Come l’olfatto influenza le nostre relazioni sociali
Non è ancora chiarissimo, ma diversi studi indicano che alcuni odori trasmessi e percepiti inconsapevolmente veicolano ansia, gioia e informazioni di vario tipo
Uno dei molti effetti della pandemia è stato un aumento dell’interesse della ricerca scientifica sull’olfatto, fino a qualche tempo fa il più trascurato e ancora oggi il più misterioso tra i sensi umani. L’interesse si è principalmente concretizzato nella ricerca di cure per il recupero dell’olfatto tra le persone affette da prolungata anosmia (l’incapacità di percepire gli odori) causata dall’infezione da Covid-19. Ma un certo numero di studi più ampi, alcuni dei quali condotti già prima della pandemia, cerca da tempo di comprendere come la capacità umana di percepire inconsapevolmente determinati odori possa influenzare le relazioni sociali, le emozioni e i comportamenti delle persone.
La mancanza improvvisa di questo presunto condizionamento, continuo e latente, è stata sperimentata proprio durante la pandemia dalle persone rimaste a lungo prive dell’olfatto. Alcune hanno raccontato di soffrire la condizione dell’anosmia non soltanto per il fatto di non sentire i profumi e il gusto del cibo, ma anche per motivi sociali: descrivevano l’abbraccio a un familiare o a una persona cara, per esempio, come un’esperienza incompleta.
L’importanza in molti aspetti della vita quotidiana degli odori su cui non abbiamo un controllo diretto è confermata da diverse ricerche sul ruolo dei cosiddetti chemosegnali: molecole volatili rilasciate dal corpo che possono essere percepite da specifici recettori (chemorecettori) di altri individui e influenzarne le emozioni e il comportamento in modo inconsapevole. In uno studio pubblicato nel 2023 sulla rivista Chemical Senses, per esempio, un gruppo di ricerca europeo ha analizzato come la percezione degli odori corporei associati alla paura e all’ansia – le emozioni più studiate nella ricerca sui chemosegnali – attivi i muscoli facciali determinando corrispondenti espressioni di paura e di ansia.
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I chemosegnali sono generalmente distinti dai «feromoni», un termine introdotto nel 1959 dal biochimico Peter Karlson e dallo zoologo Martin Luscher per descrivere negli insetti particolari sostanze secrete all’esterno da un individuo e in grado di provocare in un altro individuo ricevente della stessa specie una certa reazione comportamentale o un certo processo fisiologico, in modo fisso e definito. La successiva ricerca in altre classi di animali diverse dagli insetti portò altri studiosi a notare che l’influenza che sostanze simili ai feromoni avevano nella biologia dei mammiferi era diversa, seppur presente, in funzione di una fisiologia e di un comportamento riproduttivo più flessibili, dipendenti dal contesto e dall’esperienza. La parola chemosegnale, rispetto a feromoni, ha un valore più neutro ed è tendenzialmente utilizzata per indicare una relazione non fissa tra specifici stimoli olfattivi e corrispondenti comportamenti e processi fisiologici.
La psicologa comportamentale Bettina Pause, professoressa all’Università Heinrich Heine di Düsseldorf e coautrice dello studio uscito su Chemical Senses, è una delle più citate studiose dei segnali prodotti dagli esseri umani attraverso la sudorazione in determinate situazioni. Da anni si occupa dell’influenza che quei segnali hanno sugli stati emotivi, come l’ansia e l’aggressività, e del loro ruolo in un sistema di comunicazione non verbale il cui funzionamento non è ancora ben chiaro. Nel 2015, insieme alla sua collega Katrin Lübke, Pause descrisse l’importanza della comunicazione chemosensoriale umana in una varietà di comportamenti sociali essenziali per la sopravvivenza e la riproduzione.
Le percezioni olfattive sono coinvolte nella scelta del partner e nel mantenimento della relazione attrattiva, scrissero Pause e Lübke, e favoriscono l’instaurarsi di un legame emotivo tra madre e figlio. In un citato esperimento della fine degli anni Ottanta il 90 per cento delle madri partecipanti riconobbe il proprio neonato da segnali olfattivi dopo un tempo di interazione compreso tra dieci minuti e un’ora (dopo un’interazione di oltre un’ora la percentuale saliva a 100). Dall’altra parte, uno studio del 2007 sui neonati allattati al seno dimostrò che gli odori derivanti dalle secrezioni del capezzolo della madre stimolavano l’apertura degli occhi e riducevano il pianto dei neonati.
Pause e Lübke scrissero inoltre che la trasmissione di chemosegnali associati allo stress – diversi da quelli che tramite la sudorazione produciamo, per esempio, dopo un allenamento – aumenta le probabilità di sopravvivenza del gruppo attivando reazioni di “attacco” o di “fuga” adatte a limitare i danni in situazioni di pericolo. Uno studio della University of Chinese Academy of Sciences di Pechino, pubblicato nel 2016 sulla rivista Scientific Reports, scoprì che in un gruppo di 31 individui sani le persone con maggiore sensibilità olfattiva avevano anche una più estesa rete sociale.
