Cosa ci insegnano questi pappagalli, oltre alle parolacce
Da alcuni individui che non risparmiano insulti in uno zoo in Inghilterra possiamo imparare qualcosa sul comportamento animale
Da qualche tempo otto pappagalli stanno dando qualche grattacapo ai responsabili di uno zoo nel Lincolnshire, in Inghilterra. Billy, Elsie, Jade e i loro cinque compagni di voliera hanno imparato a dire le parolacce e le pronunciano non appena avvistano un essere umano. In alcuni casi sono insulti e in altri imprecazioni, non molto adatte ai visitatori più piccoli che ogni giorno esplorano il Lincolnshire Wildlife Park.
Il problema dura da diversi anni e tempo fa aveva portato all’isolamento dei pappagalli, ma senza successo. Ora i responsabili dello zoo vogliono provare l’esatto contrario: far convivere gli otto pappagalli con decine di altri loro simili che non dicono parolacce, nella speranza che in questo modo imparino per imitazione le buone maniere. L’iniziativa ha portato nuovo interesse e curiosità, che il parco zoologico sta cercando di sfruttare per farsi un po’ di pubblicità, ma è anche una buona occasione per scoprire qualcosa sul comportamento animale.
Molte specie di pappagalli sono famose per essere “parlanti”, cioè in grado di imitare il suono delle parole che pronunciano gli esseri umani. In realtà, ci sono moltissime altre specie di uccelli diverse dai pappagalli che riescono ugualmente a riprodurre il modo in cui parliamo, a volte sviluppando un vocabolario piuttosto esteso che può comprendere centinaia di parole. I meccanismi di produzione dei versi simili alle nostre parole variano da specie a specie, mentre a oggi non è chiaro se alcuni uccelli maturino o meno una certa comprensione del linguaggio e se riescano quindi ad associare alcune parole a oggetti o azioni.
Gli uccelli non hanno corde vocali, di conseguenza producono i suoni utilizzando altri muscoli che hanno in gola o facendo vibrare alcune membrane. I suoni vengono prodotti soprattutto attraverso la siringe, che si trova nella biforcazione della trachea, quando questa si divide in due ramificazioni principali per raggiungere i polmoni. Dimensioni e proporzioni della siringe variano a seconda della grandezza massima che raggiunge ogni specie e questo incide sulla capacità di produrre le vibrazioni. Gli uccelli non hanno inoltre le labbra, cosa che limita ulteriormente la loro possibilità di produrre particolari suoni.
Gli uccelli utilizzano i loro versi per comunicare e in molte specie i piccoli imparano a farlo per imitazione, provando cioè a riprodurre quello che sentono dai loro genitori oppure da altri individui adulti. La capacità di imitare i suoni rimane anche dopo la crescita e fa sì che a volte gli uccelli riproducano versi che normalmente non sentono nel loro stormo, ma che provengono da altre fonti. Lo fanno magari imitando i versi di altri animali, oppure nei contesti urbani riprendendo i rumori prodotti dalle attività umane. In alcuni casi, l’imitazione riguarda proprio la nostra voce.
I pappagalli e gli uccelli canori imparano a imitare la nostra voce più di altri tipi di uccelli. Ciò deriva sia da alcune delle loro caratteristiche anatomiche, sia dal fatto che questi animali vivono con maggiore probabilità a contatto con esseri umani (sono spesso animali da compagnia); per quanto riguarda i pappagalli, le capacità variano molto a seconda della specie.
Tra i più abili ci sono sicuramente i pappagalli cenerini (Psittacus erithacus), la cui specie è nativa dell’Africa centrale e che viene spesso tenuta in cattività. Questi uccelli arrivano a misurare fino a 33 centimetri di lunghezza e sono facilmente riconoscibili grazie al loro piumaggio per lo più grigio, come del resto suggerisce il nome.
Gli otto pappagalli che dicono parolacce del Lincolnshire Wildlife Park appartengono a questa specie e alcuni di loro si erano già fatti notare alcuni anni fa, quando avevano iniziato a pronunciare insulti ed esclamazioni colorite di vario tipo. Cinque di loro erano stati donati allo zoo nell’estate dal 2020, da alcune persone che in precedenza li avevano allevati in casa. I pappagalli avevano trascorso un periodo in quarantena per assicurarsi che non avessero malattie tali da mettere a rischio i 200 pappagalli che già facevano parte del parco. Gli era scappata qualche parolaccia, ma si pensava che una volta liberati in voliere più grandi e con maggiori distrazioni avrebbero smesso. Le cose andarono diversamente e i responsabili dello zoo decisero di separare i nuovi arrivati in zone del parco meno frequentate dai visitatori.
Negli anni seguenti chi visitava il parco non avrebbe comunque mostrato di essere infastidito dagli insulti, dicendo anzi di trovare la cosa divertente. Per precauzione, lo zoo aveva comunque affisso alcuni cartelli per ricordare che alcuni pappagalli si sarebbero potuti comportare in modi imprevedibili, in alcuni casi utilizzando parole molto esplicite e che potevano suonare come insulti diretti verso i visitatori.
