Javier Milei e le donne
Il nuovo presidente argentino, ultraliberista e di estrema destra, sta già mostrando di voler ribaltare leggi considerate grandi conquiste del femminismo
Nelle prime settimane da nuovo presidente dell’Argentina, l’economista di estrema destra e populista Javier Milei ha mostrato in diversi modi di voler perseguire politiche antifemministe, per esempio ribaltando o stravolgendo leggi già esistenti e considerate grandi conquiste dei movimenti femministi. Tra le altre cose, ha suggerito più o meno esplicitamente l’intenzione di limitare il diritto all’aborto, ha negato l’esistenza di un divario retributivo tra donne e uomini (divario che però i dati confermano), si è espresso contro l’educazione sessuale nelle scuole e ha proposto la riduzione dei programmi assistenziali, alcuni dei quali hanno a che fare proprio con le politiche di genere.
Anzitutto Milei ha eliminato il ministero delle Donne, dei Generi e della Diversità, lo ha retrocesso a sottosegretariato e messo sotto il controllo di un altro ministero, quello del Capitale umano. D’ora in poi i fondi di cui questo sottosegretariato potrà usufruire saranno decisamente inferiori rispetto al passato. Inoltre nella “legge omnibus”, un esteso insieme di riforme strutturali presentato al parlamento e già molto discusso, Milei ha inserito almeno tre misure che hanno direttamente a che fare con l’autodeterminazione delle donne e le politiche di genere.
Milei vuole per esempio modificare la Legge Micaela emanata nel 2018, che stabiliva una formazione obbligatoria sulla violenza di genere per tutte le persone che lavorano nel servizio pubblico e nei tre rami del governo: esecutivo, legislativo e giudiziario. La legge prende il nome da Micaela García, una donna di 21 anni che nel 2017 era stata stuprata e uccisa fuori da una discoteca da un uomo già condannato a nove anni di carcere per due stupri e a cui, pochi giorni prima del femminicidio di García, era stata data la libertà vigilata, nonostante le perizie psichiatriche e criminologiche raccomandassero di non concedergliela. Il giorno prima del femminicidio di García, lo stesso uomo aveva tentato di stuprare una bambina di 13 anni, ma gli agenti di polizia che avevano seguito il caso non avevano considerato l’episodio con la dovuta urgenza, visto il soggetto coinvolto.
Il “disegno di legge omnibus” di Milei prevede la modifica di sei articoli della legge Micaela, con l’obiettivo di ridurne il campo di applicazione. Vuole limitare infatti la formazione a quei dipartimenti che già si occupano in modo specifico di “violenza domestica e violenza contro le donne”, ossia a persone che su tali questioni sono già mediamente preparate. E cita solo la violenza compiuta dentro le case e nei confronti delle sole donne, escludendo dunque quelle forme di violenza che si verificano fuori dal contesto familiare e quelle che colpiscono altri generi.
I movimenti femministi hanno fatto notare che né il giudice che ha concesso la libertà vigilata al femminicida di Micaela García, né i poliziotti che hanno preso in carico la denuncia per tentato stupro della tredicenne occupavano degli uffici pubblici competenti in modo specifico in questioni di genere e che una prospettiva di genere avrebbe invece potuto portarli a prendere decisioni differenti: il femminicidio di García (come tanti altri) avrebbe insomma potuto essere evitato se tale consapevolezza ci fosse stata.
Un’altra delle proposte contenute nella legge omnibus riguarda la modifica della legge cosiddetta dei “Mille giorni”, che fu approvata all’unanimità in entrambe le camere del parlamento tre anni fa insieme alla norma che legalizzava in Argentina l’interruzione volontaria di gravidanza. La legge dei Mille giorni rafforza l’assistenza sanitaria e il sostegno delle persone incinte in condizione di vulnerabilità e quella dei loro figli e delle loro figlie durante i primi anni di vita.
La nuova formulazione voluta da Milei modifica le persone destinatarie di questa norma: sostituisce l’attuale espressione «donne incinte e persone con capacità di gestazione» utilizzata per incorporare anche gli uomini trans (questione su cui in Argentina il dibattito ha fatto grandi passi in avanti negli ultimi anni) con «donna incinta». La prospettiva di genere viene dunque nuovamente sostituita con una prospettiva familista: si riconoscono come soggetti vulnerabili unicamente le donne che subiscono violenza all’interno della casa, mentre si negano quelle violenze di genere che possono avvenire fuori dall’ambito domestico e fuori dalle sole relazioni familiari. Nella proposta di modifica si parla poi di «figli» a partire dal momento del concepimento e si stabiliscono come soggetti di diritto i «bambini non ancora nati».
