La grande ossessione degli Slam
Vincerli è la massima aspirazione di ogni tennista e nel tennis tutto ruota intorno a loro, i quattro tornei più importanti e prestigiosi
di Riccardo Congiu
Nel tennis ci sono quattro tornei che valgono molto più di tutti gli altri: i tornei del cosiddetto Grande Slam, anche detti semplicemente “Slam” o “Major”. Sono la massima ambizione di ogni tennista e i quattro appuntamenti attorno a cui ruota tutta la stagione tennistica, per ragioni storiche, economiche e sportive. Sono anche quelli seguiti occasionalmente dai non appassionati, o comunque quelli il cui nome potrebbe risultare familiare anche a chi non si interessa di tennis: Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e US Open.
I risultati negli Slam sono la misura della bravura di un tennista: sono quasi sempre il primo dato che si cita per dare la dimensione del livello di un giocatore o di una giocatrice. «Ha fatto un quarto di finale a Wimbledon», per esempio, è un modo per dire che un tennista ha avuto una carriera di buon livello. Tra gli uomini, Novak Djokovic, Rafael Nadal e Roger Federer sono considerati i tennisti più forti di tutti i tempi perché ne hanno vinti più di chiunque altro (rispettivamente 24, 22 e 20), così come la statunitense Serena Williams è considerata la più forte tennista di tutti i tempi per aver stabilito il record di 23 vittorie negli Slam (nella cosiddetta “Era Open”, ci torniamo più avanti).
Capita che ai tennisti venga chiesto se preferiscano diventare i numeri 1 del ranking mondiale o vincere uno Slam, e la risposta è sempre molto simile a quella che ha dato di recente il norvegese Casper Ruud (che ha perso tre finali Slam ed è andato molto vicino alla posizione numero uno): «Se diventassi il numero uno senza aver vinto uno Slam mi sentirei un po’ strano».
I tennisti più promettenti sono sempre molto sotto pressione rispetto a quando vinceranno il loro primo Slam, che per l’opinione pubblica corrisponde alla consacrazione, il momento in cui davvero potranno essere considerati forti. Fino a poco tempo fa in molti si chiedevano perché Jannik Sinner – l’italiano campione degli Australian Open 2024 – ancora non avesse vinto uno Slam, se davvero era così promettente. A mettergli ulteriore pressione aveva contribuito anche il fatto che lo spagnolo Carlos Alcaraz, considerato insieme a lui il giovane più forte del circuito, aveva vinto il primo Slam a 19 anni.
Roger Federer per esempio vinse il suo primo Slam a 22 anni (come Sinner), nel 2003, ma prima che ci arrivasse il suo talento era molto dibattuto perché ogni volta che ci andava vicino finiva per perdere, al punto che cominciarono a chiamarlo “il miglior tennista al mondo a non aver mai vinto uno Slam”. Nei sette anni tra il 2003 e il 2009 ne avrebbe vinti 15, un record mai eguagliato.
È forse anche per via di tutte queste pressioni che la reazione più frequente dei tennisti che vincono l’ultimo punto della finale di uno Slam è quella di lasciarsi cadere a terra, sollevati e sfiniti, prima ancora che felici. L’austriaco Dominic Thiem, campione degli US Open nel 2020, dopo quella vittoria non riuscì a ripetersi ad alti livelli l’anno successivo, uscì dai primi cento al mondo in classifica (oggi è 92esimo) e per 14 mesi non vinse nemmeno una partita. Lui stesso disse che la pressione vissuta per arrivare a vincere uno Slam lo aveva consumato psicologicamente: «Quando passi la vita intera a perseguire un obiettivo che condiziona tutto, una volta che lo hai raggiunto cambia la prospettiva».