Steve Nichols, l’amministratore delegato del Lincolnshire Wildlife Park, ha detto che oggi nello zoo i pappagalli che dicono parolacce sono otto e che dopo avere provato l’isolamento sarà tentato un nuovo approccio. I pappagalli saranno collocati in una voliera con diversi altri loro simili, nella speranza che rimanendo immersi in un ambiente sonoro fatto di versi più naturali imparino per imitazione a produrli lasciando perdere le parolacce. Il rischio che siano invece gli altri pappagalli a imitare i versi dei nuovi arrivati è relativamente basso, perché di solito gli uccelli imparano dagli esseri umani senza che trasmettano poi i nuovi versi ad altri simili.
A conferma del ruolo degli esseri umani nella questione, Nichols ha fatto l’esempio di una signora che tempo fa aveva portato allo zoo il proprio pappagallo con l’intenzione di donarlo. Aveva spiegato che nel corso degli anni suo marito aveva insegnato al pappagallo a ripetere ogni tipo di parolaccia, e quindi di fare attenzione. Nichols si era però accorto che le cose erano un po’ diverse: «Fu abbastanza semplice scoprire che la signora non stava dicendo tutta la verità, quando il pappagallo iniziò a dire parolacce imitando la sua voce».
La storia dei pappagalli del Lincolnshire Wildlife Park nei giorni scorsi è stata molto ripresa da siti di notizie, giornali e social, del resto lo stesso zoo aveva suscitato il medesimo interesse alcuni anni fa alla notizia delle prime parolacce pronunciate da alcuni dei suoi ospiti. Nel corso di un recente collegamento televisivo con BBC News, Nichols ha raccontato la situazione nelle vicinanze delle voliere e a un certo punto si è dovuto spostare, proprio perché uno dei pappagalli aveva iniziato a pronunciare insulti e parolacce.
A oggi non c’è un consenso scientifico sul perché alcuni uccelli imitino la voce umana, anche perché cause e spiegazioni possono variare sensibilmente a seconda delle specie coinvolte. Nel caso dei pappagalli è comunque noto che singole popolazioni di questi animali sviluppano un proprio dialetto, cioè un modo particolare e specifico di produrre alcuni suoni e vocalizzazioni. La funzione principale è di consentire a ogni individuo di riconoscere i propri simili appartenenti alla medesima popolazione. Si è per esempio osservato che gli uccelli di una stessa popolazione interagiscono molto di più tra loro, ignorando o allontanando gli individui che non ne fanno parte.
Da queste osservazioni si è ipotizzato che un pappagallo in cattività, soprattutto in ambiente domestico, inizi a imitare le voci degli umani che lo accudiscono per sentirsi un membro di quella piccola popolazione. Parole ricorrenti e molto distinguibili vengono interpretate come versi peculiari e di conseguenza imitati. In molti casi le parole più ricorrenti sono esclamazioni colorite, che i pappagalli imparano a ripetere. Questo comportamento è spesso incentivato da chi li accudisce, magari attraverso piccole ricompense di cibo quando imitano una determinata parola nel modo corretto.
Non è chiaro se i pappagalli imitino le parole semplicemente per come le sentono o se le utilizzino in maniera più complessa, come una loro forma di linguaggio. L’opinione prevalente ricade sulla prima ipotesi, ma negli anni sono stati svolti esperimenti anche sorprendenti con alcuni uccelli, che hanno mostrato particolari forme di intelligenza.
Uno dei casi più noti, soprattutto grazie alla grande visibilità che ottenne sui mezzi di comunicazione, fu quello di Alex, un pappagallo cenerino che secondo la ricercatrice statunitense Irene Pepperberg aveva la capacità di capire alcuni concetti, come le differenze tra “grande” e “piccolo” oppure tra “uguale” e “diverso”. Pepperberg aveva condotto diversi esperimenti segnalando che Alex fosse in grado di identificare gli oggetti a seconda delle loro forme, distinguendo quindi un triangolo o un quadrato in base al numero di angoli. Pronunciava inoltre le parole di alcuni dei materiali che costituivano gli oggetti che gli venivano presentati, riuscendo a dare risposte corrette in media nell’80 per cento dei casi.
Alex morì nel settembre del 2007 e gli studi di Pepperberg furono a lungo discussi, sia per i metodi che aveva utilizzato per “istruire” il pappagallo sia per i risultati che sosteneva di avere raggiunto. Per alcuni suoi lavori fu ipotizzato che si potesse essere verificato qualcosa di simile a quanto era accaduto all’inizio del Novecento con Hans, il “cavallo intelligente” che si pensava riuscisse a effettuare da solo operazioni aritmetiche comunicando i risultati dei calcoli battendo o indicando con il proprio zoccolo. Si scoprì in seguito che in realtà Hans rispondeva semplicemente ad alcuni segnali involontari del linguaggio del corpo del suo addestratore, dando di conseguenza le giuste risposte.
Gli otto pappagalli nello zoo nel Lincolnshire non hanno mostrato di avere le stesse capacità di Alex, che in compenso non sembra avesse imparato parolacce e insulti. Nei prossimi mesi si scoprirà se la strategia di metterli insieme a molti loro simili nella voliera porti a qualche risultato, o per lo meno all’apprendimento di qualche altro rumore, come ha detto Nichols: «Abbiamo 30 uccelli che imitano il “beep-beep” che fanno i camion in retromarcia. Magari impareranno a fare quello e a imprecare di meno».