L’Unione Europea non riesce ad accordarsi su una legge contro la violenza di genere
Le discussioni finora si sono concentrate sul reato di stupro, sulla sua definizione e sull’opportunità di includerla nel testo
L’8 marzo del 2022, in occasione della Giornata internazionale della donna, la Commissione europea propose una nuova direttiva per contrastare la violenza di genere. La direttiva doveva creare degli standard minimi comuni a tutti gli stati membri per agire contro diversi crimini fra cui lo stupro, la mutilazione genitale femminile, la sterilizzazione e i matrimoni forzati, lo stalking online e la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti. Quello della violenza di genere è un problema diffuso e sempre più presente nel dibattito pubblico e politico europeo, ma l’Unione non ha ancora creato delle leggi specifiche per contrastarla a livello sovranazionale.
Molti stati membri si sono detti a favore di un avanzamento della legislazione europea, ma la proposta ha finora attraversato quattro fasi di negoziazione senza essere approvata, soprattutto a causa dell’opposizione di stati importanti all’interno dell’Unione come la Germania e la Francia: al centro del problema c’è l’articolo 5 della direttiva, che riguarda la criminalizzazione dello stupro.
Una direttiva europea è un atto giuridico dell’Unione Europea che, se approvato, impone agli stati membri di raggiungere determinati obiettivi attraverso la promulgazione o modifica di leggi nazionali: non viene specificata la modalità con cui questo debba accadere. Per entrare in vigore, una direttiva proposta dalla Commissione deve essere approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea, un organo composto dai ministri degli stati membri che, insieme al Parlamento, detiene il potere legislativo dell’Unione. Questo avviene attraverso negoziazioni fra i tre organi chiamate “triloghi”, durante le quali il testo viene discusso e modificato fino a essere approvato.
Nel caso della direttiva sulla violenza di genere, la proposta era stata accettata dal Parlamento a giugno del 2023, mentre diversi membri del Consiglio avevano continuato a opporsi fino al 13 dicembre, data in cui si era concluso il quarto trilogo, ossia la quarta fase di negoziazione, senza l’approvazione di un testo finale. Negli ultimi mesi alcuni stati come Irlanda e Portogallo avevano deciso di cambiare la loro posizione e avevano approvato la direttiva, mentre altri avevano mantenuto i loro dubbi e avevano continuato a chiedere che questa venisse modificata.
Nonostante ci siano stati, come l’Ungheria, che si oppongono all’intera direttiva, al centro della discussione fra il Consiglio e gli altri due organi c’è l’obiezione avanzata da alcuni paesi, in particolare la Francia e la Germania, riguardo alla definizione e l’inclusione del reato di stupro nella direttiva.
L’articolo 5 della direttiva propone di criminalizzare lo stupro a livello europeo come un «rapporto sessuale non consensuale», la stessa definizione contenuta nella Convenzione di Istanbul, che l’Unione Europea ratificò proprio nella seconda metà del 2023 dopo che molti dei suoi membri l’avevano fatto negli anni precedenti.
Nonostante questo, al momento la mancanza di consenso è al centro delle leggi che puniscono lo stupro solo in una quindicina di paesi dell’Unione, mentre negli altri, come in Francia o in Italia, affinché ci sia reato si deve dimostrare l’elemento di coercizione o di minaccia. In base all’importanza attribuita al consenso in senso decrescente si possono distinguere tre diversi modelli di diritto penale sessuale applicati in Europa: il modello consensuale puro, quello limitato e quello vincolato.
Il modello consensuale puro dà rilevanza massima al consenso: significa che c’è un reato quando in qualsiasi tipo di relazione sessuale manca il consenso valido della persona offesa. Questo modello viene riassunto nella frase “solo sì è sì”, in cui il consenso esiste solo quando è esplicitamente affermato e non solo inteso. Negli ultimi anni diversi paesi, come la Spagna, hanno modificato le loro leggi sulla violenza sessuale in questo senso. Il modello consensuale limitato dà invece importanza non tanto al consenso, ma al dissenso: è cioè necessaria un’effettiva e manifesta volontà contraria (dissenso) della persona che ha subìto una violenza. Infine il modello vincolato, che è anche il più diffuso, non attribuisce in modo esplicito al consenso un ruolo centrale, ma si basa sul fatto che le aggressioni sessuali, per essere perseguite e punite, debbano avere certe caratteristiche: violenza, minaccia, costrizione. Il problema principale di questo modello è che alcune aggressioni sessuali non sono ritenute tali dato che non si sono verificate con modalità violente o minacciose.
