Accedere al nuovo sussidio contro la povertà è più difficile, anche per colpa dell’inflazione
I redditi e le pensioni sono leggermente aumentati, e in alcuni casi le soglie per accedere all’assegno di inclusione sono più stringenti: molti rischiano di restare esclusi
Venerdì sono iniziati ad arrivare i primi pagamenti dell’assegno di inclusione sociale (ADI), il sussidio per le persone in condizione di povertà che dall’inizio dell’anno ha sostituito il reddito di cittadinanza insieme a un’altra misura, il supporto per la formazione e il lavoro (SFL), già attiva da settembre. Per quest’ultima sono arrivate 55mila domande, di cui 23mila già pagate. L’assegno di inclusione sociale è destinato a chi ha un basso reddito e ha nel nucleo familiare almeno una persona con più di 60 anni, un minore, o una persona con disabilità; il secondo è per chi è in condizione di povertà ma, secondo la definizione del governo, può trovare un lavoro più facilmente perché non ha nel nucleo familiare una persona delle categorie di cui sopra.
Per l’ADI si poteva fare domanda già dal 18 dicembre, e giovedì la ministra del Lavoro Marina Calderone ha detto in conferenza stampa che quelle arrivate sono state finora 651mila, e che per 450mila nuclei familiari sarebbero arrivati già venerdì i primi pagamenti: secondo le stime del governo il sussidio dovrebbe arrivare a 737mila famiglie. L’INPS, l’istituto che si occupa dell’elaborazione delle richieste e dei pagamenti, ha però diffuso dati diversi su quanti riceveranno le prime somme, più bassi rispetto a quelli di Calderone. Le domande ricevute sono state effettivamente 651mila, e 450mila erano arrivate in tempo, almeno in teoria, per ricevere il pagamento questo mese. Ma di queste ne sono state accettate solo 287mila, le quali riceveranno l’assegno già da venerdì. Sono oltre un terzo in meno di quanto detto da Calderone.
Sono dunque 163mila le domande non andate a buon fine: 117mila sono quelle respinte, mentre le restanti sono ancora in lavorazione o in attesa di integrazione da parte dei richiedenti.
Uno dei motivi principali per cui le richieste sono state respinte è il superamento dei limiti di reddito. Per richiedere l’ADI le famiglie devono dimostrare di avere un ISEE inferiore a 9.360 euro e un reddito familiare sotto una certa soglia: per i single per esempio deve essere inferiore ai 6mila euro, e cresce in base alle persone e alla loro condizione. L’ISEE e il reddito familiare sono due cose diverse, o meglio il primo tiene conto del secondo e del patrimonio, come case di proprietà e soldi nel conto corrente; ma mentre il limite ISEE è rimasto lo stesso del reddito di cittadinanza, la soglia di reddito è diminuita per chi non è single.
Come ha notato un recente articolo su Repubblica dell’ex presidente dell’INPS Pasquale Tridico, sono inoltre soglie superate dall’aumento del costo generale della vita degli ultimi due anni e mezzo. In conseguenza di questo aumento, infatti, i redditi sono aumentati per tenere il passo, perché le imprese e i datori di lavoro hanno alzato gli stipendi – almeno un po’, ma spesso non abbastanza – su richiesta dei lavoratori, e sono cresciute leggermente anche le pensioni.
Insomma, i redditi di queste persone, derivanti da lavoro, da pensioni, da assegni di invalidità o da altro, sono leggermente aumentati; chi era vicino al limite, facilmente lo ha superato, anche solo per il limite più stringente del reddito nelle famiglie numerose. Ma, scrive Tridico, «non essendo state adeguate, incomprensibilmente, anche le soglie di accesso» all’ADI e all’SFL, «molte di queste persone oggi stanno fuori dal nuovo programma, anche se le loro condizioni reali non sono cambiate, e anzi sono peggiorate». È un problema che si sarebbe potuto presentare anche se fosse rimasto il reddito di cittadinanza, visto che non prevedeva un meccanismo di adeguamento all’inflazione.
L’SFL tra l’altro ha abbassato la soglia dell’ISEE, a 6.000 euro. E questo può aver avuto l’effetto aggiuntivo di escludere dal sussidio alcune persone che hanno un piccolo reddito, ma che sono comunque in condizione di povertà e che per questo chiedono l’integrazione dell’assegno di inclusione. Secondo Tridico rischiano di trovarsi in questa condizione fino a 200mila nuclei familiari: sono quelli che percepivano il reddito o la pensione di cittadinanza pur facendo alcuni lavoretti o ricevendo la pensione, ma che comunque restavano sotto le soglie precedenti. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio sono 97mila i nuclei che smetteranno di percepire il sussidio a causa dei vincoli economici.