Cosa sappiamo di questo “Piano Mattei per l’Africa”
Ancora poco: il governo ne parla spesso ma finora ha riproposto alcuni progetti già presentati, e anche i soldi provengono da fondi esistenti
Fin dal suo insediamento nell’ottobre del 2022, il governo di destra guidato da Giorgia Meloni ha ribadito la volontà di avviare un nuovo piano di cooperazione internazionale tra l’Italia e l’Africa. L’obiettivo era già contenuto nel programma elettorale di Fratelli d’Italia per le elezioni politiche del settembre del 2022, e Meloni dedicò al progetto un intero passaggio del suo primo intervento in parlamento, necessario a ottenere la fiducia per la nascita del governo. Meloni ha sempre definito l’iniziativa “Piano Mattei per l’Africa”: è un’espressione ripetuta molte volte negli ultimi mesi, ma di cui ancora si conosce poco dal punto di vista pratico.
Il riferimento è a Enrico Mattei, importantissimo dirigente pubblico italiano tra la fine della Seconda guerra mondiale e l’inizio degli anni Sessanta, a capo prima dell’AGIP (l’Azienda generale italiana petroli) e poi dell’ENI (Ente nazionale idrocarburi). Riferirsi a lui serve a Meloni soprattutto per comunicare la volontà di fondare gli accordi di cooperazione con i paesi africani non su «modelli predatori» ma su forme di «collaborazione paritaria», due espressioni che ha usato spesso per descrivere il progetto.
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta Mattei influenzò molto la politica energetica dell’Italia e ispirò in parte anche la politica estera di vari governi dell’epoca. Alla base dei suoi piani industriali c’era il principio per cui i paesi africani e asiatici dotati di giacimenti petroliferi con cui l’ENI faceva affari dovessero a loro volta guadagnare da questa cooperazione. Grazie a questo approccio, che rifiutava le logiche colonialiste, Mattei riuscì a garantire una certa fortuna all’ENI sul mercato globale degli idrocarburi, riuscendo a reggere la competizione con aziende concorrenti britanniche, americane e francesi molto più grandi e strutturate.
Fin dal suo insediamento Meloni sta puntando molto sul cosiddetto “Piano Mattei”, da un punto di vista perlopiù comunicativo: nella pratica i contenuti e i dettagli del piano non sono ancora stati chiariti. Per mesi se ne è parlato in maniera vaga, anche se lo staff della presidente del Consiglio precisava che era in corso una costante attività diplomatica finalizzata proprio a porre le basi dei vari accordi. Meloni si è effettivamente spesa molto nella costruzione di buone relazioni con vari leader africani. Ha fatto anche tre importanti viaggi nel continente: a gennaio del 2023 in Algeria, ad aprile in Etiopia, e poi a ottobre dello stesso anno in Mozambico e in Congo.
Anche sul piano della propaganda, Fratelli d’Italia ha valorizzato molto la portata del “Piano Mattei”, scegliendo dunque di puntare su un argomento solitamente poco sfruttato in termini elettorali nel nostro paese, e cioè la politica estera.
In un fascicolo realizzato dai gruppi parlamentari del partito nel settembre del 2023 per celebrare i risultati ottenuti dal governo nel primo anno di attività, al “Piano Mattei” si dedicava una pagina, in cui c’era scritto che anche grazie a un nuovo modello di cooperazione con l’Africa l’Italia sarebbe tornata «tra i grandi sul piano internazionale» e «con una visione chiara: aumentare la stabilità e la prosperità per tutti con un’attenzione privilegiata al Sud globale e al Mediterraneo». In un analogo documento pubblicato dalla presidenza del Consiglio poche settimane dopo per il primo anno di governo, sul “Piano Mattei” si diceva che era «in corso di definizione un articolato piano di cooperazione internazionale al fine di rilanciare l’Italia quale hub [centro, ndr] energetico nel Mediterraneo».
Col passare dei mesi si è capito che il “Piano Mattei” non avrebbe contemplato solo progetti ex novo, ma avrebbe compreso anche iniziative già avviate in passato. Gli accordi con l’Algeria per garantire l’approvvigionamento di gas naturale all’Italia e all’Europa dopo la sospensione dei rifornimenti energetici dalla Russia, per esempio, erano già stati definiti nell’aprile del 2022 dal precedente presidente del Consiglio, Mario Draghi. Alcuni dei progetti di cooperazione e sviluppo da attuare in Africa col sostegno dell’Eni, inoltre, erano già previsti nei piani industriali dell’azienda prima della definizione del “Piano Mattei” (come la produzione di biocarburanti in Kenya). E lo stesso vale per altri finanziamenti già previsti da diversi piani per la cooperazione e lo sviluppo per l’Africa, che ammontano annualmente a varie centinaia di milioni di euro (per esempio il Fondo migrazioni, il Fondo africano di sviluppo e alcuni investimenti definiti da accordi bilaterali con i singoli stati del continente).
