Fare il latte per il Parmigiano Reggiano non rende più come una volta
Negli ultimi due anni i costi di produzione si sono fatti insostenibili e gli allevamenti sono in perdita, nonostante le vendite del formaggio siano aumentate
Negli ultimi due anni molti allevatori che producono il latte per fare il Parmigiano Reggiano, uno dei formaggi italiani più conosciuti e venduti nel mondo, hanno chiuso il bilancio in perdita. Il motivo delle difficoltà economiche non riguarda le vendite di latte e di formaggio, aumentate rispetto al 2022, ma la crescita dei costi di produzione e il calo dei prezzi di vendita all’ingrosso. C’è un evidente squilibrio nella filiera: i maggiori costi sono stati sostenuti soprattutto da chi produce il latte e il formaggio, mentre la tenuta delle vendite e dei prezzi proposti ai consumatori finali hanno assicurato guadagni maggiori solo alla grande distribuzione. Da tempo le associazioni che rappresentano gli allevatori sollecitano un intervento per distribuire meglio i guadagni.
Controllare tutte le parti della filiera del Parmigiano Reggiano non è semplice, principalmente perché la produzione ha un andamento ciclico con tempi piuttosto lunghi: gli allevatori infatti producono il latte mediamente due anni prima della vendita del formaggio, che ha bisogno di un periodo di stagionatura prima di essere messo sul mercato. In questo periodo l’andamento dei costi e dei prezzi può essere influenzato da molte cose, come è accaduto negli ultimi anni prima con il Covid, poi con gli effetti della guerra in Ucraina. Per questo la filiera è regolata e controllata dal Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano, che da 90 anni ha il compito di salvaguardare le caratteristiche del formaggio oltre ad agevolarne il commercio e il consumo.
Il Parmigiano Reggiano è un formaggio di origine antica, prodotto dai monaci delle abbazie in provincia di Parma dal XIV secolo. La versione attuale risale ai primi del Novecento, quando vennero introdotti i metodi utilizzati ancora oggi.
Viene prodotto esclusivamente nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna, solo nei territori a sinistra del fiume Reno, e nella provincia di Mantova a destra del fiume Po. In questa zona si concentrano i circa 2.800 allevamenti che forniscono il latte a più di 300 caseifici. Il latte viene munto soprattutto da razze come la Bianca Modenese, la Frisona italiana, la Vacca rossa e la Bruna. Le vacche devono essere alimentate solo con foraggi locali e soprattutto senza utilizzare cibi fermentati o prodotti di origine animale.
Il latte viene raccolto nelle stalle per essere portato nei caseifici in due momenti della giornata, alla sera e alla mattina. Il disciplinare del Consorzio, cioè le regole da seguire per produrre una forma di Parmigiano Reggiano DOP (denominazione di origine protetta), impone di non conservare né congelare il latte per il giorno successivo. Il latte della mungitura serale viene portato nel caseificio e lasciato riposare in vasche fino al mattino. Durante la notte viene a galla la parte grassa del latte che deve essere rimossa per ottenere il cosiddetto latte scremato.
Al mattino viene fatta la seconda mungitura del latte che viene poi unito al latte scremato munto la sera precedente. Tutto il latte viene versato in caldaie di rame da 1.100 litri, dove viene riscaldato fino a circa 30 gradi. A questo punto viene aggiunto il caglio di origine animale, una sostanza estratta dallo stomaco di vitelli, agnelli o piccoli di maiale in grado di far coagulare il latte, e il siero innesto, cioè il residuo della caseificazione del giorno precedente, utilizzato per innescare il processo di fermentazione.
La cosiddetta cagliata si forma in circa 10 minuti, e viene poi suddivisa in piccoli granuli tramite un attrezzo chiamato spino: si chiama così perché originariamente la cagliata veniva rotta con un ramo di biancospino. La temperatura viene alzata fino a circa 55 gradi. I granuli iniziano a cuocere e a cadere sul fondo della caldaia formando un’unica massa di formaggio. Dopo circa 50 minuti la massa viene sollevata dal fondo della caldaia e avvolta in una tela di lino. È un’operazione piuttosto complicata, per cui è richiesta molta esperienza.
La massa di formaggio viene divisa in due metà da circa 50 chili a cui viene data la forma caratteristica, poi marchiata per accertarne l’origine. La salatura viene completata in un mese, infine si passa alla stagionatura a una temperatura compresa tra 15 e 18 gradi e con un’umidità non superiore all’80 per cento. Il periodo minimo di stagionatura è di 12 mesi, al termine dei quali ogni forma viene sottoposta all’esame di un esperto prima di essere marchiata a fuoco. Le forme scartate vengono declassate a forme di seconda scelta e non possono avere il marchio del Consorzio di tutela. I tempi di stagionatura più comuni sono 24 e 36 mesi, ma si può arrivare fino a 80 mesi.
