. A oggi non ci sono studi a sufficienza su molti degli eventuali effetti derivanti dall’inalazione di queste sostanze e si stima che manchino dati chiari sui rischi di cancerogenicità per circa 7mila di loro.
I rischi non derivano solamente dalle sostanze contenute nelle ampolle, ma anche dal modo in cui viene utilizzata la sigaretta elettronica. Alcuni suoi componenti devono essere puliti periodicamente, perché parte del vapore condensa e si formano ristagni in alcuni punti della sigaretta, senza contare quelli prodotti dalla saliva che entra in contatto con il dispositivo a ogni boccata. Le sigarette elettroniche sono inoltre sottoposte a una certa usura, soprattutto nella parte dove si produce il vapore, che col tempo può compromettere il normale funzionamento portando alla produzione di temperature troppo alte o al rilascio di sostanze ulteriormente dannose per la salute.
Per tutti questi motivi è difficile valutare gli effetti delle sigarette elettroniche sull’organismo. Negli anni scorsi erano stati segnalati casi di infiammazioni al sistema respiratorio negli Stati Uniti, dove questo tipo di dispositivi si era diffuso molto velocemente, ma erano anche emerse difficoltà nel fare valutazioni su eventuali altri effetti.
Tra le analisi più citate sull’argomento c’è la revisione che fu pubblicata alla fine del 2022 dall’associazione internazionale senza scopo di lucro Cochrane, che effettua studi molto approfonditi sui temi sanitari partendo dalla letteratura scientifica a disposizione. L’analisi aveva riguardato la comparazione di 78 studi che avevano coinvolto complessivamente oltre 22mila persone e aveva portato a rilevare solo effetti nel breve-medio periodo legati all’utilizzo delle sigarette elettroniche. Le principali conseguenze riguardano irritazioni alla gola e alla bocca, mal di testa, tosse e nausea, che sembrano però diminuire con il tempo. Altri effetti non sono stati segnalati semplicemente perché l’impiego delle sigarette elettroniche è un fenomeno relativamente recente, di conseguenza saranno necessari anni per avere elementi più concreti.
Dal rapporto Cochrane era invece emerso che le sigarette elettroniche possono aiutare le persone a smettere di fumare meglio di quanto facciano le tradizionali terapie, che di solito si basano sull’impiego di prodotti sostitutivi per assumere nicotina, come cerotti e gomme da masticare. Secondo gli esperti dell’organizzazione gli indizi trovati nella letteratura scientifica sono molto solidi, anche se non è ancora chiaro se ci sia una particolare differenza tra sigarette elettroniche con e senza nicotina nell’aiutare a smettere di fumare.
Parte dell’incertezza deriva dal fatto che la dipendenza dal fumo non è data solamente dalla nicotina, ma anche dall’abitudine e dalla gestualità che accompagna il momento in cui si fuma. Prendere una sigaretta, accenderla, inalarne il fumo, tenerla tra le dita e infine spegnerla sono gesti che psicologicamente hanno un ruolo importante nell’esperienza complessiva del fumo, e sono spesso un’abitudine molto difficile da perdere.
Circa un anno prima dell’analisi Cochrane, il Comitato sulla salute, l’ambiente e i rischi emergenti (SCHEER) della Commissione europea aveva pubblicato un proprio rapporto sulle sigarette elettroniche. Sulla base della letteratura scientifica analizzata, lo SCHEER era arrivato a conclusioni meno nette, segnando che le prove sull’utilità delle sigarette elettroniche per smettere di fumare fossero deboli. Secondo il comitato, comunque, c’erano prove deboli-moderate sull’utilità di questi dispositivi per ridurre per lo meno il consumo di tabacco. In molti casi, infatti, i fumatori delle normali sigarette diventano anche utilizzatori delle sigarette elettroniche, ma senza rinunciare totalmente alle prime.
Lo SCHEER aveva infine segnalato che per i ragazzi le sigarette elettroniche possono rappresentare un incentivo per passare a quelle classiche. Gli aromi hanno un ruolo importante nell’attrarre potenziali consumatori nelle fasce più giovani della popolazione, come del resto si era già visto in passato con gli aromi per le sigarette tradizionali, vietati da una direttiva europea nel 2020. I risultati di un sondaggio svolto negli Stati Uniti e pubblicato lo scorso anno sembrano però ridimensionare la conclusione dello SCHEER. Dal sondaggio è emerso un netto passaggio dal fumo di tabacco all’uso delle sigarette elettroniche, senza che si registrasse un aumento significativo di nuovi fumatori di sigarette tradizionali.
Secondo i dati forniti dall’Istituto superiore di sanità (ISS), l’utilizzo delle sigarette elettroniche in Italia riguarda tra il 2 e il 4 per cento della popolazione, in un contesto in cui circa il 24 per cento delle persone nella fascia di età tra i 18 e i 69 anni si definisce fumatore. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha stimato che circa il 22 per cento della popolazione mondiale faccia uso di tabacco. In termini statistici, circa la metà circa degli utilizzatori muore per le conseguenze dirette del fumo.