I discendenti degli emigrati stanno mandando in crisi la giustizia civile in Veneto
Le oltre 12mila richieste di cittadinanza italiana presentate nel 2023 hanno intasato gli uffici giudiziari già a corto di funzionari
Nell’ultimo anno i tribunali del Veneto si sono trovati a dover gestire 12mila nuove richieste di cittadinanza arrivate dall’estero, in particolare dal Brasile, dove nell’Ottocento emigrarono decine di migliaia di veneti. È un numero molto più alto rispetto al passato e per questo i già pochi funzionari dei tribunali e della Corte d’Appello stanno faticando a smaltire le pratiche.
Secondo il presidente della Corte d’Appello Carlo Citterio è un problema grave, che rischia di rallentare o addirittura bloccare la giustizia civile: sabato scorso, durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, Citterio ha detto che vanno cambiate le regole ora troppo lasche. «È stato reso di fatto automatico il riconoscimento della cittadinanza pure a chi ha legami familiari molto remoti e nessun contatto con l’Italia: bisogna valutare l’opportunità di una eventuale, tempestiva, saggia rivisitazione della disciplina», ha detto Citterio.
In Italia è in vigore lo ius sanguinis (dal latino, “diritto di sangue”) attualmente normato da una legge del 1992: prevede che una persona è italiana solo se lo è almeno uno dei genitori. In base a questo principio, la legge riconosce come cittadini italiani tutti coloro che possano dimostrare di aver avuto un antenato italiano anche piuttosto lontano, anche se non sono mai stati in Italia e non parlano italiano.
Le cose non sono andate sempre così. Fino al 1948, infatti, la cittadinanza italiana si trasmetteva solo per via paterna. Quindi se una cittadina italiana aveva sposato uno straniero prima del 1948, i suoi figli e discendenti non potevano essere riconosciuti come cittadini italiani. L’entrata in vigore della Costituzione, nel 1948, garantì una maggiore parità di diritti e da quel momento lo ius sanguinis iniziò a valere anche per i figli di donne sposate con stranieri. Diverse sentenze hanno poi dimostrato che il diritto allo ius sanguinis è valido anche per i discendenti di donne italiane nati prima del 1948.
Moltissime delle richieste presentate nei tribunali del Veneto riguardano proprio cittadini brasiliani che chiedono la cittadinanza italiana dimostrando di aver avuto una lontana parente donna esclusa dallo ius sanguinis. In questi casi la richiesta non può essere gestita dai consolati all’estero, come avviene per le normali domande di cittadinanza, ma deve essere valutata da un tribunale italiano. Gli avvocati devono presentare documenti, certificati di matrimonio e di nascita per dimostrare che la linea familiare non è stata interrotta.
Ci si può rivolgere al tribunale anche quando i consolati non riescono a rispettare la scadenza di 730 giorni fissata per rispondere alla richiesta di cittadinanza. Soprattutto in Argentina e Brasile i tempi di attesa sono lunghissimi, fino a diversi anni, e per questo motivo molte persone ricorrono alla giustizia italiana.
Fino al 2021 il tribunale di Roma aveva una competenza esclusiva su queste pratiche, poi la gestione è passata ai tribunali del foro di nascita dell’antenato emigrato. Moltissime persone straniere si sono quindi rivolte ai tribunali del Veneto, terra di emigrazione. Tra il 1875 e il 1888 circa un milione di italiani emigrò in Brasile. Oltre 100mila acquistarono i lotti di terra messi in vendita a condizioni agevolate dal governo brasiliano nel Rio Grande do Sul. Erano prevalentemente veneti, ma anche lombardi e trentini.
– Leggi anche: Nel sud del Brasile c’è chi prova a tenere viva una lingua discendente dai dialetti veneti
Quando viene dimostrata la cittadinanza di una lontana o di un lontano parente, tutti i discendenti possono diventare italiani: secondo le stime della Corte d’Appello, le 12mila richieste presentate nel 2023 garantiranno la cittadinanza italiana potenzialmente a più di 100mila persone straniere. Il presidente della Corte d’Appello Carlo Citterio ha detto che tutte queste nuove cittadinanze non sono solo un problema organizzativo, ma anche politico. «Se il fenomeno dovesse estendersi, interferirebbe con la composizione del corpo elettorale e quindi anche dei quorum», ha detto.
La cittadinanza italiana è molto ambita soprattutto per il passaporto, uno dei più “forti” al mondo. Chi ha la cittadinanza italiana può spostarsi senza restrizioni nei paesi dell’Unione Europea e ha procedure agevolate per entrare negli Stati Uniti: il programma Visa Waiver consente di evitare il visto per fini turistici fino a 90 giorni. Il Brasile, invece, non ha un accordo simile con gli Stati Uniti.
Le richieste di cittadinanza sono un problema anche per i comuni che devono trascriverle nei registri comunali una volta concesse. I due impiegati dell’ufficio anagrafe in Val di Zoldo, un comune di 2.745 abitanti in provincia di Belluno, sono alle prese con 551 pratiche arretrate presentate da centinaia di neo cittadini italiani che vivono in Brasile. Per smaltire tutte queste pratiche il sindaco Camillo De Pellegrin è stato costretto a limitare i servizi agli abitanti. Fuori dall’ufficio anagrafe ha fatto mettere un cartello che dice:
L’erogazione dei servizi dell’ufficio demografico subirà un rallentamento al fine di dar corso alle sentenze di riconoscimento di cittadinanza in favore di cittadini italo-brasiliani e alle trascrizioni che provengono dai consolati. I nuovi orari di apertura al pubblico verranno comunicati a breve.
De Pellegrin ha detto che il problema non riguarda solo il comune di Val di Zoldo, ma che ci sono decine di comuni veneti con centinaia di pratiche arretrate: «Dobbiamo dare priorità alle pratiche dei cittadini italo-brasiliani per scongiurare di esporre il comune a ricorsi, denunce o richieste di risarcimento».