Trump ha vinto anche in New Hampshire
E quindi di fatto le primarie del Partito Repubblicano statunitense finiscono qui
di Francesco Costa
Donald Trump ha vinto anche le primarie del Partito Repubblicano del New Hampshire, dopo aver stravinto la settimana scorsa in Iowa, e quindi sarà con ogni probabilità nuovamente candidato alle elezioni presidenziali di novembre, dopo il 2016 e il 2020. Con più del 95 per cento dei voti scrutinati Trump è avanti con il 54,3 per cento, contro il 43,3 di Nikki Haley, un vantaggio non rimontabile.
Il calendario delle primarie proseguirà fino a primavera inoltrata, ma il risultato in New Hampshire conferma che Donald Trump non ha rivali che possano contendergli seriamente la maggioranza dei consensi nel Partito Repubblicano. Quasi tutti i suoi sfidanti si sono ritirati nei mesi scorsi, dopo risultati insoddisfacenti nei sondaggi e nella raccolta fondi; pochi giorni fa si era ritirato anche Ron DeSantis, governatore della Florida, che a lungo lo scorso anno era sembrato il più attrezzato.
L’unica sfidante rilevante in campo era rimasta Nikki Haley, ex governatrice del South Carolina, che soprattutto negli ultimi giorni aveva alzato il volume delle critiche contro Donald Trump, sostenendo che «dove c’è lui c’è il caos» e che la sua età avanzata non gli consentirebbe di svolgere adeguatamente l’incarico di presidente.
Pochi giorni fa, durante un comizio, Trump aveva menzionato più volte erroneamente Haley mentre faceva riferimento a Nancy Pelosi; un’altra volta si era espresso in modo incomprensibile e sconnesso parlando dei problemi del paese, e non era riuscito a pronunciare correttamente la parola “clima”. In queste settimane Trump ha accusato ripetutamente Haley di essere inaffidabile, «debole» e pagata dai Democratici; più volte si è riferito a lei chiamandola col suo nome di battesimo, Nimarata, per enfatizzarne le origini indiane davanti a un elettorato quasi esclusivamente bianco.
Haley aveva in New Hampshire la migliore chance di battere Trump, e non solo perché aveva investito nello stato la gran parte del suo tempo e delle sue risorse: l’elettorato locale del Partito Repubblicano è più moderato, più indipendente e più benestante di quanto fosse in Iowa e in gran parte degli altri stati americani, e le regole delle primarie permettono di votare anche alle persone che si definiscono indipendenti e non si riconoscono in nessun partito (tanto che nei giorni scorsi c’era stato qualche tentativo di mobilitare opportunisticamente a favore di Haley anche un pezzo dell’elettorato che si definisce “indipendente”).
Haley ha parlato non appena è diventata chiara la sua sconfitta, dicendo che «la partita non è ancora finita», ma non è chiaro come possa ribaltare il risultato. Le primarie si sposteranno ora in stati dove Haley non avrà condizioni favorevoli come in New Hampshire: e al momento Trump è in largo vantaggio in tutti gli stati in cui si voterà, mentre lei in nessuno.
Nulla le impedisce di restare in corsa anche nei prossimi stati, ovviamente, ma continuare la campagna elettorale è costoso ed è difficile trovare donazioni e finanziamenti per una candidatura perdente stato dopo stato; senza contare che le sconfitte potrebbero intaccare ulteriormente la sua reputazione e rendere più difficile una sua eventuale ricandidatura nel 2028. Tra due settimane si vota in Nevada, dove Haley non si è nemmeno candidata, e poi nel suo stato di casa, il South Carolina, dove Trump ha addirittura quaranta punti di vantaggio.
Votando alle primarie, gli elettori statunitensi scelgono indirettamente i delegati che parteciperanno la prossima estate alle convention dei partiti: gli organi che decideranno formalmente chi candidare alle presidenziali, e normalmente si limitano a ratificare l’esito del voto popolare. Arrivare secondi alle primarie non garantisce quindi alcun diritto di subentrare a chi arriva primo, in caso di una sua rinuncia: sarebbero i delegati a prendere questa decisione alla convention, e sulla base di quanto accaduto fin qui i delegati del Partito Repubblicano saranno in larga maggioranza sostenitori di Donald Trump.
Fino a qualche anno fa Haley non sarebbe stata considerata una candidata moderata bensì una Repubblicana piuttosto ortodossa, ma il progressivo spostamento a destra del partito – iniziato prima dell’ascesa di Trump e poi da questa amplificato – l’ha resa inaffidabile agli occhi di molti elettori Repubblicani, che pensano non sarebbe abbastanza dura nel reprimere l’immigrazione irregolare e contestano la necessità di sostenere militarmente l’Ucraina, che Haley in questi mesi ha difeso in modo appassionato e convinto.
Anche il Partito Democratico sta facendo le primarie, che negli Stati Uniti sono obbligatorie per legge, ma non ci sono candidati con un sostegno rilevante oltre a Joe Biden – come accade quasi sempre quando tra i candidati c’è un presidente in carica, per esempio con Trump nel 2020 e Obama nel 2012 – e le regole prevedono che la prima consultazione riconosciuta dal partito si tenga in South Carolina il prossimo 24 febbraio. Il New Hampshire però tiene molto alla sua posizione nel calendario delle primarie, che gli fornisce visibilità e influenza, e ha organizzato comunque il voto; Biden non si è candidato, ma un movimento per convincere gli elettori Democratici a scrivere il suo nome sulla scheda – una possibilità prevista dalla legge locale – ha portato comunque a una sua larga vittoria.