Il 3 novembre scorso il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge dedicato al “Piano Mattei”, ma anche in quel caso non c’era alcun accenno a progetti concreti. Il provvedimento ha invece sostituito gli organismi direttivi del futuro piano, che ha una durata prevista di quattro anni. In particolare è stata creata una cosiddetta “cabina di regia”, come vengono definiti in questi casi gli organi di indirizzo, presieduta dalla presidente del Consiglio e composta dal ministro degli Esteri, che ha funzioni di vice presidente, da tutti i ministri coinvolti nei progetti e da dirigenti e rappresentanti delle aziende pubbliche e delle istituzioni che collaboreranno per la loro realizzazione.
La cabina di regia dovrà scrivere una relazione sullo stato di attuazione del piano da sottoporre al parlamento entro il 30 giugno di ogni anno. È stata istituita anche una “struttura di missione”, insediata sempre presso la presidenza del Consiglio: sarà composta da almeno 19 funzionari, dovrà seguire l’avanzamento dei lavori e fornire indicazioni e suggerimenti a Meloni. Come coordinatore della struttura è stato nominato dal governo Fabrizio Saggio, ex ambasciatore italiano in Tunisia e consigliere diplomatico di Meloni dal dicembre scorso.
Durante la conferenza stampa di fine anno, il 4 gennaio del 2024, Meloni aveva detto che il “Piano Mattei” era «più avanti di quanto sembri», ma si era rifiutata di parlare nei dettagli dei singoli progetti, aggiungendo che l’occasione giusta per farlo sarebbe stata la Conferenza Italia-Africa organizzata dal governo per fine gennaio. La conferenza era stata inizialmente programmata per il novembre del 2023, ma poi rinviata a seguito dell’inizio della guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza.
La conferenza si è svolta domenica 28 e lunedì 29 gennaio. È stata aperta con una cena istituzionale al Quirinale, la sede della presidenza della Repubblica: ha partecipato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha tenuto un discorso di benvenuto in occasione del brindisi inaugurale. Lunedì c’è stata la vera sessione dei lavori, che si è svolta al Senato. Nell’intervento d’apertura Meloni ha comunicato i primi dati e ha detto che il “Piano Mattei” «può contare su una dotazione iniziale di oltre 5,5 miliardi di euro tra crediti, operazioni a dono e garanzie, dei quali circa tre miliardi verranno destinati dal Fondo italiano per il clima, e circa due miliardi e mezzo dalle risorse della cooperazione allo sviluppo». Ci saranno dunque sia donazioni sia prestiti. Sembra però che il governo abbia deciso di spostare sul “Piano Mattei” risorse già previste da altri fondi, senza aumentare realmente gli stanziamenti finanziari complessivi.
Il Fondo italiano per il clima fu istituito dal governo Draghi con la legge di bilancio per il 2022. Serviva per finanziare interventi per raggiungere gli obiettivi stabiliti dagli accordi internazionali sul clima a cui l’Italia aveva aderito: furono inizialmente stanziati 840 milioni all’anno tra il 2022 e 2026, per un totale di 4,2 miliardi, e poi 40 milioni all’anno a decorrere dal 2027. Secondo le nuove indicazioni presentate da Meloni il fondo dovrebbe essere ridotto di oltre il 70 per cento della sua portata, e non è chiaro se e in che modo verrà poi rifinanziato.
Quanto alle risorse per la cooperazione e lo sviluppo, queste ammontano nel complesso a circa 4,5 miliardi di euro all’anno. Attualmente l’Italia è sedicesima tra i 35 paesi occidentali cha aderiscono all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE): spende in cooperazione e sviluppo lo 0,29 per cento del reddito nazionale lordo (un indicatore che si usa per calcolare la ricchezza di un paese), una soglia ben al di sotto dell’obiettivo concordato in sede OCSE dello 0,7 per cento, requisito rispettato invece da Germania, Svezia, Danimarca, Norvegia e Lussemburgo.
Meloni ha indicato alcuni dei progetti inclusi nel piano. Ha citato la realizzazione di «un grande centro di eccellenza per la formazione professionale sul tema delle energie rinnovabili» in Marocco: missione a cui da anni lavora la fondazione RES4Africa, fondata nel 2012 e sostenuta da grandi aziende pubbliche e private tra cui Enel, Terna, Intesa Sanpaolo e PwC. Ha citato anche un impegno in Costa d’Avorio per migliorare l’accesso ai servizi sanitari, «un progetto di monitoraggio satellitare sull’agricoltura» in Algeria, la costruzione di un centro agroalimentare in Mozambico, il sostegno alla produzione di grano, mais, soia e girasole in Egitto, la realizzazione di impianti di depurazione delle acque in Tunisia (programma finanziato già nel 2020 da Eni).