Nella legge omnibus vi è un terzo punto critico. Una sezione di questo insieme di proposte riguarda un’ambiziosa riforma elettorale che abolirebbe le cosiddette “primarie simultanee obbligatorie”, chiamate PASO, e cambierebbe il modo in cui sono eletti i deputati e le deputate alla Camera: attualmente il sistema elettorale è proporzionale, i seggi vengono cioè assegnati in base ai voti presi da ogni partito a livello nazionale.
La legge omnibus, invece, creerebbe un sistema di 257 circoscrizioni uninominali (una per seggio) in cui verrebbe candidata una persona per partito e verrebbe eletta quella che prende più voti, senza agganciare tale meccanismo al rispetto della parità. Con il nuovo sistema elettorale proposto da Milei, il criterio della parità delle candidature, dunque, scomparirebbe. L’Argentina fissò le quote di genere per legge nel 1991: le liste dovevano essere composte da almeno il 30 per cento di donne, limite che nel tempo era stato superato da una serie di leggi provinciali e poi con la legge nazionale del 2017 che garantiva il 50 per cento di presenza femminile in ciascuna lista.
Il sistema delle quote per i movimenti femministi ha comunque dei limiti perché non è detto che una donna, solo perché donna, porti avanti delle politiche a favore delle donne, ma è comunque ciò che ha favorito la partecipazione delle donne nella politica istituzionale. «Il sistema uninominale fa vincere invece chi ha più risorse e tempo da dedicare alla politica, e in genere queste persone sono uomini», ha commentato Estela Díaz, delegata alle Politiche di genere e alla Diversità sessuale nella provincia di Buenos Aires. «Se l’attuale legge elettorale non fosse più in vigore, il Congresso sarebbe molto più conservatore e retrogrado», ha detto a sua volta a Pagina 12 Luci Cavallero, del movimento femminista Ni Una Menos: «Potremmo ritrovarci con un Congresso composto al 100 per cento da uomini».
Inoltre, la legge omnibus propone che le imprese possano finanziare i partiti politici senza alcun limite: questo, sempre secondo Cavallero, «porterebbe ad avere una democrazia molto più ristretta non solo da un punto di vista di genere, in cui solo coloro che sono legati a finanziamenti multimilionari potrebbero impegnarsi».
L’intero testo della legge omnibus fa dunque delle scelte politiche di non poco conto che modificano alla base il paradigma con cui, e con un lungo e enorme lavoro, i movimenti femministi e parte della politica hanno cercato di lavorare sulle questioni di genere: privilegiando l’espressione “violenza familiare e violenza contro le donne” rispetto al concetto più ampio di “violenza di genere” riporta indietro di decenni la concezione della violenza sessista.
L’interpretazione restrittiva del concetto di violenza riduce inoltre le donne al solo ruolo di “vittime” e non le considera come soggetti di diritti colpiti dalle disuguaglianze strutturali che esistono nella società in diversi ambiti (Milei ha di fatto negato che queste disuguaglianze esistano). Marta Dillon, giornalista, scrittrice e militante femminista di Ni Una Menos, ha detto: «In altre parole la battuta d’arresto è gigantesca e deliberata. L’estrema destra trova nei femminismi e nei transfemminismi così come nell’antirazzismo e nelle lotte per proteggere il pianeta e tutto ciò che vive su di esso dei nemici diretti da attaccare. Allo stesso tempo, vuole dare un’identità ai propri elettori e seguaci più fanatici che riconoscono come valori la supremazia bianca, eterosessuale e machista».
Nelle ultime settimane molte giornaliste argentine che si occupano di questioni di genere hanno denunciato un aumento delle minacce personali nei loro confronti: promesse di stupro, pubblicazione di dati personali, indirizzi e numeri di telefono online. «Siamo di fronte a una caccia alle streghe da parte dell’estrema destra», ha detto ad esempio al Guardian Luciana Peker, che ha da poco lasciato l’Argentina per una località sconosciuta proprio a causa degli attacchi ricevuti. Marta Dillon, che è a sua volta giornalista, sottolinea che quel che accade alle giornaliste femministe non è in realtà diverso da ciò che accade ad altre persone: «Agli insegnanti e alle insegnanti, per esempio, e soprattutto a quelle che si occupano di educazione sessuale; al personale sanitario delle cliniche LGBT+ o al personale sanitario che si occupa di aborti e di salute riproduttiva».
Il prossimo 24 gennaio i movimenti femministi, i sindacati e altre organizzazioni hanno lanciato uno sciopero generale contro le riforme del nuovo presidente: «Spero che la piazza del 24 gennaio sia la prima di tante altre mobilitazioni e che lo sciopero sia vigoroso» conclude Dillon.
– Leggi anche: In Argentina i prezzi sono triplicati in un anno