La produzione viene controllata dal Consorzio grazie a un “piano di regolazione dell’offerta” che serve appunto a regolare l’offerta sulla base della domanda nazionale ed estera. Di fatto vengono fatte delle previsioni per assicurare che la domanda e l’offerta siano bilanciate nel tempo. Il piano di regolazione fissa anche delle quote di formaggio che ogni caseificio può produrre lasciando comunque la possibilità di sforare i limiti pagando un contributo aggiuntivo. È quindi un mercato molto complesso che deve conciliare regole rigide e sviluppo commerciale.
Tra gennaio e novembre del 2023 le vendite di Parmigiano Reggiano sono aumentate dell’8 per cento rispetto all’anno precedente. Sono state vendute circa 4 milioni di forme con un aumento più significativo in Italia (10,2%) rispetto all’estero (5,2%).
Secondo le stime del centro studi di Confagricoltura dell’Emilia-Romagna, l’associazione che rappresenta gli allevatori, il costo medio di produzione di 100 litri da latte per fare il Parmigiano Reggiano è stato intorno ai 76 euro, di cui 45 euro per l’alimentazione delle vacche e 11 euro per la forza lavoro. Rispetto al 2022 c’è stato un calo dei costi legati all’energia, ma un aumento degli oneri finanziari dovuti alla crescita dei tassi di interesse. Con tassi di interesse più alti, prendere soldi in prestito è diventato più costoso: e gli allevamenti hanno bisogno di continui investimenti – quindi di prestiti – per l’acquisto di macchine agricole e terreni.
Da gennaio 2022 il prezzo di 100 litri di latte per fare il Parmigiano Reggiano è invece fermo a poco meno di 64 euro, inferiore ai costi di produzione. Le quotazioni del formaggio all’ingrosso sono in calo del 5,2 per cento, sotto i dieci euro al chilo, mentre il prezzo proposto ai consumatori finali è stato costante. In sintesi: i costi di produzione del latte sono aumentati, il suo prezzo di vendita è rimasto lo stesso da gennaio 2022, le quotazioni del formaggio all’ingrosso sono diminuite e il prezzo finale non è cambiato. «In tutto questo chi ci guadagna? Non certo i consumatori, men che meno gli allevatori e i produttori di formaggio», dice Roberto Gelfi, presidente della sezione lattiero-casearia di Confagricoltura Emilia-Romagna. «Sono invece condizioni vantaggiose per la grande distribuzione, che beneficia di maggiori margini a discapito degli altri attori della filiera».
Questo squilibrio dipende dal diverso potere contrattuale delle singole parti della filiera. La parte produttiva, allevatori e caseifici, è molto frammentata e sottoposta a regole rigide, mentre gli operatori che lavorano nell’ingrosso sono pochi e la grande distribuzione riesce così a imporsi. «Bisogna prendere atto di questa situazione e cercare di intervenire organizzando l’offerta per renderla più forte», continua Gelfi.
Le regole relative alla concorrenza non consentono di organizzare un “cartello” per imporre prezzi, ma il Consorzio può intervenire attraverso il piano di regolazione dell’offerta nel lungo periodo. Secondo Confagricoltura serve una programmazione migliore della produzione e un’altrettanto migliore previsione delle vendite per controllare meglio i prezzi in tutti i passaggi della filiera, trasferendo i guadagni dalla grande distribuzione ai caseifici, fino agli allevatori. «Intervenendo ora vedremmo gli effetti di un possibile riequilibrio tra un anno», continua Gelfi. «Più si va avanti e più le aziende faranno fatica a sostenersi. Di fatto molte non stanno guadagnando nulla: si coprono le perdite sospendendo gli investimenti, allungando i mutui».
Durante l’assemblea generale che si è tenuta nel dicembre del 2023, il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha annunciato un monitoraggio più puntuale delle scorte per capire meglio i flussi destinati al mercato, nel rispetto degli obiettivi del piano di regolazione. Nel 2023 i caseifici hanno iniziato a mettere sul mercato 4,1 milioni di forme prodotte nel 2021, molte delle quali saranno vendute nel 2024. L’obiettivo principale per quest’anno, ha detto il presidente del Consorzio Nicola Bertinelli, è proprio il riequilibrio del mercato e una gestione migliore della produzione mantenendo comunque prezzi concorrenziali.