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La legge italiana rientra in questo terzo gruppo, anche se la giurisprudenza è sempre più orientata verso il secondo, cioè tende a dare importanza alla presenza di un dissenso esplicito da parte della vittima. Tuttavia, a livello legale lo stupro è ancora definito come un atto sessuale che qualcuno è «costretto» a compiere o subire mediante «violenza o minaccia o abuso di autorità». In Francia a queste possibilità si aggiunge anche quella della «sorpresa», che si basa sul luogo comune, smentito da moltissimi studi, che la maggior parte delle violenze di questo tipo siano perpetrate da sconosciuti, per esempio per strada, di notte.
I dati provano che lo stupro è un atto che nella maggior parte dei casi è commesso da persone conosciute: amici, colleghi, familiari e anche, molto spesso, da partner, anche all’interno di un matrimonio. Secondo l’ISTAT, più del 60 per cento degli stupri in Italia viene commesso da partner. Tuttavia, lo stupro all’interno di una relazione o di un matrimonio non è neanche considerato violenza dalle leggi di alcuni stati membri, motivo per cui i promotori della direttiva sostengono che l’articolo 5 debba assolutamente rimanere all’interno del testo.
In più, la necessità di provare un’esplicita negazione di consenso non è in linea con i risultati dei principali studi sui comportamenti adottati in caso di violenza sessuale, che hanno dimostrato che durante uno stupro la paura spesso immobilizza la vittima e le impedisce di parlare o di reagire.
Alcuni stati ancora legati a una definizione meno generica dello stupro, come la Francia, sostengono che definirlo un atto sessuale non consensuale finirebbe per danneggiare le persone che lo denunciano, perché la mancanza di consenso esplicito sarebbe più difficile da provare rispetto alla presenza di coercizione o minaccia. Altri stati, come la Svezia o la Danimarca, che hanno cambiato la loro legislazione per legare la definizione di stupro alla mancanza di un consenso esplicito, sostengono invece che questo abbia portato a un incremento delle condanne per violenza sessuale, un reato molto diffuso ma che spesso è difficile da provare in tribunale anche per il modo in cui è formulato all’interno della legge.
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L’obiezione più importante del Consiglio riguarda però la giurisdizione dell’Unione Europea: secondo diversi stati la criminalizzazione degli atti sessuali non consensuali non rientrerebbe nelle competenze giuridiche dell’Unione. Infatti, per includere lo stupro all’interno della direttiva, la Commissione si è riferita al reato di «sfruttamento sessuale delle donne e dei minori» incluso nell’articolo 83 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Questo articolo si riferisce a crimini come il terrorismo o la corruzione su cui l’Unione ha diritto di legiferare anche per il fatto che sono spesso compiuti a livello internazionale, mentre il resto del diritto penale rimane di competenza esclusiva dei singoli stati membri.
La Commissione l’ha scelto perché questo articolo era già stato usato nel 2011 per approvare una direttiva che riguardava gli abusi sulle persone minori e perché considera lo stupro non come l’atto di una persona contro un’altra ma come un problema sistemico ed estremamente diffuso nella società.
Secondo stati come la Francia, la Germania e la Polonia, però, questo non basta per farlo rientrare nell’ambito dello sfruttamento sessuale. La Francia ha detto più volte di non essere contraria alla proposta nel suo insieme, ma di temere che l’inclusione dell’articolo 5 nel testo definitivo darebbe la possibilità a stati che sono contrari, come l’Ungheria, di far annullare l’intera direttiva dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, con la motivazione che l’Unione non ha giurisdizione sull’argomento. Altri paesi sostengono invece che questa direttiva diventerebbe un pericoloso precedente che darebbe la possibilità all’Unione di allargare i suoi poteri legislativi oltre i limiti concordati dai trattati costituenti.
Molti stati a favore della direttiva hanno sostenuto che la Spagna, che è stata alla presidenza del Consiglio dell’Unione Europea nella seconda parte del 2023, non abbia fatto abbastanza per promuovere una direttiva che i suoi delegati all’interno della Commissione e del Parlamento invece sostenevano molto. Ora i negoziati proseguiranno sotto la presidenza del Belgio, che durerà fino a giugno del 2024, mese in cui si terranno le elezioni europee. Poi il Consiglio verrà guidato per sei mesi dall’Ungheria e poi dalla Polonia, due paesi che si oppongono apertamente alla direttiva.
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