Storia del fallimento di Trussardi
L'azienda bergamasca è in crisi da anni e sta per essere venduta: c'entrano la gestione familiare, la guerra con la Russia e la crisi del lusso
L’azienda di moda bergamasca Trussardi SpA è in trattative avanzate per essere venduta al gruppo piemontese Miroglio, che controlla già 9 marchi di abbigliamento tra cui Elena Mirò, Motivi, Oltre e Fiorella Rubino. La notizia è stata data qualche giorno fa dal sito Bloomberg, che l’aveva appresa da sue fonti interne all’azienda, e poi anche da molti giornali italiani. Miroglio gestisce 36 società controllate, 1.100 punti vendita in 22 paesi e nel 2023 ha avuto ricavi per 550 milioni di euro.
Trussardi è in difficoltà da anni e nel 2023 si era ritrovata con 51,5 milioni di euro di debiti. Da allora sta seguendo una procedura di composizione negoziata della crisi di impresa, una misura che consente a un’azienda che rischia la crisi o l’insolvenza di essere affiancata nelle trattative con i creditori da un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio. La misura doveva durare sei mesi ma è stata prorogata per altri sei, con la ristrutturazione affidata alla società bergamasca 3X Capital. Da pochi giorni, intanto, si è concluso il periodo degli ammortizzatori sociali per i circa 200 dipendenti dell’azienda e i sindacati hanno chiesto un confronto per parlare della loro situazione.
Il tentativo di uscire dalla crisi
Dal 2019 Trussardi non appartiene più interamente alla famiglia fondatrice, la famiglia Trussardi appunto: è controllata per circa il 60 per cento da QuattroR, un fondo italiano specializzato in ristrutturazioni aziendali, attraverso la costituzione di una newco (cioè una nuova azienda) partecipata al 70 per cento dal fondo stesso e al 30 per cento da Tomaso Trussardi, che prima possedeva l’86 per cento di Finos (la holding di famiglia che controllava Trussardi). Tomaso è stato amministratore delegato di Trussardi dal 2015 e dopo la cessione a QuattroR ha ricoperto il ruolo di presidente fino al 2021, quando venne sostituito dall’amministratore delegato di QuattroR, Francesco Conte.
QuattroR cercò di rilanciare l’azienda nominando come amministratore delegato lo statunitense Sebastian Suhl, che era stato amministratore delegato delle aziende di moda Marc Jacobs e Givenchy e che aveva avuto ruoli importanti nel gruppo Prada e poi da Valentino. Suhl affidò la direzione creativa dell’azienda a Benjamin Huseby e Serhat Isik, i fondatori del marchio berlinese GmbH, sperando di attirare una clientela più giovane e dal gusto contemporaneo. La prima collezione, per l’autunno/inverno 2022, venne presentata a marzo 2022: era interamente nera, con molta pelle, dal gusto leggermente sovversivo. Molti critici la trovarono troppo lontana dall’immagine di Trussardi, sostenendo che avrebbe potuto allontanare i vecchi clienti senza attirarne di nuovi.
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Suhl fece rinnovare e riaprire anche lo storico Palazzo Trussardi in piazza della Scala, il negozio più importante dell’azienda che ospitava anche un ristorante e un caffè. La sua strategia di proporre Trussardi come il nuovo marchio dei giovani milanesi sembrò funzionare, e a settembre del 2022 l’edizione statunitense di Vogue pubblicò un articolo intitolato «Come Trussardi pensa di scuotersi la polvere di dosso», sostenendo che «stava avendo un buon momento».
In realtà l’azienda non è riuscita, forse anche per mancanza di tempo, ad attirare il pubblico a cui puntava. Come tutto il settore della moda, è stata danneggiata dalla crisi economica causata dalla pandemia da coronavirus e poi dalle difficoltà che sta incontrando il mondo del lusso. Ha pesato tanto anche la dipendenza delle vendite dal mercato russo: nel 2019 Suhl spiegava che il marchio vendeva bene in Italia e poi in Russia e nei paesi dell’est, che stava cercando di rientrare in Germania e nel Regno Unito e di espandersi in Asia. Le sanzioni che l’Unione europea ha imposto alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina del febbraio del 2022 hanno indebolito le entrate e reso ancora più difficile la ripresa di Trussardi.
Il successo di Nicola Trussardi e le difficoltà degli eredi
La crisi del marchio, però, arriva da più lontano. Iniziò probabilmente con la morte di Nicola Trussardi, avvenuta nel 1999 quando aveva 56 anni. Nicola aveva preso il controllo dell’azienda di famiglia – fondata da suo nonno Dante nel 1911, come laboratorio di guanti – e l’aveva completamente rivoluzionata, trasformandola da piccola produttrice di pelletteria in un marchio di abbigliamento e di lifestyle: produceva profumi, borse (come il noto secchiello), vestiti (la prima collezione fu del 1983), jeans di lusso, occhiali, biciclette e persino telefoni. Organizzava le sfilate in posti allora impensabili come piazza Duomo, il teatro della Scala, la stazione Centrale a Milano, e fu lui a scegliere il levriero come simbolo dell’azienda per indicare un’eleganza sofisticata, ma accessibile a tutti.
Nel 1988 disegnò le divise per la nazionale italiana ai giochi olimpici di Seul e nello stesso anno fu il primo a sponsorizzare il palazzetto per concerti poi soprannominato PalaTrussardi. Negli anni Ottanta Trussardi era il marchio della “Milano da bere”, e simboleggiava quell’Italia progressista, affamata e ottimista che prosperava sotto la guida di Bettino Craxi, presidente del Consiglio con cui Trussardi aveva amichevoli rapporti (un anno disegnò anche le divise delle hostess per il Congresso del partito: giacche bianche ricoperte da garofani rossi stilizzati).
Dopo la morte di Nicola, la guida dell’azienda passò al figlio Francesco, che però morì anche lui in un incidente stradale nel 2003, a 29 anni. La sorella Beatrice, allora 32enne, prese il suo posto come amministratrice delegata ma dopo qualche tempo lo cedette alla madre, Maria Luisa Gavazzeni.
Qualche anno dopo entrarono nell’azienda anche gli altri due fratelli: Gaia come direttrice creativa dal 2013 al 2018 e Tomaso (noto anche per il matrimonio con la presentatrice televisiva Michelle Hunziker, da cui ha divorziato nel 2020) che divenne amministratore delegato nel 2015.
Nel 2016 Beatrice decise di dedicarsi unicamente alla Fondazione d’arte Nicola Trussardi: lasciò tutti gli incarichi in azienda e cedette il 25 per cento delle sue azioni in Finos (la holding della famiglia) al fratello Tomaso, che ne controllava così il 50 per cento, mentre il restante 50 era equamente spartito tra l’altra sorella e la madre. Nel 2017 le perdite arrivarono a 30 milioni di euro: secondo molti la crisi fu da imputare alla famiglia che, anche a causa di divergenze di carattere e di visione, non era riuscita ad adattare ai tempi quella che era stata una delle aziende più all’avanguardia d’Italia.