Ce ne vorrà ancora per sostituire gli smartphone
Grandi aziende e startup presentano dispositivi con intelligenza artificiale, visori e anelli smart, ma nessuno convince ancora del tutto
Tra i dispositivi di cui si è parlato di più alla scorsa edizione del CES, la più grande fiera dell’elettronica di consumo al mondo, che si tiene a inizio gennaio a Las Vegas, c’è stato R1, un piccolo gadget prodotto da Rabbit, azienda quasi sconosciuta fino a poche settimane fa.
R1 è un dispositivo che promette di usare le intelligenze artificiali (IA) per compiere una serie di azioni su internet al posto dell’utente, che si limita a dare input vocali. Il sistema è stato definito da Rabbit un «Large Action Model», un gioco di parole sul concetto di “large language model” (o modello linguistico grande), con cui si indicano gli algoritmi linguistici alla base del funzionamento di ChatGPT, ad esempio. Invece di comporre messaggi scritti, Rabbit ha creato una tecnologia che sembra in grado di imparare singole azioni – come scegliere una canzone su Spotify o prenotare un passaggio in auto su Uber – e svolgerle quando l’utente lo richiede. Ad attirare l’attenzione di molti giornalisti presenti è stato inoltre il design del dispositivo, che ricorda un giocattolo o una vecchia console portatile.
Rabbit R1 è stato presentato pochi mesi dopo AI Pin, un gadget personale simile a una spilla, pensato per interagire con sistemi di intelligenza artificiale. Secondo Humane, l’azienda produttrice, all’utente basta indossarla per poter comunicare verbalmente col dispositivo senza il bisogno di smartphone. Dopo aver ricevuto nelle prime settimane molta attenzione da parte dei media, l’entusiasmo attorno ad AI Pin è scemato, visti i dubbi sulle sue capacità e il suo prezzo.
AI Pin costa 699 dollari e prevede un abbonamento da 24 dollari al mese al servizio Humane, che fornisce un numero di telefono e la copertura dati. La spilla funziona quindi esclusivamente se è collegata a internet e gran parte delle funzioni sono svolte da remoto, affidate a un servizio in cloud, che poi spedisce alla spilla il risultato finale: questo rallenta molto le interazioni tra l’utente e il dispositivo (vale anche per il caso di R1, che ha un prezzo più basso, 199 dollari, e non prevede alcun abbonamento).
Nonostante i dubbi sul modello di business alla base di R1, la Rabbit ha annunciato di aver venduto due serie da diecimila R1 in appena due giorni, superando le aspettative di molti.
Dubbi e criticità a parte, i due dispositivi hanno fatto molto discutere perché rappresentano una nuova tendenza nell’elettronica di consumo che vuole provare a superare – se non sostituire – gli smartphone. Questi prodotti nascono sia dal desiderio di diminuire il tempo che passiamo usando il telefono, sia per sfruttare le nuove potenzialità offerte dalle intelligenze artificiali. I dispositivi visti finora ruotano non a caso attorno al concetto di chatbot, i software di intelligenza artificiale che simulano le conversazioni umane, come ChatGPT, e cercano di trovare nuovi modi di interagirvi usando la voce o la fotocamera. In questo senso, però, più che superare lo smartphone, finiscono per somigliare a versioni potenziate di assistenti vocali come Alexa e Google Assistant.
Anche per questo molti analisti hanno messo in dubbio la loro effettiva utilità, e hanno sostenuto che sia R1 che Pin AI siano facilmente sostituibili da una app. Nel video di presentazione di Rabbit, ad esempio, il dispositivo viene usato per rispondere a domande sul valore delle azioni della Coca-Cola e sull’attore Cillian Murphy: nulla che non si possa fare con Alexa, Google Assistant o ChatGPT.
La funzionalità più discussa di R1 è però Rabbit Hole, con cui è possibile collegare il dispositivo ai profili personali dell’utente su Spotify, YouTube e altri siti e servizi. Sui social network ha fatto molto discutere il momento della presentazione in cui il fondatore Lyu ha prenotato un viaggio a Londra per tutta la famiglia precisando le date e le esigenze per l’alloggio. Pochi secondi dopo il dispositivo risponde proponendo alcune opzioni. Nel video, però, l’interazione successiva, quella più cruciale, non si vede: Lyu clicca tre volte “conferma” (non si sa su che cosa) e il viaggio è fissato. Al pubblico, però, non viene mostrato nulla. In un altro video circolato nei giorni scorsi, R1 impiega parecchi secondi per rispondere alla domanda di un utente su un oggetto che l’utente sta inquadrando con la fotocamera integrata.
Non sono solo startup di piccole dimensioni a provare a immaginare un futuro oltre gli smartphone. Questo mese anche Samsung ha annunciato a sorpresa la prossima uscita di Galaxy Ring, un nuovo prodotto nella categoria “non-smartphone” di cui si sa ancora poco: si tratta di un anello intelligente (o smart ring) pensato per l’attività fisica e il monitoraggio della salute e che potrebbe sfruttare anche le intelligenze artificiali. Pochi giorni dopo la presentazione di R1, inoltre, Apple ha presentato Apple Vision Pro, un visore per la realtà virtuale che l’azienda ha promosso sin da subito utilizzando il concetto di “spatial computing”, ritenuto più efficace e meno compromesso del metaverso o della realtà virtuale.
Nei video di presentazione del visore, gli utenti vengono mostrati mentre guardano un film su uno schermo enorme (e virtuale) o partecipano a videochiamate di lavoro. Secondo Bloomberg, il prodotto è parte di una nuova strategia di Apple per il 2024, che riguarderà Vision Pro ma anche Apple Watch e AirPods, tutti dispositivi «indossabili» che offrono esperienze diverse e alternative rispetto agli smartphone. Il focus su questo tipo di prodotti serve anche all’azienda per bilanciare le vendite dell’iPhone, che da qualche anno subiscono una leggera flessione (pur rimanendo il principale business per l’azienda).
La nuova strategia di Apple riguarda anche le IA, su cui l’azienda sta investendo molto pur mantenendo un approccio diverso da quello della concorrenza. Come ha scritto il sito Ars Technica, Apple vuole arrivare a produrre iPhone in grado di gestire internamente le intelligenze artificiali generative attraverso i suoi dispositivi mobili, senza ricorrere ai servizi cloud. Samsung e Google si sono già mosse in questa direzione con smartphone in grado di gestire internamente IA specializzate nella modifica delle fotografie, come nel caso dello smartphone di Google Pixel 8 e della sua funzione “Magic Editor”, con cui gli utenti possono fare grandi modifiche alle foto scattate.