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In una stagione di tennis ci sono una sessantina di tornei oltre agli Slam, alcuni dei quali si giocano in contemporanea in diverse parti del mondo. Quando si giocano gli Slam però il resto del circuito si ferma: tutti i migliori giocatori e le migliori giocatrici al mondo sono chiamati a partecipare, gli altri possono provare a entrarci attraverso un lungo torneo di qualificazione, a sua volta un evento di qualche rilevanza, almeno per gli appassionati. Altri ancora vengono invitati dal torneo con le cosiddette wild card, una sorta di invito speciale accordato a tennisti e tenniste che non avrebbero i requisiti di classifica per partecipare, per esempio perché troppo giovani o perché appena rientrati da un infortunio.
Alla fine i posti in tabellone sono 128, sia per il maschile che per il femminile. I primi 32 dei rispettivi ranking mondiali vengono disposti nel tabellone in modo che non possano incontrarsi prima del terzo turno, così da garantire partite tra i tennisti più forti e attesi il più avanti possibile nel torneo. È un meccanismo che tende a favorire i più forti e già affermati, escludendo gli altri, e questo rende quasi proibitivo scalfire le gerarchie. Vincono il torneo l’unico giocatore e l’unica giocatrice che riescono a vincere 7 partite consecutive in quattordici giorni: tantissime.
Per gli uomini gli Slam si distinguono da tutti gli altri tornei anche nel punteggio: sono gli unici in cui si gioca al meglio dei 5 set (vince cioè il primo che arriva a tre), invece che al meglio dei 3 set. È una regola che genera partite lunghissime ed estenuanti, ma anche epiche e spettacolari, che poi finiscono per diventare le più ricordate dal pubblico. Per i tennisti invece rende ancora più faticoso vincere il torneo, perché serve combinare eccezionali doti atletiche e mentali: una partita in 5 set può durare anche diverse ore, e per vincere oltre alla resistenza fisica serve anche una grande solidità psicologica.
Fino a qualche anno fa poi sia gli incontri maschili che quelli femminili negli Slam non prevedevano che nel set decisivo ci fosse il tie-break, il game speciale che si disputa sul 6-6 per decidere chi vince un set (i game sono le frazioni in cui è suddiviso un set). Prima nei set decisivi sul 6-6 si andava a oltranza, e questo poteva produrre partite ancora più lunghe. Questa regola è stata abolita del tutto nel 2022, ma gli Slam hanno comunque mantenuto una loro particolarità, come spesso gli capita: nei tie-break dei set decisivi si arriva a 10, invece dei soliti 7.
Gli Slam sono i tornei che garantiscono di gran lunga il maggior numero di punti in classifica per chi vince, duemila (i tornei più importanti dopo gli Slam, i Masters 1000, ne danno la metà), e naturalmente anche quelli col montepremi in denaro più alto. Vincendo la finale degli Australian Open per esempio Sinner ha ottenuto quasi 2 milioni di euro. Anche il solo fatto di accedere al tabellone dà ai giocatori un premio in denaro: agli Australian Open del 2024 era l’equivalente di circa 19mila euro, che diventavano 72mila per chi vinceva la prima partita.
Tutti questi sono i motivi più pratici per cui le stagioni dei tennisti vengono organizzate intorno ai quattro tornei del Grande Slam: anche solo vincere una partita in una di queste competizioni può assicurare un guadagno prezioso per tutta la stagione, sia in termini di punti in classifica (scalare posizioni significa tra le altre cose poter partecipare ai tornei più importanti), sia in termini economici.
Ogni tennista deve pagare un folto staff che lo segua in giro per il mondo, e se si escludono i più forti ci sono molti tennisti che dal punto di vista economico dipendono fortemente dai loro risultati. In questo senso gli Slam sono anche i tornei più democratici, per certi versi: possono partecipare più tennisti e una singola vittoria può rilanciare una carriera ad alti livelli. È anche per questo che negli Slam vengono fuori più spesso che negli altri tornei storie a cui il pubblico si appassiona: tennisti sconosciuti o di bassa classifica che ne battono altri molto più forti, esordienti che arrivano sorprendentemente avanti, eccetera.
I tennisti perciò impostano la stagione in modo da arrivare nel miglior stato di forma possibile per gli Slam, e chi può cerca di avere almeno una settimana di riposo prima che comincino. Nel periodo dell’anno intorno a uno Slam tutta l’attenzione è talmente schiacciata su quell’evento che i tornei precedenti vengono definiti spesso «tornei di preparazione» allo Slam.
