L’Urlo di Munch, emblema dell’angoscia moderna
Dopo ottant'anni dalla morte del pittore norvegese il suo quadro più celebre continua a essere tra i più citati e ripresi nella cultura pop, dai film alle emoji
L’Urlo è uno dei quadri più famosi al mondo e certamente l’opera più famosa di Edvard Munch, pittore norvegese il cui nome è oggi noto a moltissime persone solo per questa singola opera, di cui dipinse quattro versioni fra il 1893 e il 1910. Per tutta la vita Munch fu circondato da morti, sofferenze e malattia mentale, motivo per cui nei suoi lavori compare tutto il senso di angoscia, paranoia e solitudine che diceva di provare.
Dopo 80 anni dalla morte di Munch, avvenuta il 23 gennaio del 1944, l’Urlo è in un certo senso diventato un simbolo di questo stato d’animo (ma anche di una sua interpretazione più tragicomica), e in quanto tale è stato ripreso e citato in numerose opere di cultura pop: dalla maschera del serial killer del film horror Scream a una puntata dei Simpson, da una memorabile scena di Mamma, ho perso l’aereo alla ormai diffusissima emoji.
Nato il 12 dicembre del 1863 ad Ådalsbruk, un centinaio di chilometri a nord di Oslo, allora Kristiania, Edvard Munch era il secondo di cinque figli. Christian Munch, il padre, era un medico; la madre, Laura Bjølstad, aveva la metà dei suoi anni. Munch passò l’infanzia a Kristiania tra problemi di salute e un’educazione profondamente religiosa. Nel 1868 la madre morì di tubercolosi e nove anni più tardi fece la stessa fine Johanne Sophie, la sorella maggiore. A Laura Catherine, una delle altre due sorelle, furono diagnosticati problemi di salute mentale fin dalla giovane età.
Munch cominciò a studiare arte nel 1881, interessandosi soprattutto all’impressionismo e al naturalismo. Grazie all’influenza dello scrittore e filosofo anarchico Hans Jaeger, si avvicinò poi al simbolismo, caratterizzato da una maggiore profondità psicologica. Nel 1889 andò a lavorare a Parigi, una delle città in cui trascorse buona parte della sua vita adulta assieme a Berlino. A dicembre morì suo padre, che lasciò alla famiglia poco o niente.
Nel suo diario scrisse di aver ereditato «il germe della pazzia» proprio dal padre e che «la malattia, la pazzia e la morte» erano stati «gli angeli neri» al suo fianco dal giorno in cui era nato, ricorda Sue Prideaux nel suo libro del 2005 dedicato all’artista. Nella sua vita Munch ebbe problemi di alcolismo e si ritiene che soffrisse di disturbo borderline di personalità, che gli provocò periodicamente stati di depressione, manie di persecuzione, paura dell’abbandono e pensieri suicidi.
Fu in questo contesto che Munch cominciò a sfruttare l’arte come strumento per esprimere la sua inquietudine.
L’Urlo fu ispirato da «una ventata di malinconia», scrisse nel suo diario, in un momento in cui la vita gli «aveva squarciato l’anima». Per alcuni critici fu un attacco di panico, per altri una visione, ma lo spiegò meglio lo stesso Munch in una breve poesia che aveva scritto nel diario e poi trascrisse dietro alla cornice della versione dell’opera del 1895:
Passeggiavo lungo la strada con due amici/ il sole stava tramontando/ d’improvviso il cielo si tinse di rosso sangue/ mi fermai, esausto, e mi appoggiai al parapetto/ c’erano sangue e lingue di fuoco sul fiordo nero-azzurro e sulla città/ i miei amici continuarono a camminare, e io rimasi lì tremando di angoscia/ e sentii un urlo infinito attraversare la natura
Si sentì come se potesse «davvero sentire quell’urlo». «Dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori strillavano», disse.
La figura al centro del dipinto ha un volto emaciato ridotto a una caricatura, che può ricordare un teschio oppure un fantasma. È sovrastata da una serie di pennellate ondulate che la opprimono come onde d’urto, in pieno contrasto con le linee rette del camminamento su cui procedono indisturbate altre due persone, come per suggerire che la paura, l’angoscia e il terrore sono tutti nella testa del personaggio, che è rivolto direttamente a chi lo osserva.
«Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io», scrisse Munch a proposito dell’Urlo. «Attraverso l’arte cerco di vedere chiaro nella mia relazione con il mondo, e se possibile anche di aiutare chi osserva le mie opere a capirle, a guardarsi dentro».
Munch dipinse quattro versioni del soggetto, due a pastello e due a olio e tempera, oltre a farne disegni preparatori e litografie. La prima non aveva titolo, mentre la seconda venne chiamata “Geschrei”, dalla parola tedesca che significa urla, o grida. La prima volta che venne esposta al pubblico fu appunto indicata come “Der Schrei der Natur”, l’Urlo della natura, che in norvegese divenne “Skrik”, il nome con cui le opere sono conosciute ancora oggi.