Misurata attraverso test specifici utilizzati in ambito clinico nella valutazione di pazienti con deficit sensoriali, la sensibilità olfattiva – da cui dipende la comunicazione chemosensoriale – è diversa dalla capacità di identificazione e discriminazione degli odori. Si può essere molto sensibili agli odori e poco o per niente abili a riconoscerli e distinguerli (o viceversa), perché identificazione e discriminazione coinvolgono un’elaborazione delle informazioni secondaria rispetto a quella che determina la sensibilità.
I risultati dello studio del 2016 mostrarono una correlazione tra le dimensioni della rete sociale e la sensibilità olfattiva, ma non tra le dimensioni della rete sociale e la capacità di identificazione e discriminazione degli odori. Precedenti studi di psichiatria su persone con sintomi depressivi e altri deficit avevano prodotto risultati in parte simili, riscontrando in quei casi una riduzione della sensibilità olfattiva ma non della capacità di identificazione e discriminazione degli odori.
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Una delle ragioni per cui l’influenza dei chemosegnali sul piano sociale è spesso trascurata è che, a differenza degli odori percepiti consapevolmente, coinvolge processi che sono fuori dalla nostra attenzione cosciente e comportamenti che sono fuori dal nostro controllo. Uno studio di neuroscienze pubblicato nel 2015 da un gruppo di ricerca israeliano dell’Istituto Weizmann per le Scienze mostrò come la trasmissione degli odori in funzione di segnali sociali possa avvenire attraverso modalità attive ma spesso subliminali, difficili da comprendere e variabili a seconda del contesto.
I ricercatori e le ricercatrici filmarono di nascosto un gruppo di persone in una situazione che prevedeva dei saluti, con o senza stretta di mano. I risultati mostrarono che dopo aver stretto la mano a persone dello stesso genere le persone annusavano istintivamente la loro mano destra (quella usata per la stretta) più del doppio delle volte rispetto a prima del saluto. Dopo aver stretto la mano a persone dell’altro genere le persone annusavano invece molto più spesso di prima l’altra mano, quella non usata per la stretta. Gli autori e le autrici dello studio conclusero che l’aspetto più importante dei risultati, indipendentemente dalla variabile del genere, è che le persone annusano spesso le loro mani, ma lo fanno ancora di più dopo aver stretto quella di qualcun altro.
Un gruppo composto in parte dagli stessi ricercatori dell’Istituto Weizmann per le Scienze scoprì che le relazioni sociali in una fase iniziale possono essere influenzate dall’odore del corpo e che le persone tendono a stringere amicizie con persone che hanno un odore corporeo simile al loro. In una serie di esperimenti i cui risultati furono pubblicati nel 2022 in un articolo su Science Advances il gruppo di ricerca fu in grado di prevedere con una precisione del 71 per cento la qualità riferita dell’interazione verbale tra persone che non si conoscevano tra loro: ci riuscì sulla base degli odori corporei delle persone, analizzati dal gruppo attraverso un particolare dispositivo tecnologico (una sorta di naso elettronico).
«Questo non vuol dire che ci comportiamo come capre o toporagni: gli esseri umani probabilmente fanno affidamento su altri segnali molto più dominanti nel loro processo decisionale sociale», disse Noam Sobel, uno degli autori dello studio, suggerendo tuttavia che gli odori abbiano un ruolo molto importante. Altri odori oltre a quello iniziale del corpo possono influenzare a loro volta l’interazione, in un circolo di stimoli sensoriali che si sovrappongono. Se chiacchieriamo con una persona felice, per esempio, è probabile che percepiremo quello stato emotivo anche attraverso gli odori che emana tramite la sudorazione.
In un esperimento condotto nei Paesi Bassi per uno studio del 2015 alcuni volontari guardarono dei video divertenti e allegri (tra cui una scena del film Disney Il libro della giungla) mentre tenevano alcuni tessuti assorbenti sotto le ascelle. Quando in un secondo momento un altro gruppo di persone annusò i tessuti la misurazione dell’attività dei loro muscoli facciali mostrò che tendevano a fare espressioni associate alla felicità.
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I chemosegnali sono tuttavia un mezzo principalmente noto per la trasmissione di emozioni negative, probabilmente a causa dei maggiori benefici che questi segnali determinano in termini di sopravvivenza. Ma il modo attraverso cui gli esseri umani percepiscono gli odori corporei e li utilizzano come segnali per modificare il loro comportamento è in gran parte un mistero, ha detto a Scientific American Johan Lundström, neuroscienziato dell’università medica Karolinska Institutet in Svezia: «È un problema dalle molteplici sfaccettature che dobbiamo ancora iniziare a capire davvero».
Una delle possibili molecole responsabili dell’influenza sulle relazioni sociali potrebbe essere l’esanale, un composto organico che emana un odore associato da alcune persone a quello della lavanda e dell’erba appena tagliata, e che secondo uno studio potrebbe rafforzare le relazioni sociali aumentando la fiducia interpersonale. Ma non sappiamo se le persone il cui odore corporeo contiene più esanale siano percepite oppure no come più affidabili, ha detto la psicologa sociale Monique Smeets, una delle autrici dello studio.