Alla fine però a vincere è una cerchia molto ristretta di tennisti e tenniste (tolta qualche sorpresa eccezionale): nel tennis maschile poi negli ultimi vent’anni lo è stata particolarmente, con Djokovic, Nadal e Federer che in tre hanno vinto 66 degli 83 Slam giocati tra il 2003 e il 2023.
I tornei del Grande Slam sono i più prestigiosi perché nacquero come “campionati internazionali” organizzati dalle quattro federazioni dei primi quattro paesi che tra gli anni Venti e Trenta vinsero la Coppa Davis, la principale competizione di tennis a squadre per nazionali. Australia, Francia, Regno Unito e Stati Uniti rimasero gli unici paesi ad aver vinto la Davis fino al 1974. Sono anche fra i tornei più antichi del tennis, e Wimbledon in particolare è il più antico in assoluto (e per questo anche il più prestigioso): venne disputato per la prima volta nel 1877.
Fino agli anni Settanta tre Slam su quattro si giocavano sull’erba, solo il Roland Garros sulla terra rossa (ancora oggi è così). Nel 1974 gli US Open passarono al cemento, anche per differenziarsi dagli altri, e fecero lo stesso gli Australian Open nel 1987. Nella loro organizzazione attuale, il primo Slam dell’anno sono sempre gli Australian Open, le ultime due settimane di gennaio, poi c’è il Roland Garros tra maggio e giugno, Wimbledon tra giugno e luglio e infine gli US Open tra agosto e settembre.
Negli anni il loro prestigio si è consolidato, e le federazioni nazionali che le organizzano si sono associate e hanno lavorato per aumentarlo e mantenerlo, applicando una linea conservatrice in uno sport in cui peraltro le tradizioni e le solennità sono da sempre una parte integrante. Gli Slam sono gli unici tornei del circuito professionistico non organizzati da ATP e WTA, le associazioni mondiali di tennis maschile e femminile. Hanno quindi una propria organizzazione, un regolamento interno di condotta e prendono decisioni congiunte, talvolta anche in contrasto con ATP e WTA. “Grand Slam”, in inglese, è un marchio registrato.
“Grande Slam” è anche il nome della massima impresa sportiva che può realizzare un tennista, cioè la vittoria consecutiva di tutti i 4 Slam in un solo anno: Djokovic ci andò vicino nel 2021, vincendo i primi tre della stagione per poi perdere in finale contro il russo Daniil Medvedev agli US Open. Fu una partita giocata con una tensione senza precedenti, nel mezzo della quale Djokovic si mise anche a piangere sotto un asciugamano durante una pausa.
Solo tre giocatori sono riusciti a realizzare un Grande Slam nella cosiddetta “Era Open”, quella che comincia nel 1968, quando il tennis dilettantistico e quello professionistico vennero unificati. Il primo fu l’australiano Rod Laver nel 1969, la seconda un’altra australiana nel 1970, Margaret Court. Ma in quegli anni per i tennisti di altri paesi era molto difficile raggiungere l’Australia, e molti rinunciavano così agli Australian Open. La terza fu invece la tedesca Steffi Graf nel 1988. In quell’anno Graf vinse anche l’oro olimpico nel tennis a Seul, diventando l’unica tennista della storia a realizzare il cosiddetto “Golden Slam”, o in italiano “Grande Slam d’oro”.
Serena Williams invece vinse per due volte in carriera quattro Slam consecutivi, ma non nello stesso anno. Nel 2002 vinse Roland Garros, Wimbledon, US Open e poi il successivo Australian Open del 2003, mentre nel 2014 vinse gli US Open e poi i primi tre Slam dell’anno successivo. Questa striscia di vittorie divisa su due anni, comunque eccezionale, venne chiamata Serena Slam, e tra il 2015 e il 2016 riuscì anche a Djokovic (in passato lo avevano fatto una volta ciascuna anche Martina Navratilova e Steffi Graf).