Meloni ha parlato anche della «riqualificazione infrastrutturale delle scuole» in Tunisia, dove Eni è attiva già da anni con vari progetti proprio sulla ristrutturazione delle scuole e sulla loro alimentazione tramite fonti rinnovabili. Coincide per lo più con un programma di Eni anche il progetto in Kenya «dedicato allo sviluppo della filiera dei biocarburanti», illustrato brevemente da Meloni.
Non è così sorprendente che molti dei progetti inclusi nel “Piano Mattei” seguano investimenti avviati da Eni, che è un’azienda che ha enormi interessi in diversi paesi dell’Africa e che spesso, proprio in virtù di questa sua influenza, svolge una funzione di sostegno e di indirizzo della politica estera italiana nella regione.
Meloni ha riservato un passaggio all’interconnessione elettrica ELMED tra Italia e Tunisia, ovvero la costruzione di un cavo sottomarino di 220 chilometri a cui lavorano Terna, la società pubblica italiana responsabile della trasmissione dell’energia elettrica, e l’omologa tunisina Steg. Per la sua realizzazione la Banca mondiale ha stanziato di recente quasi 270 milioni di dollari in favore della Tunisia. Un altro progetto citato da Meloni è il “Corridoio H2 Sud”, che prevede la realizzazione di migliaia di chilometri di condotti per portare l’idrogeno dal Nord Africa all’Europa tramite l’Italia: l’opera coinvolge l’azienda pubblica SNAM (Società nazionale metanodotti), nel contesto di una strutturata di cooperazione tra l’Italia e la Germania.
Nel complesso il “Piano Mattei” appare al momento come una sorta di cornice all’interno della quale vengono inseriti progetti già in programma da tempo e su cui varie importanti aziende pubbliche avevano investito. Sembra quindi che il Piano abbia principalmente l’obiettivo di coordinare questi obiettivi e di assegnare loro maggior prestigio proprio grazie all’impegno politico del governo.
Proprio per questo Meloni ha parlato della valenza politica della Conferenza Italia-Africa e dell’importanza dell’incontro diplomatico, organizzato dal governo come evento inaugurale del suo anno di presidenza di turno del G7, la riunione informale dei sette paesi occidentali più industrializzati (Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Italia, Francia, Germania e Giappone).
La prima conferenza annuale Italia-Africa fu organizzata nel 2017 su iniziativa del governo di Paolo Gentiloni, ma finora i vari Stati africani erano rappresentati perlopiù dai ministri degli Esteri, mentre quest’anno hanno partecipato anche capi di Stato o di governo: «È la prima volta che la Conferenza Italia-Africa, che in passato si è sempre tenuta a livello ministeriale, sia stata elevata a Vertice e veda la partecipazione dei capi di stato e di governo. Anche questa è una scelta che ribadisce la centralità e la rilevanza che l’Italia attribuisce al rapporto con le Nazioni africane», ha detto Meloni.
Dei 54 Paesi africani invitati, in 21 hanno inviato capi di Stato o di governo. Sono arrivati a Roma 13 presidenti (quelli di Tunisia, Repubblica del Congo, Zimbabwe, Eritrea, Senegal, Repubblica centrafricana, Guinea Bissau, Mauritania, Somalia, Comore, Kenya, Mozambico, Ghana) e otto primi ministri (Libia, Etiopia, Capo Verde, Uganda, Gibuti, Ruanda, Eswatini, Marocco, Sao Tome e Principe). Hanno partecipato anche cinque vicepresidenti, e il resto dei paesi sono stati rappresentati o da singoli ministri e viceministri, oppure dai loro ambasciatori o vice ambasciatori in servizio in Italia. La scelta che un paese fa nel decidere come partecipare a un evento del genere indica il grado di convinzione con cui intende aderire all’iniziativa: più è basso l’incarico del rappresentante delegato, minore è la condivisione del progetto.
Otto paesi invece hanno deciso di non partecipare: Niger, Nigeria, Gabon, Guinea, Liberia, Mali e Burkina Faso. Sono principalmente Stati della fascia del Sahel, una regione a sud del deserto del Sahara che negli ultimi anni è stata interessata da forti instabilità politiche, con colpi di Stato, guerre e rivolte, e su cui è molto forte l’influenza diplomatica e militare della Russia.
Alla conferenza hanno partecipato poi i rappresentanti di vari istituti internazionali con ruoli importanti nei progetti di cooperazione e sviluppo in Africa: dall’OCSE alla Banca mondiale, dall’UNICEF all’UNESCO, dalle Nazioni Unite alla Banca europea degli investimenti fino al Fondo monetario internazionale. C’erano anche rappresentanti delle istituzioni europee: la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola. Von der Leyen ha espresso apprezzamento per il “Piano Mattei”, descrivendolo come un piano che si integra perfettamente con il Global gateway europeo, un progetto di sviluppo delle reti e delle energie rinnovabili promosso dalla Commissione Europea, e inaugurato con una serie di investimenti per la cooperazione con l’Africa dal valore complessivo di 150 miliardi di euro.