La realizzazione dell’Urlo è considerata l’apice della carriera di Munch, che cominciò a ottenere i primi apprezzamenti del pubblico, ad avere una certa stabilità economica e a essere riconosciuto come uno dei pittori fondamentali del movimento espressionista, una delle principali correnti artistiche di inizio Novecento, che ebbe tra i suoi massimi esponenti Ernst Ludwig Kirchner, Vincent Van Gogh e lo stesso Munch.
Al successo tuttavia continuò a seguire una situazione psicologica instabile. Uno dei suoi primi dipinti, Fanciulla malata (1885), riguardava la morte della sorella. I temi della morte, dell’angoscia e della disperazione si ritrovano anche nei lavori immediatamente successivi all’Urlo, che mostrano personaggi o paesaggi molto simili ai suoi, come Ceneri, Gli occhi negli Occhi o Ansia.
Se si osserva la prima versione dell’Urlo, quella del 1893, nell’angolo in alto a sinistra si può notare una piccola scritta a matita che dice: «Poteva essere stato dipinto soltanto da un pazzo». Grazie all’esame di alcune fotografie a raggi infrarossi, che ha permesso di migliorare la leggibilità della scritta e di confrontarla con i diari e la grafia di Munch, i ricercatori sono riusciti a determinare che era stato lo stesso pittore a farla.
Munch ebbe il suo crollo psicologico più grave nel 1908. Fu ricoverato per otto mesi in una clinica di Copenhagen, in Danimarca, dove i medici gli prescrissero di socializzare solo con buoni amici e di non bere. Alla fine tornò in Norvegia, dove passò la gran parte degli ultimi anni della sua vita quasi completamente isolato a casa sua, nel quartiere di Skøyen, nella parte occidentale di Oslo. Oltre ad alcune opere su commissione, dipinse perlopiù paesaggi, autoritratti e ritratti di donne, generalmente meno cupi delle opere precedenti.
Morì proprio nella sua casa circa un mese dopo il suo ottantesimo compleanno.
Secondo la storica dell’arte Martha Tedeschi, il successo dell’Urlo sta nella capacità di «comunicare un significato specifico in maniera quasi immediata a chiunque lo guardi», catturando l’universalità delle emozioni umane, come poche opere sanno fare. È per questo che anche dopo un secolo continua ad attirare e incuriosire il pubblico. D’altra parte, come ha detto al Guardian il conservatore del British Museum Hugo Chapman, oggi ci sono moltissime ragioni per urlare: «non è forse la sensazione della nostra epoca?».
L’Urlo divenne famoso soprattutto dopo la morte di Munch, anche in seguito agli orrori della Seconda guerra mondiale e per via dei forti timori dello scoppio di una nuova guerra globale, tanto che la nota rivista Time scelse di metterlo sulla copertina del numero del 31 marzo del 1961, intitolato “Guilt and Anxiety”, cioè senso di colpa e ansia. Negli anni seguenti ispirò alcune opere di Andy Warhol, l’artista più famoso della Pop Art, e cominciò a comparire su oggetti di ogni tipo, dalle magliette alle decorazioni natalizie.
Più di recente ha ispirato l’emoji per indicare paura, sorpresa o terrore sui social network. È poi diventato un meme per esprimere sconcerto di fronte agli eventi più notevoli degli ultimi anni, dalla Brexit all’elezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti nel 2016, rispecchiando una certa visione pessimistica del mondo. Ha anche accompagnato una delle innumerevoli manifestazioni di solidarietà nei confronti della rivista satirica Charlie Hebdo dopo la strage del 7 gennaio del 2015 nella sua redazione parigina, in cui furono uccise 12 persone.
La sua versione dell’Urlo del 1893 conservata alla Galleria nazionale norvegese fu rubata nel febbraio del 1994, nello stesso giorno dell’inaugurazione delle Olimpiadi Invernali di Lillehammer, in Norvegia. Due ladri impiegarono solo 50 secondi per salire su una scala, rompere una finestra, staccare il quadro dal muro e scappare. Il dipinto venne recuperato tre mesi dopo, quando cercarono di venderlo per 250mila sterline ad alcuni agenti di polizia sotto copertura.
Nell’estate del 2004 invece due uomini armati fecero irruzione nel Museo di Munch a Oslo e portarono via L’Urlo del 1910 e una delle versioni di Madonna, una delle altre opere più famose di Munch. Ci furono polemiche perché l’allarme non aveva suonato e la polizia non era intervenuta in maniera abbastanza tempestiva. Entrambi i quadri vennero ritrovati due anni dopo, nell’agosto del 2006, con lievi danni dovuti all’umidità. Nel 2012 invece la versione a pastello del 1895 fu venduta per 120 milioni di dollari in un’asta di Sotheby’s a New York.